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FRAMMENTI
ARCHITETTURA CONTEMPORANEA NELLA TUSCIA
Alfredo Giacomini


INTRODUZIONE DI
ALFREDO GIACOMINI


Questo testo propone frammenti di architettura in maniera disordinata, lo stesso disordine che ritroviamo nel costruito che ci circonda, il quale spesso nasconde esempi positivi sopraffatti da una gran mole di edilizia poco significativa e inconsistente.
L’intento è quello di parlare di architettura con un tono leggero rivolto a tutti, principalmente a coloro che pensano di essere estranei a questa disciplina. Ma nessuno può dichiararsi estraneo poiché, se un libro non gradito si può non leggere, una musica fastidiosa si può non ascoltare, l’edificio che abbiamo di fronte siamo costretti a vederlo.
Ecco allora che ci consoliamo con l’antico, con la parte monumentale della città, diamo per scontato che i nuovi quartieri siano esempi negativi, irrecuperabili e poco ci adoperiamo per cambiare questa realtà.
Aprire il confronto e creare le condizioni affinché si possa fare architettura è uno degli obiettivi della selezione di immagini contenuta in questo volume: frammenti che possono rappresentare un punto di partenza per futuri approfondimenti.

La generale indifferenza per l’architettura ha parzialmente stravolto il paesaggio italiano, per la quasi totalità antropizzato e caratterizzato da dolorose manomissioni.
Chi legifera è sempre più attento a limitare, giustamente, ulteriore consumo di suolo favorendo il recupero del patrimonio edilizio esistente, ma ciò non basta; nello scenario complesso che abbiamo di fronte il progetto di architettura, per la sua valenza culturale in quanto espressione tangibile della contemporaneità, dovrebbe avere sempre più un ruolo centrale in un tavolo di lavoro comunque interdisciplinare.
Uno dei problemi è la mancanza di una esigente e sana committenza pubblica e privata. La pianificazione urbanistica generalmente è in mano a soggetti più interessati al profitto che alla qualità dell’opera: pertanto ai progettisti resta solo il compito di eseguire; frequentemente «il piano», anche se buono, è insufficiente a governare il territorio, spesso minato da azioni nocive. Gli architetti potrebbero dare un grande contributo alla collettività, ma spesso vengono guardati con diffidenza poiché un professionista che pensa, che ha dei dubbi sulle scelte da fare, è poco «utile» alla società contemporanea. È questo in parte il caso di due architetti viterbesi del nostro recente passato, Rodolfo Salcini e Giuseppe Zammerini, attivi tra gli anni Cinquanta e Ottanta del secolo scorso, i quali hanno prodotto opere di indubbio valore. Il loro esempio non è però riuscito a indirizzare positivamente l’operato del potere politico, economico e professionale della città e pochissimi hanno provato a raccoglierne l’eredità: il vuoto che hanno lasciato non è stato colmato.

Oggi molti guardano alle mode: si crede che aggiungere il termine bio ad architettura apra nuovi orizzonti e che sia la strada giusta da imboccare. Il mondo delle costruzioni da millenni tiene conto delle problematiche legate al luogo, all’esposizione, al clima, al risparmio energetico, alla nocività dei prodotti e, pertanto, non c’è alcuna esigenza di coniare termini equivoci legati più alla tendenza del momento e alla speculazione.
Ciò che in primo luogo dovrebbe essere perseguito è una qualità diffusa dell’architettura che incida significativamente sulla città, sul paesaggio, sulla società, sull’uomo e che non sia relegata soltanto all’interno di riviste specializzate o di solitarie e simboliche opere.
Una delle poche strade che potrebbe portare dei risultati positivi è il ricorso al concorso di progettazione, unico strumento che permette di scegliere un progetto tra i tanti proposti e che consente ai giovani professionisti di concorrere alla pari di architetti affermati. Attualmente in Italia non viene realizzato circa l’80% dei progetti vincitori a causa dei più svariati motivi: mancanza di fondi, cambio di amministrazioni, ripensamenti degli enti e impossibilità a ottenere le autorizzazioni necessarie. Viterbo ha un trascorso pessimo con i concorsi: tranne quelli riferiti alla Macchina di Santa Rosa nessuno è arrivato a termine nonostante l’importanza dei siti interessati (l’Ospedale Grande di Viterbo, il recupero di Valle Faul, il recupero dell’ex mattatoio, il piano particolareggiato per Bagnaia, la sistemazione di sette piazze del centro storico).
Il testo comprende quasi esclusivamente opere presenti nella Provincia di Viterbo anche se ci sono sconfinamenti geografici. Vi è inoltre un’attenzione al mondo dell’arte poiché l’architettura è una disciplina con una forte componente artistica e culturale. Le Corbusier sosteneva che l’architettura è un fatto d’arte, un fenomeno che suscita emozione, al di fuori dei problemi di costruzione, al di là di essi.