Il borgo medievale di Pianiano, frazione di Cellere (VT), si nota appena percorrendo la Strada Provinciale Doganella; infatti rimane seminascosto dietro ad alberature ed a un caseggiato a schiera, l’ultima reliquia del “Borgo” seicentesco fuori le mura. Il suo accesso non appare particolarmente agevole per chi al volante lascia la dritta via d’asfalto e si trova a dover imboccare una strettissima curva a gomito in discesa a forte pendenza, ma una volta svoltato si ha la sensazione di entrare in un altro mondo, in un altro tempo. Le quattro/cinque autovetture ed il trattore parcheggiati nello spiazzo ricavato dall’antico fossato rivelano l’esigua quantità degli abitanti. Eppure un curato giardinetto pubblico ed una vecchia altalena ben oliata mostrano una sempre presente, seppur scarsa, continuità generazionale all’interno del Castello.
Risalendo fino all’“Arco”, la porta delle mura, l’abitato ancora non si scorge; a dare il benvenuto si staglia solo il suggestivo campanile a vela ricoperto d’edera della chiesa di San Sigismondo. Un ingegnoso sistema fossato-ponte-doppia porta difendeva bene Pianiano in un lontano passato. Camminando al suo interno sopra sanpietrini e attraverso gli stretti vicoli, tra il tufo e le pianelle di cotto delle case dove piante rampicanti di edera e di vite americana si sono impossessate di tante facciate principali, sembra di trovarsi all’interno di un fermo-immagine della Vecchia Maremma.
“Pianiano” è così nominato nella dicitura ufficiale ma nei dialetti circostanti questo luogo viene comunemente chiamato “Pianana”: il “planum Dianae” di tanta storiografia. Su questo antroponimo, probabilmente riferito alla divinità classica dei boschi e della caccia, sorse non si sa quando una leggenda, quella della Principessa Diana, signora di Pianiano nella sua età dell’oro, oggi sconosciuta ai più ma ancora raccontata da Don Aventino Bacchi1 curato di San Sigismondo nella prima metà del Novecento ed allora ben nota nel circondario. La storia, ambientata in un imprecisato momento del Medioevo, raccontava di quando Pianiano era un importante e florido castello circondato da terre lavorate senza macchie attorno e retto da una donna fuori dall’ordinario: l’amata principessa Diana dalle bionde e lunghe trecce, bellissima e vanitosa, equa, giusta, dedita alla caccia, alle armi ed ai cavalli come un uomo, migliore di un uomo. Si narra che la sovrana trovò una “grotta sulla riva della Fiora affondata in mezzo alle rupi dove non c’era nessun cristiano” e dove rinvenne “pitture, e delle casse di pietra con dentro degli scheletri e, sopra, delle figure di uomini e di donne che giacevano su un fianco”. Ne rimase talmente affascinata che ordinò di portarle nella cappella del Castello e di porle al posto delle immagini e statue sacre. La principessa si immerse nella contemplazione di quelle opere tralasciando i doveri del suo ruolo. Il popolo stanco di essere trascurato entrò nella cappella e distrusse “quelle pietre sacrileghe”. “Con esse sparì la principessa, sparì il benessere, sparì la stessa città di Pianiano; s’ignora in seguito a quali fatti o avvenimenti e se tutti conseguenti a quella distruzione. Il castello comunque restò in piedi: per molti anni senza abitanti, solo e deserto nella Maremma abbandonata; ma poi alcune famiglie di profughi vi si collocarono; queste prolificarono; a poco a poco non una sola camera restò vuota nel vasto fabbricato. Tuttavia la prosperità d’un tempo non fu più raggiunta.”
Oggi il paesaggio piananese è la porta d’entrata vera e propria della Maremma; alle spalle le colline vulcaniche e boschive, davanti lande sconfinate di campi coltivati che si perdono a vista d’occhio fino a lasciare al mare la linea dell’orizzonte. Eppure le testimonianze dal passato raccontano di boscaglie e di acquitrini malsani. La messa a coltura di questa terra iniziò due secoli e mezzo fa per opera di una colonia albanese di rifugiati politico-religiosi. Fu quella gente ad iniziare il mutamento paesaggistico terminato soltanto nel XX secolo con le bonifiche e le infrastrutture di epoca fascista e con il popolamento rurale promosso dall’Ente Maremma. Fu il lavoro e la fatica di gente albanese che salvò l’ameno borgo che è oggi Pianiano, e con esso il suo passato, dall’abbandono insediativo e dalle macchie che se lo stavano divorando.
Qui quelle persone trovarono una nuova casa, una nuova Patria, portando la loro storia nella nostra storia ed entrarono a farne parte.