La Villa Lante di Bagnaia è un giardino storico dotato di uno straordinario fascino fin dalla sua primitiva costruzione ed ha costituito una sfida per l'analisi storica e l'interpretazione dei molteplici significati, campi sui quali si è esercitata la critica fin dai primi studi apparsi sul complesso. Effettivamente, anche il visitatore contemporaneo si entusiasma di fronte all'eccezionale qualità artistica dell'insieme ma rimane sconcertato dalla profusione di emblemi singolari, come graticole, gamberi, scorpioni, motti, pitture illusionistiche o edificanti, collocati in modo sapiente, apparentemente inspiegabili ma tali da suggerire illuminanti chiavi di lettura, tutte da interpretare.
Questo difficile cammino di comprensione si presenta di particolare difficoltà per la dispersione dell'Archivio Gambara, che conservava gli atti contabili e la documentazione attestante in dettaglio l'opera del committente principale, il cardinale bresciano Giovanni Francesco Gambara, grande inquisitore. Dalle ricerche finora condotte è emersa solo una parte dei documenti relativi alla villa. La consultazione dell'epistolario del cardinale Gambara, resa possibile dall'opera di inventariazione mirabilmente condotta nell'Archivio di Stato di Brescia, ha consentito di ricostruire il clima politico, religioso e culturale in cui ha vissuto il cardinale attraverso le lettere scambiate con i suoi familiari, nonché con la più estesa cerchia di personaggi a lui più vicini; l'epistolario di San Carlo Borromeo, conservato presso la Biblioteca Ambrosiana e finora indagato solo parzialmente, ha aggiunto altri dati sul rapporto tra i due straordinari prelati in relazione alla villa di Bagnaia, vera e propria opera d'arte, in cui si traducono gli insegnamenti impartiti dal cardinale milanese al cardinale bresciano.
Tutta questa documentazione consente di interpretare l'intero complesso della villa in modo unitario, legandolo al particolare contesto politico e religioso e all'intento che ha mosso in via prioritaria il cardinale Gambara quando si è accinto a dare vita ad una simile impresa: da inquisitore di fresca nomina, ha inteso delineare un manifesto che illustrasse la Chiesa sorta dal Concilio di Trento e il percorso di salvazione che avrebbe dovuto intraprendere ogni buon cattolico, a cominciare da quelli della difficile terra della Tuscia, colti, raffinati ma non certo esemplari per ortodossia e fedeltà indiscussa alla Chiesa cattolica: esempio di villa ben diversa rispetto ai pur eccelsi giardini dei Farnese, degli Este e degli Orsini, per citare le dimore contemporanee più vicine e celebri. In questo panorama si inquadrano alcuni nuovi dati circa la cronologia e l'attribuzione ai vari artisti emersi dalla nuova documentazione, che costituiscono un tassello nella conoscenza dell'insieme, su cui altre indagini potranno portare ulteriori contributi.
Anche sull'opera del cardinale Alessandro Peretti Montalto per la villa sono apparsi pregevoli ricerche, basate prevalentemente sulla documentazione dell'archivio familiare conservato presso l'Archivio Storico Capitolino, indagato però per particolari questioni critiche e non miranti a ricostruire compiutamente l'opera complessiva del cardinale per la villa. L'indagine sistematica di questo prezioso archivio ha messo a confronto dati e notizie tratte anche da altri archivi e da testi editi, verificando quanto l'opera di quest'ultimo prelato avesse compiuto e sviluppato il grande progetto del cardinale Gambara, pur mutandone una parte del senso generale, aggiornato sulle istanze religiose di un altro periodo storico e su quelle personali del nuovo committente: la ricerca e l'affermazione della virtù, promossa da Peretti Montalto, acquista una connotazione più familiare che ecumenica, più mirante all'affermazione di un buon governo che alla proiezione verso la Gerusalemme celeste: la villa diviene espressione di un eccellente cardinale della Santa Romana Chiesa, che con le innovazioni artistiche contribuisce in modo rilevante alla nuova età barocca, insieme alla sua salvezza di fedele cattolico.