Ischia di Castro è il paese che all’inizio del XIX secolo accolse i residui di una colonia albanese giunta in terra castrense nel 1756 cui fu concessa l’enfiteusi delle tenute del Castello di Pianiano. Le due famiglie che s’integrarono nel tessuto sociale, economico e politico della Ischia ottocentesca furono tra le poche superstiti delle trentanove partite dalla Diocesi di Scutari e salpate dall’attuale Dubrovnik; una buona percentuale di ischiani porta il sangue degli albanesi Sterbini e Mida. Questa ricerca, oltre a raccogliere i frammenti rimasti della “Pianiano arbereshe”, ripercorre l’epopea e l’integrazione di avi originariamente alloglotti all’interno della comunità paesana; non più da marginali ma da possidenti terrieri pianianesi quali si presentarono alla Ischia di inizio Ottocento.
La suddivisione del testo è volta a seguire cronologicamente il cambiamento identitario di questi migranti: shqiptari (albanesi in Albania), arbereshe (italo-albanesi), geget (che parlano l’albanese del nord) ed infine ischiani dalle origini albanesi.
Il volume vuole raccontare di gente arrivata in suolo pontificio con una cultura propria, diversa, e di come si sia fusa nella comunità ischiana perdendo l’identità culturale albanese, ma per certi versi perpetuando alcuni principi caratteristici delle famiglie arbereshe. Questo perchè fino al periodo comunista la famiglia è stata la pietra angolare della civiltà albanese, concepita come comunione dei genitori e della rispettiva prole nell’unità di valori tramandati cui il clan è tenuto ad ispirarsi nelle generazioni. È un piccolo stato nello Stato con un’organizzazione economico-amministrativa, tradizioni e motti, e una gerarchia interna che si esprime nel rappresentante verso la comunità. L’indipendenza e l’onore, lo nder, sono alla base delle politiche famigliari arbereshe, per cui spesso per mantenerli la famiglia preferisce isolarsi. L’altro valore correlato allo nder è la vendetta, il principio dell’hakmarrja, che sia causata da un’offesa o dal calpestamento di un diritto. Questi aspetti storico-antropologici emergono tutti nella colonia albanese di Pianiano, assumendo i colori e le atmosfere di un romanzo verghiano. Quella della colonia Remani è una storia di perdita, riscatto, scalata sociale, onore, vendetta, tutti vissuti e consumati attraverso “La Roba”. Una storia arrivata ai giorni nostri non soltanto dalla tradizione orale dei paesi attorno a Pianiano basata sui novecenteschi racconti attorno al focolare nelle numerose case di discendenti albanesi, ma pervenutaci anche dalle memorie scritte dei protagonisti, dall’esposizione spesso faziosa. Il memoriale di Don Stefano Remani Meriti della Casa Remani verso la S. Fede e la S. Sede esprime il suo punto di vista e la sua versione dei fatti, così come Il più succinto racconto della partenza e venuta delle Famiglie Albanesi nello Stato di Castro, e dello stato in cui si ritrovano, di passaggio, toccandosi semplicemente le cose più sostanziali, di pochissimo posteriore all’altro ma anonimo, offrono quadri dei dei personaggi e delle dinamiche completamente differenti. I carteggi ufficiali camerali, notarili, diocesani, ma anche comunicazioni e resoconti di visite pastorali e apostoliche ai tempi dell’Albania pre-emigrazione fanno sì emergere una sostanziale verità che però per certi versi rimane fredda, senza i chiaroscuri dell’animo umano che l’hanno posta in essere. Del resto ogni storia merita la sua infiocchettatura ed il nastro è ben fornito dal pugno dei manoscritti e dall’operato della discendenza, gente arbereshe che generò una notevole componente linfatica nel tessuto sociale di Ischia. La seguente ricerca è stata essenzialmente volta al recupero dell’identità balcanica dei coloni di Pianiano ed al suo inserimento nella società castrense dello Stato Pontificio.
Oggi si stimano circa 100.000 italiani di cultura arbereshe, concentrati principalmente nel sud della penisola. Le fasi migratorie dall’Albania verso le coste italiane corrisposero storicamente a turbolenze sociali ed economiche nella regione ellenico-balcanica e possono essere così riassunte: la migrazione quattrocentesca, la settecentesca e quella iniziata negli anni finali del secolo scorso e ancora in atto. L’insediamento di Pianiano rappresentò la colonia più a nord delle migrazioni storiche dall’Albania. Questa componente italiana alloglotta ha dato al Paese importanti personalità nazionali. Il primo arbereshe ad avere una coscienza identitaria e conservativa al livello istituzionale e culturale fu Girolamo De Rada, scrittore, poeta e pubblicista italo-albanese vissuto nel XIX secolo borbonico. Promulgatore degli ideali illuministici e romantici, il De Rada raccolse le memorie della cultura arbereshe nelle sue opere. Nel 1848 fondò il giornale L’Albanese d’Italia comprendente articoli in lingua arbereshe; un giornale politico, storico, morale e letterario. Alcune sue opere furono confiscate dalle autorità borboniche e il De Rada fu accusato di affiliazione con gruppi cospiratori durante il Risorgimento. Dalla cultura del De Rada all’azione militare per l’Unità d’Italia del garibaldino Domenico Darnis, arbereshe di Lungro che fu fin da Quarto con I Mille, Capitano del Battaglione degli Albanesi; in seguito fu nominato Vice Comandante dell’Esercito Meridionale. La storia nazionale annovera i contributi di altri arbereshe ben più noti dei nomi sopracitati: tra i padri della Patria spicca infatti Francesco Crispi, nato da una famiglia ancora di madre lingua e battezzato con rito bizantino. Egli stesso, uno dei protagonisti del Risorgimento italiano, si firmava al contempo “Albanese di sangue e di cuore”. Tra queste figure, inoltre, va debitamente annoverata la Dora d’Istria, alias Elena Gjika, nobildonna di origini sqipetare e cittadina del Granducato di Toscana, esponente di rilievo del femminismo, della letteratura e filosofia romantica europea; fu la prima donna a scalare il Monte Bianco (1 giugno 1860).
Le personalità più eminenti che uscirono dalla colonia di Pianiano furono Mons. Michelangelo Calmet e, nella discendenza albanese naturalizzata ischiana, Mons. Michele Sterbini. Di rilievo nel panorama letterario del primo Novecento fu anche il discendente Mida Mario Puccini, giornalista e scrittore, esponente del neorealismo italiano; l’unica personalità in qualche modo ancora legata alla colonia che nel 1915 per primo s’interessò ai pochi resti della cultura albanese di Pianiano. All’interno dell’insediamento originario non vi fu mai una volontà né popolare né tanto meno elitaria di ostentare o preservare la cultura, le tradizioni ed i riti arbereshe, nella visione e nella ricerca di un’integrazione omologante che portasse benefici sociali ed economici. A differenza degli insediamenti albanesi nel sud Italia, che colonizzarono nei secoli vari feudi abbandonati in Sicilia, Puglia e Calabria, distanti dai paesi abitati dalla gente italica e mal connessi viabilmente con questi, la colonia di Pianiano era fortemente collegata geograficamente e socialmente ai centri che la attorniavano: Canino, Cellere, Ischia e Arlena. I contatti con la società locale erano qui più che frequenti e necessari, mentre nelle realtà arbereshe del Mezzogiorno predominava l’isolamento logistico e culturale in strutture comunitarie autosufficienti e autodeterminanti. Alle motivazioni della morte culturale arbereshe in territorio castrense va aggiunta l’azione di Propaganda Fide che estirpò il rito bizantino scutarino in Pianiano, occupandosi delle vocazioni provenienti dalla colonia e indirizzandole immediatamente al rito latino, rispedendole nel borgo tra la loro gente albanese come sacerdoti cattolici romani. I rifugiati che vi approdarono, e nelle generazioni ischiane, persero l’identità culturale in meno di un secolo perchè tagliati fuori da ogni tipo di contatto con altre realtà arbereshe, perchè privati della pratica del rito patrio e perchè la colonia era sprovvista di qualsiasi figura intellettuale o carismatica che avesse a cuore il tema della conservazione della cultura originaria.
Tale distacco emerge dal differente tipo di informazione antropologica contenuta nella documentazione locale rispetto a quella riferita al brevissimo, iniziale frangente della colonia Remani in Poggio Imperiale (FG). Mentre in Pianiano non si hanno che accenni alla cultura arbereshe dei suoi coloni, nel centro dauno le sue relative manifestazioni sono ben chiare e lampanti. Ma proprio nel feudo della Capitanata, vicino ad altri centri storici arbereshe, popolato nel 1761 al cinquanta per cento dagli Albanesi di Pianiano, il ribadire una diversa identità culturale significò discriminazione, abbandono istituzionale e sociale; ciò nonostante il fatto che al livello professionale-lavorativo questi arbereshe nostrani fossero molto stimati.
Dal 1845 la colonia albanese di Pianiano fu considerata ufficialmente estinta, essendo rimaste lì tre sole famiglie con cognome originale fino agli anni ’20 del Novecento: Mida, Micheli e Codelli. L’ultima discendente diretta albanese in Pianiano fu Irene Mida, deceduta nel 1937 e ricordata da una piccola lapide di travertino nel cimitero piananese. Da un punto di vista geo-antropico la colonia sopravvive tutt’oggi nella numerosa discendenza ischiana ed in quella di qualche paese limitrofo.
Un vecchio detto italo-albanese recita: “Gaq2 yne i prishur (Il nostro sangue disperso)”.