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Da anni, nel campo degli studi specialistici sull'arte ceramica, assistiamo ad un fenomeno in espansione che interessa la tendenza alla regionalizzazione degli studi. Diversamente da quanto è avvenuto per quello che concerne la produzione fittile dei centri più accreditati della penisola, ancora oggi, non è stata scritta né documentata a sufficienza una storia organica ed esaustiva per quello che concerne la cultura ceramica di Roma e del Lazio. E forse mai si scriverà; per motivi diversi che non stiamo qui ad elencare. Non ultimo, il disinteresse o la scarsa sensibilità dimostrate anche dagli organismi pubblici istituzionali, delegati alla tutela, alla  conservazione e valorizzazione del patrimonio artistico. L'esiguità dei fondi necessari per gli investimenti a più ampio raggio, non può e non deve costituire una attenuante, considerando che un numero sempre crescente di studiosi e ricercatori mostra di volersi occupare attivamente di queste problematiche. A fronte di una serie sterminata di studi specialistici riguardanti l'alta epoca: dall'antichità classica al Settecento, poco si è fatto per i secoli XIX e XX. Solo a metà degli anni Ottanta, per opera di studiosi come Mario Quesada, Irene de Guttry e Maria Paola Maino, si sono riscoperte delle realtà culturali ed artistiche che hanno portato alla giusta rivalutazione della scuola ceramica romana degli anni Venti e Trenta del Novecento, disvelandone il suo vitale rapporto con agli sviluppi più aggiornati del modernismo novecentista. Si trattava di una operazione di rinnovamento operato nel settore delle arti applicate, il quale ruotava intorno alla febbrile attività di Duilio Cambellotti e alla versatile intraprendenza di alcune piccole e medie fabbriche condotte da  imprenditori coraggiosi come Ferruccio Palazzi, Oreste e Romeo Borzelli, o da società cooperative come la S.I.P.L.A. Una breve ma vitale parentesi creativa che, nonostante l'indubbio valore, stenta ancora oggi a trovare adeguata e più consona collocazione nel panorama europeo delle arti decorative.
Rimaneva, e per certi versi rimane tuttora, una zona d'ombra, rappresentata dalla produzione fittile riferibile alla seconda metà dell'Ottocento; periodo meglio conosciuto con l'appellativo di “eclettismo storicistico”. Questo movimento artistico risente ancora oggi dei giudizi critici fin troppo severi espressi da una storiografia in molti casi prevenuta,  proclive a liquidare con malcelata riluttanza la ceramica italiana degli ultimi decenni dell'Ottocento. Per quanto ci riguarda -segnatamente alla scuola romana dell'Ottocento- ci sentiamo in dovere di pervenire ad una nuova “messa a fuoco”, necessaria per aiutare a riflettere serenamente rispetto alle sentenze del passato, dettate dagli stereotipi storiografici più consumati.
Nel riferirsi al movimento eclettico, attinente la produzione della ceramica artistica, si è parlato molto spesso di puro esercizio accademico o di imitazione convenzionale degli stili del passato, colpevole di aver favorito la  degenerazione del gusto, e contemporaneamente, alimentato a dismisura l'industria del falso. Tutti argomenti, questi, che hanno un fondo di verità storica, ma che non esauriscono il dibattito proprio in virtù della natura complessa che li ha generati.
Un esempio. È' provato storicamente che il fenomeno del falso interessa tutte le epoche storiche: dall'Oriente ellenistico al Rinascimento, fino a giungere alle soglie del secolo XX, dunque non può essere argomento risolutivo né discriminante per etichettare una precisa corrente artistica; tanto più che questa materia interessa maggiormente gli aspetti legati alla sfera morale e legale, piuttosto che quella puramente estetica. Possiamo invece aggiungere che, pur in misura apparentemente minore, la corrente eclettica più aggiornata e colta, che fa riferimento all'arte fittile del XIX secolo contribuì non poco agli sviluppi ulteriori di questa disciplina. Ed è proprio nel rapporto che lega questi artisti al passato la chiave di volta che può fornire delle risposte esaurienti. Il clima di profondo interesse per il mondo della rinascenza, assai diffuso in quegli anni, diede l'avvio ad una singolare produzione intesa non tanto a “falsificare” l'oggetto d'arte, quanto a gareggiare con gli “antichi” per emularne i risultati. Si tendeva, attraverso la copia in stile e lo studio sapiente di varianti più o meno consistenti, a dare un senso di contemporaneità al fare artistico. Assistiamo, non solo a Roma, ad una caparbia ricerca di riappropriarsi  delle tecniche e dei materiali con lo scopo precipuo di riviverne lo spirito compositivo e di riacquistare il mestiere perduto. Ci troviamo di fronte ad una mobilitazione di energie intellettuali e manuali senza precedenti; sorrette, peraltro, da uno slancio idealistico strettamente connesso alle problematiche sociali e politiche che convergevano nell'obiettivo di connotare la nuova identità nazionale attraverso uno stile artistico capace di rappresentarne il nuovo assetto politico nel grado più alto di eleganza ed ufficialità. Per questo  fatte salve alcune prerogative di carattere esclusivamente estetico, che fanno riferimento alla varietà dei giudizi e alla mutevolezza dei gusti personali  dobbiamo considerare una buona parte dell'eclettismo ottocentesco, quello più aperto e innovativo, con occhi diversi. Questo, si distingue per originalità e attualità storica da altri eclettismi di ritorno, di sapore storicistico e neoarcheologico, i quali imperversano per tutto il secolo XX; esperiti decisamente sul terreno di una sterile superficialità ancorché svuotata dei contenuti epocali. Siamo al cospetto di un riflusso stilistico che si ammanta di  edonismo celebrativo decisamente retorico e commerciale, volto a soddisfare le esigenze di una parte del pubblico eccessivamente ancorato alle mode e ai gusti del passato. Un fenomeno di costume ancora più stridente e ambiguo, soprattutto se paragonato all'evoluzione in chiave moderna che va a designare gran parte della produzione d'avanguardia del Novecento, presente anche nel settore  delle arti decorative.
Non esitiamo ad aggiungere che alcuni degli artisti operanti nell'Ottocento, possono essere considerati i veri antesignani della ceramica moderna. Per rimanere sulla scena romana, siamo portati a credere che un ceramista come Torquato Castellani, nella sua produzione più matura, può rappresentare l'anello di congiunzione tra il vecchio e il nuovo mondo. Alcun sue soluzioni formali hanno influenzato non poco gli esiti artistici di Olga Modigliani, ceramista di fama, sempre in bilico fra tradizione ed innovazione. Si possono cogliere, altresì, echi del recente passato nell'opera di valenti ceramisti romani del Novecento come ad esempio Renato Bassanelli e  Renzo Cellini. Artisti che, come tanti loro contemporanei, hanno saputo unire in modo personale la tradizione storica con gli aggiornamenti sostanziali apportati dalle correnti moderniste e secessioniste europee.
Nel progettare questo lavoro ci siamo trovati davanti a difficoltà di non poco conto. La mancanza di studi specialistici sulla ceramica ottocentesca romana avrebbe scoraggiato qualsiasi tentativo. Alla frammentarietà delle notizie storiche e bibliografiche, si aggiungeva la scarsissima testimonianza iconografica dei manufatti. Dovevamo dare un volto e una collocazione estetica a personaggi come Torquato Castellani, Guglielmo Castellani, Pio Fabri, Camillo Novelli, Costantino Tanfani, sul conto dei quali poco o nulla si conosceva. Questi ceramisti rappresentavano, e rappresentano ancora oggi, la punta di un iceberg molto profondo, riflesso di un fenomeno artistico ed artigianale più esteso di quanto non si pensi. Andati dispersi o seriamente depauperati la maggior parte degli archivi privati di questi artisti (ad eccezione di quelli di Pio Fabri e Guglielmo Castellani in minima parte conservati dagli eredi), abbiamo deciso di ricostruire le vicende storiche ed artistiche che li interessavano attingendo abbondantemente alle notizie pubblicate nei quotidiani e sulle riviste dell'epoca e - per quanto ancora disponibile - riferendoci ai fondi archivistici conservati nelle  biblioteche romane. Il risultato finale, acquisito attraverso la selezione e la collazione del materiale a stampa e archivistico, è confluito in gran parte nella sezione documentaria di questo saggio, decisamente corposa; essa deve considerarsi parte integrante del testo e suo naturale complemento analitico. Naturalmente, un lavoro del genere non può mai dirsi concluso; in quanto deve configurarsi come vero e proprio “work in progress”, soggetto ad adeguamenti, anche sostanziali, dovuti al  possibile reperimento  di nuove fonti documentarie.
Per quanto concerne l'acquisizione della documentazione fotografica relativa ai manufatti ceramici, ci siamo attivati nel predisporre una ricognizione il più possibile capillare presso i musei italiani ed esteri, laddove esistevano cospicue collezioni di ceramica ottocentesca, mai pubblicate e nella maggior parte dei casi ancora ospitate nei depositi. Analogamente, non si è trascurato l'apporto essenziale costituito dal mercato antiquario e dal collezionismo privato, serbatoi di conoscenza inesauribili. La ricerca  ha dato esiti positivi, superiori alle  aspettative; ma tanto, tantissimo, c'è ancora da fare e da scoprire
In fase di stesura del presente saggio, ci siamo sforzati di testimoniare una panoramica storica la più esaustiva ed attendibile, compatibilmente con le notizie che fino ad oggi siamo stati in grado di reperire. Allo stesso tempo si è cercato di  progettare il volume quale agile strumento di consultazione. Nel contemperare questi due aspetti è possibile essere incorsi in omissioni involontarie o aver ecceduto eccessivamente in sinteticità. Laddove questo si fosse effettivamente verificato, ce ne scusiamo preventivamente con i lettori.
Nel corso delle ricerche e durante la stesura di questo lavoro ho acquisito diversi debiti di riconoscenza. Innanzitutto con Maria Paola Maino e Irene de Guttry, le quali, in occasione della mostra “Artisti e Fornaci. La felice stagione della ceramica a Roma e nel Lazio (1880  1930)”,  Roma 2003,  mi hanno offerto la possibilità di “sdoganare” gran parte degli artisti romani attivi nel secondo Ottocento e gettare quindi la basi per questa pubblicazione. Ugualmente, la mia gratitudine va a tutte quelle persone che con il loro aiuto hanno reso possibile la realizzazione di questo libro. In particolare a  Timothy Wilson, Terry Bloxham, Jennifer Opie, Laure Chabanne, Otto Mazzuccato, Maria Paola Soffiantini, Pier Andrea De Rosa, Bruno Cagli, studiosi, i quali hanno risposto generosamente e con sollecitudine, alle mie richieste; essendosi prodigati non poco nel segnalarmi opere riguardanti gli artisti oggetto di questo studio. Di notevole importanza e sempre determinante, è stata la collaborazione che hanno saputo offrirmi il dott. Giorgio Saraceni Ricci e il di lui fratello, dott. Roberto, nel mettermi a disposizione la loro collezione e l'archivio privato. Essi sono discendenti di importanti famiglie romane dell'Ottocento come quelle dei Castellani ( da parte dell'orafo Augusto), e dei Fabri. Il loro merito, che in questa sede mi piace segnalare perché non comune, è stato quello di perseverare nella tenace opera di conservazione e valorizzazione del patrimonio di famiglia, per decenni malauguratamente trascurato, o soggetto a frammentazioni e depauperamenti. Sulla stessa linea, e per questo altrettanto significativa, si è rivelata la collaborazione prestatami dal dott. Pierluigi Roesler Franz; in particolare per quanto è riferibile alla ricostruzione delle vicende umane ed artistiche di Guglielmo Castellani.
Necessaria e quanto mai opportuna è stata la solidarietà e la disponibilità testimoniata da Enrico Camponi, Americo Buranelli, Massimo Prosperi e Angelo Tuccillo; amici con i quali condivido l'amore e la passione per la cultura ceramica romana. Numerose le persone che con il loro aiuto hanno reso sostenibile e tangibile quello che all'inizio era soltanto una ipotesi di lavoro. Questa è la sede più idonea per ringraziarle nuovamente; spero solo che la memoria non mi faccia difetto e mi consenta di citarle tutte :Lucos Cozza, Lorella Ranzi, Fabio Betti, Simonetta Sergiacomi, Camillo Scandariato, Irina Hargan, Patrizia Corby, Carla Ramadori, Maria Giulia Roesler Franz, Luigi Morino, Carlo Morino, Marco Trimboli, Giorgio Gualtieri, Sabina Roesler Franz, Elisabetta Alpi, Luca Del Monaco, Eliana Ciotti, Annalisa Bini.
Una menzione particolare la merita Davide Ghaleb, giovane editore di Vetralla, per la pazienza con la quale ha seguito gli sviluppi di questo lavoro. Egli ha saputo mettere ordine alla mia prorompente “vitalità creatrice”.
Da ultimo, ma non per ultimo, mi corre l'obbligo di chiosare queste brevi note di ringraziamento con un pensiero rivolto a tutti quei ceramisti, noti e meno noti, che sono stati al centro dei miei recenti studi. Con la loro attività e attraverso le personali vicende umane ed artistiche, hanno consentito allo scrivente di addentrarsi, nei meandri poco frequentati di un microcosmo artistico e produttivo sempre in fermento; dominato da grandi passioni e da chimeriche illusioni. Esse ruotavano ed interagivano con gli avvenimenti storico-artistici e politici allora dominanti, i quali hanno contribuito in modo sostanziale a disegnare il volto moderno di questa città, nel periodo, quello umbertino, fitto di motivazioni e convergenze, ma contrassegnato pure da palesi  contraddizioni e da ambiguità ideologiche. A tutti coloro, la mia più sincera riconoscenza.