Con la preziosa consulenza e la gradita partecipazione di
Fabio Vincenti
di tappa in tappa
Antonello Ricci e Alfonso Prota
leggeranno il racconto metricato LE DUE CITTÀ
ispirato alla figura di Carlo Vincenti
Iniziativa a cura di
Paper Moon, agenzia viaggi e T.O.
in collaborazione con le associazioni culturali
«Fabio Vincenti» - www.carlovincenti.it
e La Banda del Racconto
e con Davide Ghaleb editore
Quota pro capite 7,00 €
Bimbi e ragazzi gratis
Info 333/7142185 - Paper Moon, agenzia viaggi e T.O.
Per l’occasione, mi sembra utile riproporre una mia vecchia pagina dedicata alla figura di C. V.
IL MUSICANTE DI BREMA
La televisione ha annunciato la morte di Moro
Moditen
Quel maledetto Moditen
Il dottore insiste che dovrei fare il Moditen
Ingrasso come un porco
Ingrassato e imbambolato dai farmaci
Dovrei fare il bagno (dovrei ricordarmi di fare il bagno)
Basta! Son stufo d’arte
Quanto ho scritto è nelle mie piene facoltà mentali
Anche la posizione della foto di Moro così accasciata (il volto)
Ma nell’inconscio abitano tante cose misteriose. Un messaggio?
Fatto sta che ho desiderato quella morte, lo ammetto…
Ma la Città è piena solo di brutti ricordi
Ma smetterò di dipingere, perché voglio morire
Sulla breve vita di Carlo sento incombere la luna della Pietà di Sebastiano del Piombo. Tremenda.
Le sue velature. I suoi raggi che sbiancano il peperino della Città. Che gettano ombre giù dalle torri, le fanno correre per via, le annidano sotto i portici. Fantastiche. Paurose.
Il quartiere medioevale. Ha traversato come in sogno secoli di non-storia. Graziato per caso dalle bombe. Ancora negli anni del Miracolo zitelle inglesi, pittori della domenica, viaggiatori dell’immaginario lo colsero operosissimo di vita popolare. Pittoresco, però, quanto inquietante. Nel 1947 Virgilio Marchi annotava: «Il medioevo della Città è veramente di una potenza arcigna; fa tragedia con l’aspetto». Trent’anni dopo, per questi stessi vicoli Carlo avrebbe trascinato l’insostenibile fardello della propria esistenza.
Usciva dal suo studio – bottega ma opera esso stesso: “graffite” per intero, le pareti, di lancinanti scritte: «da dio ho queste membra»; c’è ancora una sua straziata Via Crucis di parole dipinte, di sole parole – usciva e vagava. Vagava. Lo vedevi rovistare all’alba fra immondizie, in cerca di carte e cartacce da riciclare per i suoi collage. M’è capitato di sfogliarne un quaderno filatelico. Invece di francobolli: stagnole, petali secchi, trafiletti di giornale, schegge varie. Una corte dei miracoli. Consumi. Rifiuti. Rimessa in gioco. Eclissi e recuperi del senso.
I collage. Psaligrafie sconvolgenti. La gabbia compositiva. Gli evidenti simmetrismi vorrebbero rassicurare. Ma non ingannano. Una pulsazione fetale traversa questi lavori. I Musicanti di Brema. Perché il titolo. Innocenti come un album di calciatori. Devastati e feroci come Peter Pan. Spicchi di volta. Lunette di evangelisti: ritagliate con diligenza e incollate-deformate in frontoni di chiese. Su fondo oltremare. Correzione ottica perseguita. Perseguitata. Malizia. Sadismo. Tenerezza materna. Bisturi: carni: cosce mammelle spacchi femminili. Via la testa. Volti maschili incompleti, recisi, mutilati. Lineamenti cancellati. Disegni. Pochi nervosi tratti riprendono un tema, lo amplificano. Contaminazione di frammenti. Foto di gruppo. Foto d’epoca. Un’intera banda musicale in posa (i suonatori: strumenti in mano) sminuzzata in tante foto-tessera. Un cartello recita: Wagner, Tannhauser, Ouverture. Tedeschi. Suonatori. Per estensione, dunque: Musicanti. Di Brema. Ricorrenza dell’asino. Non fa presepe. Autoritratto a forme fiabesche.
Ma il somaro scacciato, il reietto, non trovò compagni di strada. Non ne cercava. Tra un ricovero e l’altro dipinse un olio grigiastro con una corsa di mura merlate. Alla guelfa. Omaggio alla ripugnante Città che lo respingeva. Titolo: Porta Favole. Poi rovesciò la tela, appendendola s’un fianco, e chiosò: La Tonaca del Prete. Nel medioevo di quel quartiere, sopravvissuto a sé stesso, finì adottato da gente semplice, che ben poco capiva d’arte. Lo assistette nelle sbronze più tristi. Nel viavai tra cliniche e manicomi. Nove anni. Sempre più fitti.
Ma per il tuffo mortale che doveva schiantarlo nel giugno del 1978, a soli trentadue anni, Carlo scelse l’anonimo quarto piano d’una periferia piccolo-borghese. Quelle membra si maciullarono nell’indifferenza. Pochissime voci. Poi silenzio. Troppo a lungo silenzio.
E proprio da quella palazzina anni Sessanta sita in via Monte Zebio, nel quartiere Cappuccini appena dietro la caserma dei pompieri, prenderà avvio la Passeggiata-Vincenti curata da Antonello Ricci con la preziosa, insostituibile consulenza di Fabio Vincenti, fratello di Carlo, e le letture di Alfonso Prota. L’appuntamento è per giovedì 11 luglio in via Monte Zebio, ore 21.30.
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