La Costituzione e la sua attualità a 63 anni dalla promulgazione
Premessa
La Costituzione della Repubblica fu approvata dall’Assemblea Costituente il 22 dicembre 1947 ed entrò in vigore il 1 gennaio 1948.
Sono passati oltre sessant’anni. E’ un tempo storico sufficientemente lungo per consentirci di guardare con un certo distacco alle vicende che hanno dato origine alla fondazione della Repubblica italiana ed alla Costituzione che ne ha definito l’identità, incarnandone la sua sostanza democratica. E’ un tempo storico sufficientemente lungo per fare un primo bilancio della vitalità della nostra Carta Costituzionale, chiederci se i suoi principi ed i suoi valori sono ancora indispensabili per il nostro futuro, se la sua architettura delle istituzioni è ancora valida, oppure se genera inefficienza o altri mali, come ci annunciano quasi quotidianamente i suoi detrattori. E’ tempo di chiederci se il patrimonio di beni pubblici che i padri costituenti hanno lasciato in eredità al popolo italiano è stato ben speso o sperperato e se questo patrimonio debba essere conservato e tramandato alla generazioni future.
Uno degli indici più inquietanti del contesto culturale del nostro tempo è dato dal fatto che noi viviamo confinati in un eterno presente. Qualunque sia l’argomento, il dibattito politico viene sviluppato escludendo ogni consapevolezza del passato, anche recente, e rifiutando di confrontarsi con qualunque progetto di futuro. Noi viviamo immersi nel presente, come se non avessimo un passato e come se non dovessimo preoccuparci del nostro futuro. Non c’è da meravigliarsi, quindi, se l’incultura degli attuali ceti dirigenti travalica nel senso comune e produce un diffuso analfabetismo politico di ritorno, per effetto del quale la resistenza diventa un capitolo archiviato negli scaffali della Storia, come le guerre puniche, e la Costituzione da essa generata , una mera tecnologia per l’organizzazione dei poteri pubblici, da relegare – eventualmente – nell’archeologia industriale.
Invece, “noi – come ha avvertito Benedetto Croce – siamo prodotti del passato e viviamo immersi nel passato”_1. Ed io aggiungo che possiamo costruire un futuro solo se manteniamo il rapporto di intelligenza morale con il passato che ci ha prodotti.
Se vogliamo interrogarci sull’attualità della Costituzione, è dal passato che dobbiamo partire per capire il senso della svolta operata dall’umanità nel 1945, di cui la Costituzione italiana, costituisce un capitolo, per noi italiani certamente il capitolo più felice.
L’evento fondativo.
I nomi dei costituenti sono consegnati agli atti parlamentari, ma sono stati veramente i rappresentanti dei partiti politici dell’epoca a scrivere la Costituzione, sulla base del loro bagaglio culturale e dei rapporti di forza o essi hanno agito sotto l’ispirazione di eventi e di fatti che si imponevano e travalicavano ogni ideologia? Uno dei più autorevoli costituenti, Piero Calamandrei ci indica la genesi della Costituzione italiana in un discorso tenuto innanzi all’Assemblea costituente, quando ormai i lavori stavano per terminare: “fra un secolo si immaginerà che in questa nostra Assemblea, mentre si discuteva sulla nuova costituzione repubblicana, seduti su questi scranni non siamo stati noi, uomini effimeri, di cui i nomi saranno cancellati e dimenticati, ma sia stato un popolo di morti, di quei morti che noi conosciamo ad uno ad uno, caduti nelle nostre file nelle prigioni e sui patiboli, sui monti e nelle pianure, nelle steppe russe e nelle sabbie africane, nei mari e nei deserti, da Matteotti a Rosselli, da Amendola a Gramsci, fino ai giovanetti partigiani.(..) Essi sono morti senza retorica, senza grandi frasi, con semplicità, come se si trattasse di un lavoro quotidiano da compiere: il grande lavoro che occorreva per restituire all’Italia libertà e dignità. Di questo lavoro si sono riservata la parte più dura e più difficile: quella di morire, di testimoniare con la fede e la morte la fede nella giustizia. “
A ben vedere, all’origine della Costituzione, c’è un evento globale (gli sconvolgimenti prodotti dalla II Guerra mondiale) che ha pesato nelle scelte dei costituenti molto più degli orientamenti ideologici. E’ la dura lezione della storia, sono le vicende irripetibili del terrore Hitleriano, della trama di sofferenze inenarrabili che la guerra aveva inflitto ai popoli, la passione ed il sacrificio della resistenza, come esigenza dello spirito umano di reagire a quella trama di orrori, l’evento costituente, l’evento fondativo della Costituzione. Questo significa che la Costituzione italiana del 47 non è frutto di un compromesso precario (oggi si direbbe con un orribile neologismo: un inciucio) fra culture politiche storicamente datate. In questo senso il progetto di democrazia per le generazioni future concepito dai Costituenti esprime delle esigenze universali ed intramontabili che hanno radice profonda ed incidono sull’identità stessa del popolo italiano. Questo spiega la vitalità della Costituzione e la sua capacità di resistenza ai tentativi di manomissione che sono stati portati avanti nel tempo e che sono diventati particolarmente insidiosi a partire dall’ultimo decennio del secolo scorso, quando, nella “costituzione materiale”, cioè nell’ordinamento politico hanno prevalso forze politiche portatrici di ideologie estranee ai valori costituzionali ed ostili ai principi di partecipazione democratica, equilibrio, distribuzione e diffusione dei poteri delineati dai costituenti. Insomma la costituzione italiana è difficile da demolire perché non è scritta sulla sabbia. I suoi principi fondamentali sono incisi, per dirla con parole di Calamandrei, sulla “roccia di un patto giurato fra uomini liberi che volontari si adunarono per dignità, non per odio, decisi a riscattare la vergogna ed il terrore del mondo”._2
Il presupposto politico della Costituzione: l’antifascismo e la sua valenza attuale.
Anche se la Costituzione non è il semplice prodotto di una ideologia antifascista, coltivata in Italia da limitate elités politiche, non si può disconoscere che il presupposto politico della Costituzione italiana è rappresentato dall’antifascismo. Su questo punto occorre qualche chiarimento perché non sembri quest’espressione una cosa stucchevole che guarda al passato.
La Costituzione italiana è una costituzione compiutamente antifascista, non perchè è stata scritta da antifascisti desiderosi di vendicarsi dei lutti subiti; al contrario, per voltare definitivamente pagina rispetto alla triste esperienza del fascismo e della guerra, i costituenti hanno sentito il bisogno di rovesciare completamente le categorie che caratterizzano il fascismo. Come il fascismo era alimentato da spirito di fazione ed assumeva la discriminazione come propria categoria fondante (sino all’estrema abiezione delle leggi razziali), così i costituenti hanno assunto l’eguaglianza e l’universalità dei diritti dell’uomo come fondamento dell’Ordinamento. Come il fascismo aveva soppresso il pluralismo, perseguendo una concezione totalitaria (monistica) del potere, così i costituenti hanno concepito una struttura istituzionale fondata sulla divisione, distribuzione, articolazione e diffusione dei poteri. Come il fascismo aveva aggredito le autonomie individuali e sociali, così i Costituenti, le hanno ripristinate, stabilendo un perimetro invalicabile di libertà individuali e di organizzazione sociale. Come il fascismo aveva celebrato la politica di potenza, abbinata al disprezzo del diritto internazionale ed alla convivenza con la guerra, così i Costituenti hanno negato in radice la politica di potenza, riconoscendo la supremazia del diritto internazionale e ripudiando le nozze antichissime con l’istituzione della guerra. L’Antifascismo della Costituzione non sta nella XII disposizione transitoria e finale, che vieta la riorganizzazione del disciolto partito fascista, norma ispirata ad una contingenza storica ormai conclusa, ma sta – come si è visto - nel rovesciamento delle categorie fondamentali del fascismo e nell’assunzione di categorie completamente opposte. Queste non si assumono in modo gratuito, ma comportano una sfida, sempre attuale, nella storia, con la possibilità che si creino continuamente delle tensioni con gli indirizzi politici che di volta in volta si affermano o nel nostro paese o a livello internazionale. Da vari anni in Italia viviamo una crisi istituzionale: tutti quanti ci dicono che occorre fare delle riforme e cambiare profondamente la Costituzione. Ma qual è il nocciolo della crisi? Il fatto è che l’intelaiatura istituzionale prevista dai Costituenti, che privilegia il pluralismo e la distribuzione del potere, rende impossibile la dittatura della maggioranza, e la concentrazione dei poteri nelle mani di un capo politico. Perciò negli ultimi quindici anni la Costituzione è stata fortemente attaccata da quelle forze politiche che, tramontate le grandi ideologie democratiche del 900, non avendo più un orizzonte da proporre alla società italiana vogliono assicurare un maggiore potere a sé stesse ed ai decisori politici, perseguendo un progetto di onnipotenza della politica. Questo tipo di progetto era ed è inevitabilmente destinato a scontrarsi con l’architettura di valori e di istituzioni creati dalla Costituzione italiana, che ci assicurano la garanzia delle nostre libertà. Negli ultimi tempi stiamo vivendo una stagione politica molto particolare, perché si è costituita una maggioranza che non si riconosce nei principi e valori fondamentali della Costituzione e che tende ad attuare una politica di concentrazione dei poteri in mano al suo Capo politico, aggredendo gli istituti del pluralismo e gli organi di garanzie, a cominciare dal pluralismo dell’informazione e dalla Corte Costituzionale, fino al principio costituzionale dell’indipendenza della magistratura.
In questo quadro sono state varate leggi incostituzionali: per esempio sono state varate, in due diverse legislature, due leggi che rendevano non perseguibile la persona che ricopre l’incarico di Presidente del Consiglio dei ministri, il c.d. “Lodo Schifani” ed il c.d. “Lodo Alfano”.
Si trattava di leggi palesemente incostituzionali, poiché rendevano (in modi diversi) irresponsabile il capo politico, sostanzialmente svincolandolo dall’obbligo di osservare la legge penale.
La Costituzione non lo consente e, attraverso le garanzie da essa previste, vale a dire l’intervento del Giudice delle leggi, entrambe le leggi sono state cancellate. Per aver reso questo servizio alla Costituzione la Corte è stata aggredita, ingiuriata e vilipesa, anche nelle sedi internazionali.
In sostanza la Costituzione crea un sistema istituzionale di pesi e contrappesi, nel quale ci sono meccanismi che intervengono per riparare i guasti che fa la politica quando persegue un disegno di onnipotenza o comunque tende a superare i limiti che il diritto ha posti all’esercizio dei poteri. Questa è la questione centrale che ha animato il dibattito istituzionale negli ultimi anni e che ha portato una maggioranza, che aspirava a liberarsi dei limiti che derivano dalla divisione dei poteri fissati nell’impianto costituzionale, a decidere di cambiare la Costituzione e ad approvare un disegno di riforma (il 16 novembre 2005), che sostituiva l’intera seconda parte della Costituzione, cioè l’ordinamento democratico, con un altro ordinamento ispirato al principio del monismo, in base al quale tutti i poteri si dovevano tendenzialmente concentrare nelle mani del capo politico, e per di più, in sovra-mercato, vi era anche la rottura del principio dell’indivisibilità della Repubblica. Questo progetto di controriforma è stato bocciato, definitivamente e senza appello, dal popolo italiano attraverso il referendum del 25/26 giugno 2006. Non per questo sono finiti gli attacchi di coloro che contestano alla Costituzione, proprio quello che è uno dei suoi più grandi meriti storici: l’architettura dei poteri che impedisce il ritorno ad un ordinamento autoritario, costruito a misura di un nuovo uomo della Provvidenza. Proprio questa contestazione, ripetuta e riproposta in tutte le salse, ci fa toccare con mano quanto sia efficace e quanto sia attuale la diga che la Costituzione ha posto al ritorno, sotto altra forma, dei mali che hanno afflitto il nostro popolo nel passato.
I gioielli della Costituzione: i principi fondamentali, il principio democratico.
I gioielli della Costituzione, il patrimonio di beni pubblici che i costituenti hanno consegnato alle generazioni future sono i suoi principi fondamentali. Secondo uno dei più autorevoli costituzionalisti italiani, Costantino Mortati, i principi fondamentali, che consentono di identificare la forma di Stato ed i caratteri della democrazia italiana come concepita dal Costituente sono cinque:
il principio democratico (art. 1);
il principio personalista (art. 2 e 3);
il principio lavorista (art. 1 e 4);
il principio pluralista (art. 2);
il principio internazionalista o supernazionale (art. 10 e 11).
Non potendo trattarli tutti ci limiteremo a qualche nota sul principio democratico.
Il principio democratico si fonda sul primo e secondo comma dell’art. 1 (L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo che la esercita nella forme e nei limiti della Costituzione) e sull’art. 49 (tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale). Il cuore del principio è la concezione che la sovranità appartiene al popolo e quindi la volontà popolare, espressa nella forme previste dall’ordinamento, costituisce la fonte del potere politico. Questo significa che i poteri di indirizzo politico appartengono al popolo, che li esercita attraverso le istituzioni della democrazia rappresentativa (ovvero direttamente entro i limiti definiti dall’istituto del Referendum).Tuttavia il principio democratico non significa che la sovranità popolare sia onnipotente o che lo siano gli organi (di indirizzo politico) elettivi. Opportunamente il secondo comma dell’art. 1 precisa che la sovranità (di cui il popolo è titolare) si esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. L’esercizio della sovranità, pertanto, non è un potere costituente, assoluto od onnipotente (come continuamente invocato da alcune forze politiche), bensì un potere istituito, che si deve esercitare all’interno dell’architettura costituzionale che prevede i due caposaldi dell’inviolabilità dei diritti dell’uomo e del pluralismo istituzionale.
Il principio democratico postula la democrazia rappresentativa, intesa come costante potestà del popolo sovrano di indirizzare e controllare l'esercizio del potere mediante il sistema della rappresentanza. La democrazia rappresentativa è temperata dall’esercizio dell’unica forma di democrazia diretta ammessa nel nostro ordinamento, il referendum previsto dall’art. 75. La sovranità si esercita, pertanto, attraverso gli organi rappresentativi della volontà popolare, però il raccordo fra la volontà popolare e le istituzioni non avviene soltanto attraverso lo strumento (formale ed insostituibile) del voto. La democrazia non si esaurisce in un unico atto, compiuto ogni cinque anni, nel chiuso dell’urna, ma deve essere praticata ogni giorno. Nel disegno dei costituenti, tutti i cittadini sono chiamati – ogni giorno - a concorrere, con metodo democratico, a determinare la politica nazionale, associandosi in partiti (art. 49).
La funzione dei partiti (intesi astrattamente come libere associazioni di cittadini per fini politici) non si esaurisce nel predisporre il canale di accesso dei rappresentanti nelle istituzioni rappresentative, ma è una funzione duratura e costante. Il modello di democrazia, concepito dai costituenti è un modello “partecipatorio” ed inclusivo. I cittadini, si associano per organizzare i loro bisogni e le loro domande politiche, renderle evidenti, coniugarle con gli altri attori sociali e proporle al sistema politico, nel quadro di un dibattito politico permanente, nel quale le istituzioni rappresentative sono immerse. Il partito di massa è concepito dalla costituzione come espressione diretta ed organizzata di esigenze della società, dunque di mediazione reale fra la società e le istituzioni, come la fornace che alimenta la democrazia politica e porta lo Stato nella società e la società nello Stato. Nel principio democratico, come delineato nel disegno del costituente, non vi sono le chiavi dell’assolutezza del potere che origina dal popolo, né quelle della dittatura della maggioranza. La chiave di volta è rappresentata dalla auto-organizzazione sociale di una società ricca, complessa ed articolata, in cui tutti sono chiamati a determinare la politica nazionale, attraverso il metodo e la pratica della democrazia che da valore e mette a frutto compiutamente le istituzioni rappresentative.
Conclusioni
Oggi, in un tempo in cui è massimo il degrado delle istituzioni politiche, tutti noi ci rendiamo conto che il principio democratico sta facendo naufragio, che i partiti non sono più canali di partecipazione popolare, che i rappresentanti che siedono in Parlamento non rappresentano più il popolo ma solo i capi politici che li hanno nominati, senza che il corpo elettorale potesse mettervi becco. Ma la colpa non è della Costituzione. Al contrario, il male sta nell’abbandono dei sentieri segnati dalla Costituzione e nel pervertimento del principio democratico realizzato attraverso un lungo periodo di occupazione abusiva del potere da parte dei partiti politici trasformatisi elités autoreferenziali. Occorre riaprire il circuito democratico della rappresentanza, attivare nuovi e più fecondi canali di partecipazione popolare, riavvicinare la Repubblica e le istituzioni ai cittadini, restituire lo scettro al popolo sovrano.
In altre parole se vogliamo trovare una strada per uscire fuori dai disagi del presente è nella Costituzione che troveremo le risposte alle nostre domande, è alla Costituzione che dobbiamo guardare ed informare di nuovo la vita delle istituzioni ai beni pubblici che il costituente ci ha tramandato perché noi li tramandassimo alle generazioni future.
Per concludere, ritornando a Calamandrei, se la Costituzione è stata scritta grazie alla testimonianza dei caduti della resistenza: “A noi è rimasto un compito cento volte più agevole: quello di tradurre in leggi chiare, stabili ed oneste il loro sogno di una società più giusta e più umana, di una solidarietà di tutti gli uomini alleati a debellare il dolore. Assai poco, in verità, chiedono a noi i nostri morti, non dobbiamo tradirli ”
1_ B.Croce, La storia come pensiero e come azione, Laterza 1978, p.33
2_P. Calamandrei, Il Monumento a Kesserling, in Uomini e Città della Resistenza, Milano, 1994, pag. 198