QUI RISE L'ETRUSCO, UN GIORNO»
PASSEGGIATA-CARDARELLI
A SPASSO CON I RACCONTI DI
ANTONELLO RICCI
Nona tappa – Passeggiata/racconto
nei luoghi della Corneto-Tarquinia di
Vincenzo Cardarelli
con Pietro Benedetti
e la graditissima partecipazione di
Luciano Marziano
venerdì 2 agosto – ore 21.30
appuntamento a
TARQUINIA
presso l'arco di porta Tarquinia
Iniziativa a cura di
Paper Moon, agenzia viaggi e T.O.
in collaborazione con
associazione culturale La Banda del Racconto
e con Davide Ghaleb editore
Quota pro capite 7,00 €
Bimbi e ragazzi gratis
Info 333/7142185 - Paper Moon, agenzia viaggi e T.O.
www.tusciainrete.it
Roma. Anni Cinquanta del Novecento.
Era già l'amara leggenda di sé stesso, il vecchio vate di Tarquinia («il più grande poeta morente», sentenziò Flaiano): eternamente assiso a uno dei tanti tavolini en plein air del caffè Strega di via Veneto – quella via Veneto che Fellini avrebbe presto immortalato nell'agrodolce epicedio della Dolce vita.
Sacerdote scontroso e inavvicinabile, il più delle volte, Vincenzo Cardarelli: come nei «quarti d'ora del carcerato» toccati in sorte a Re Tarquinio, lo Zi' Checco protagonista di alcune fra le sue prose più belle. Con tutta la sua sfacciata miseria, i suoi Campari, i suoi sbalzi d'umore, le sue battute impietose.
Ma soprattutto con addosso quel pesantissimo cappotto che non voleva sfilarsi mai, neanche sotto la canicola più feroce: perché così sembravano congiurare la sua fisiologia di vecchio e il suo personaggio pubblico. Anche se forse la verità è un'altra: egli era convinto di serbarsi in questo modo più memore e fedele all'antica saggezza dei pastori di Maremma, secondo cui ciò che protegge dal freddo protegge dal caldo.
Al di là dell'aneddotica, col suo cappotto sempre indosso, quel viaggiatore insocievole, quell'io narrante chiamato Vincenzo Cardarelli, che sempre si giurò in esilio nella vita, sembra intendesse custodire e tramandare come un ex-voto impresso al proprio corpo il vento e la polvere, il lamento del bifolco che ad ogni estate canta e ara, le donne che sbattono i panni alla fontana e cantano anche loro, il melanconico frastuono delle cicale in un silenzio caldissimo e indolente, sbavato dal vento di mare, che a mezzogiorno fa marea. Tutti gli echi più remoti e dolenti, insomma, di una fiabesca-infelice infanzia di tardo ottocento nelle france maremme di Corneto, paese tipicamente italiano, urbano e campagnolo al contempo.
Solo che il cappotto e le pagine di Cardarelli paiono puntare anche oltre, verso lontananze “altre” assai meno dicibili. Perforare, con lo stilo della scrittura, gli spessori trimillenari del suolo natio. Laddove, strato dopo strato, la storia dell'uomo torna a confondersi con la terra stessa. In un paesaggio da favola. In una favola del paesaggio tale da risalire a monte, oltre le fiere radici del libero Comune medievale, l'orma dei dominatori Romani, addirittura gli stessi padri Etruschi sbarcati qui, un giorno, dal mare. Cardarelli accompagna il suo lettore in un viaggio a ritroso su per i tratturi delle antichissime transumanze, attraverso i territori appenninici, a ritrovare gli arcàvoli Umbro-Piceni. Perché infine, sedendo e mirando le dolci colline marchigiane, egli dovette sentirsi protetto e accudito, almeno per una sosta, in un proprio spazio “originario”: i luoghi da cui, in un giorno lontano, era migrato suo padre, futuro bisteccaro al buffet della stazione di Corneto-Tarquinia; i luoghi di Giacomo Leopardi, il più amato fra i poeti.
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