"Se si perde loro (i ragazzi più difficili) la scuola non è più scuola. É un ospedale che cura i sani e respinge i malati."
(Lettera a una professoressa)
Don Lorenzo Milani
Far scrivere i bambini. Renderli osservatori attivi della realtà nelle sue molteplici sfaccettature, stimolare il loro senso critico; in realtà, farlo germogliare, indirizzando il loro sguardo verso un mondo per loro ancora in parte sconosciuto e insegnargli ad esprimerlo con le parole. Quindi, rendere partecipe la collettività della realtà osservata e interpretata dallo sguardo e dalle parole dei bambini, senza filtro, lasciando intatta la loro spontaneità ed innocenza.
È stata tutto questo, e molto di più, l'esperienza del "Ciuco", giornalino di classe realizzato dagli alunni delle scuole elementari di Tre Croci e pensato dal maestro Felice Norcia.
Un uomo, Felice Norcia, diventato "maestro per caso", che ha saputo trasferire le passioni della sua vita nell'insegnamento, cosicché l'insegnamento è diventato esso stesso una passione, un modo di vivere insegnando.
E insegnando, divertirsi. Divertirsi significa anche far divertire.
Allora la scuola può diventare una cosa piacevole, fatta di sorprese, di "bolle di sapone colorate", di leggerezza, che è tutto ciò che sfugge alla pigrizia del "dover dire" e del "dover fare" e si realizza invece in una continua, inquieta ricerca del "sapere insegnare".
Un "sapere insegnare" che si esprime anche attraverso il gioco e l'invenzione, i versi di una poesia, la visione di un quadro, le risate di un film di Charlot.
Questo libro offre al lettore un'esperienza illuminante perchè è, nello stesso tempo, la storia di un metodo didattico vivo e vivificante, sottratto all'aridità della consuetudine, ed è, insieme, uno sguardo lucido ed appassionato sul mestiere di maestro di un uomo che si è dedicato all'insegnamento ricercando un contatto diretto con i bambini, lasciandoli liberi di osservare e di comprendere i colori della natura, le fantasie dei loro sogni, le malinconie degli animi dei poeti, le gioie e i dolori della realtà che li circondava.
Il libro raccoglie una selezione di testi del giornalino di classe "Il Ciuco", che copre un arco di tempo di circa venti anni, dal 1968 al 1989.
I bambini raccontano il loro mondo, descrivono se stessi e le persone della loro famiglia, esprimono desideri, felicità e tristezze, inventano racconti, scrivono poesie, parlano dei loro "momenti di vita", delle emozioni di un pomeriggio o di un viaggio fatto con i genitori, descrivono quadri di pittori.
Le loro parole scivolano liberamente su tutto ciò, con quella libertà che appartiene soltanto al mondo dell'infanzia.
Costruiscono incantesimi, visioni di fiaba, percorsi di fantasia, in cui la realtà si trasfigura, sorretta da un velo di meraviglia e di stupore, di leggera e sorridente sincerità.
Può accadere, allora, di incontrare oggetti che si animano a mezzanotte, quando tutti dormono, oppure di osservare delle mosche che, entrate nella stanza dalla finestra, si trasformano in aerei da combattimento. Si può vedere la bambina scalza di un quadro di Picasso che cammina per strada, quando, all'improvviso, inizia a cadere della grandine colorata, e sentire la voce rattristata dell'alunna che dice:"..., ma è senza l'ombrello poverina si bagnerà tutta, glielo potrei prestare io ma non posso, è dipinta".
I bambini si impadroniscono della realtà, la fanno propria, la catturano con le parole, conoscendola nel momento stesso in cui la scoprono.
In un'epoca come la nostra, in cui i bambini vengono traditi proprio in quella funzione essenziale della loro infanzia che consiste nell'instaurarsi del primo contatto con la realtà, intrappolati come sono in una rete di immagini virtuali che nasconde e vanifica la tangibilità del reale, questo libro potrà suscitare sentimenti contrastanti.
Alcuni vedranno in esso una testimonianza nostalgica di un passato che non potrà più tornare.
Ma gli spiriti più coraggiosi potranno scorgervi una luce, se pur piccola, in fondo all'oscurità, che possa fare da argine al fatalismo e scalfire il nichilismo che ci pervade tutti come in una prigione.
Vorrei cogliere l'occasione per dire che chi scrive questa prefazione ha avuto la fortuna di essere stato allievo di Felice Norcia per cinque anni e di aver partecipato all'esperienza indimenticabile del "Ciuco".
Tutto ciò, per esprimere la mia stima e il mio affetto più profondo per il mio maestro, per quello che è riuscito a darmi e per la sua umanità.
Infine, un consiglio ai lettori: leggete questo libro lasciandovi guidare dagli slanci romantici del cuore. Riuscirete a sorridere, a provare tenerezza, magari a commuovervi.
Chissà, forse le consunte reti potranno trattenere ancora qualche pesce.
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