È MORTO NELLO MARIGNOLI L'ULTIMO PARTIGIANO VITERBESE
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(foto Daniele Vita)


Il 23 novembre è deceduto Drug (amico, fratello, compagno). Nello Marignoli partigiano comabattente nell'esercito popolare di liberazione jogoslavo. Ho potuto scrivere e interpretare lo spettacolo Drug Gojko che parla della sua storia militare civile e sociale; Nello me l'ha offerta come un dono particolare, il suo messaggio di pace e di verità contro ogni guerra. Aveva la stessa età di mio padre e pensavo di arrivare da lui come un figlio, ma lui mi ha accolto come un nipotino e con quel particolare linguaggio che hanno i nonni, mi ha aiutato con i suoi racconti a capire perchè essere partigiano, la sua verità dei sentimenti che aveva provato incontrando un altro popolo, il suo continuo rispetto per la cultura di quegli uomini e di quelle donne che lottarono insieme a lui per la libertà; la sua purezza nel tornare a casa, al suo lavoro senza pretendere. Il solo riconoscimento lo riceve nel 1964 dal popolo Slavo, e poi questa sua lingua slava "viterbenizzata" con dolcezza, è così che ho potuto registrare da spettatore le emozioni di un grande attore di vita, grazie Nello per avermi insegnato a diventare testimone per la pace

Pietro Benedetti


(...) Nello Marignoli da Viterbo: gommista in tempo di pace; in guerra, invece, prima soldato della Regia Marina italica e poi radiotelegrafista nella resistenza jugoslava.
Nello era narratore di straordinaria intensità. Tesseva trame per dettagli e per figure, una dopo l’altra, una più bella dell’altra: la ricezione in cuffia, l’8 settembre, dell’armistizio; il disprezzo tedesco di fronte al tricolore ammainato; l’idea di segare nottetempo le catene al dragamine e tentare la fuga in mare aperto; il barbiere nel campo di prigionia: «un ometto insignificante» che si rivela ufficiale della Decima Brigata Herzegovaska; le piastrine degli italiani trucidati dai nazisti: poveri figli col cranio sfondato e quelle misere giacchette a -20°; il cadavere del soldato tedesco con la foto di sua moglie stretta nel pugno; lo zoccolo pietoso del cavallo che risparmia i corpi senza vita sul sentiero; il lasciapassare partigiano e la picara «locomotiva umana», tutta muscoli e nervi e barba lunga, che percorre a piedi l’Italia, da Trieste a Viterbo; la stella rossa sul berretto che indispettisce i camion anglo-americani e non li fa fermare; la visione infine, terribile, assoluta, della città in macerie.
Ma soprattutto un’idea ferma: la certezza che le parole non ce la faranno a tener dietro, ad accogliere e contenere, a garantire forma compiuta e un senso permanente all’immane sciagura scampata dal superstite (e testimone). «Quello che dico, dico poco». (...)

Antonello Ricci, note allo spettacolo teatrale