IL SANGUE DEI SANTACROCE
OVVERO
DON GIOVANNI A VIANO
di Antonello Ricci
«Poi gli occhi di Piccolo si appuntarono sui miei libri (vecchi libri che scovavo qua e là sulle bancarelle), ne lesse i titoli, rise, guardò me, s’accorse che ero come contrariato, e si scusò: – Gli almanacchi, le guide, le storie locali, ah, sono pieni d’insospettabile poesia.»
Era quasi scontato che questa frase di Lucio Piccolo a Vincenzo Consolo mi sarebbe tornata in mente quando – qualche mese fa – Roberta Ferrini volle prestarmi il volume di Marcello Piccioni, I figli del Pellicane. Storia della famiglia Santa Croce di Viano, Oriolo e Rota dal 1598 al 1604 (Banca di Credito Cooperativo di Capranica e Bassano Romano, 2002). Forse anche perché l’autore – medico di base a Canale Monterano e personaggio di spicco all’ombra del proprio campanile (di cui è stato anche sindaco) – vi si definisce senza se e senza ma «appassionato alla storia locale fin dal Ginnasio.»
Roberta aveva ragione: I figli del Pellicane è libro davvero colmo «d’insospettabile poesia». Una storia – tremenda esemplare vicenda che l’autore ha saputo ricostruire con cura certosina ma anche vigoroso piglio romanzesco – da meritare senz’altro una passeggiata del Santo Editore Ghaleb. Un pasticciaccio brutto «come la merda che tanto più si mestica, tanto più puzza.» La storia dei Santa Croce di Viano, Oriolo e Rota – voglio dire – che a un certo punto finì attuffata, tinta ed estinta nel sangue con la decapitazione dell’ultimo suo rampollo: lo spavaldo quanto poco previdente Honofrio. Non sarà stato un caso che i Santa Croce fossero strettamente imparentati con i Cenci. I Cenci, sì: quelli della Beatrice immortalata da Stendhal nelle sue Cronache italiane o da Lucio Fulci in un film del 1969 con set al castello Orsini di Bracciano. Una vicenda dai tratti marcatamente granguignoleschi, questa dei Santa Croce: con la madre Costanza (in pessimi rapporti sia con quel «cervellaccio» di Honofrio che con la nuora Erminia) sospettata d’esser gravida (era afflitta invece da idropisia) e “perciò” trucidata a colpi d’ascia da un altro dei suoi figliuoli: Paolo, ingrato cocco di mamma e ingravida-servette melancolico (agli estremi della depressione) ma anche mezzo mentecatto. Soggetto borderline al punto che nessuno fra gli inquirenti si curò di raccoglierne la testimonianza sui fatti. O forse l’omissione fu voluta ad arte? Certo è che per noi lettori di oggi quel teatro di azioni e moventi resta ambiguo e inquietante. Fu veramente per rabbia che Paolo giunse alla truculenza del matricidio? Fu veramente plagiatore Honofrio, regista occulto dell’insano gesto del fratello, o non piuttosto il capro espiatorio di circostanze e macchinazioni procurate nell’ombra da soggetti terzi e rivolte a interessi ben più concreti (come rapine di feudi, titoli e possessi)? Quale il vero ruolo, nella notte horror di Subiaco, di un prezioso anello trascorso – ahimè – di dito in dito insieme con le dicerie di una certa rivalità amorosa tra Honofrio e un porporato assai – troppo – in vista nella Roma di quegli anni?
Roberta aveva proprio ragione. E noi non abbiamo resistito. Per questa tragedia tardo ’500 (con tanto di “inferno” di famiglia e intrico a corte) quale miglior teatro en plein air del borgo abbandonato di Vejano? Ai piedi di un castello già ridotto in macerie sul crepuscolo del secolo XV (per volontà di papa Borgia) e poi rimesso in piedi e donato ad arte (insieme con la titolarità feudale, probabilmente per scampare alle feroci rappresaglie di cui erano oggetto) dai perseguitati Orsini proprio ai fedeli Santa Croce. Con un impegno solenne e notarile da parte di questi ultimi: avrebbero restituito feudo e castello ai signori primigeni quando il seme maschile del Pellicane (questa la suggestiva araldica di Giorgio, patriarca-fondatore della schiatta) si fosse estinto. Così, per un giorno, vicoli piazze grotte rupi rovi rovine ortiche della pittoresca città morta di Vejano (alias la vecchia Viano: abbandonata dagli anni del secondo dopoguerra e ormai da tempo interdetta al pubblico transito: sigillata con cancelli chiavi e chiavistelli) si rianimeranno, tornando a echeggiare delle parole e dei gesti di una tragedia storica e localista al tempo stesso. Tutta europea tutta laziale.