GRANO - Domenico Birelli
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Prefazione

di Gabriella Norcia



“Ma quando non ci sarò più io, chi ve le racconterà ‘ste cose?”
Voglio aprire con il tormentone che ha accompagnato tutta la narrazione che Domenico, per la terza volta dopo le precedenti pubblicazioni L’ultimo casaccio e Monte Fogliano, ha deciso di regalarci. Il significato profondo di questo lavoro è tutto qui. E non si tratta essenzialmente di una battuta macabra, che prelude ad eventi infausti. Si potrebbe “non esserci” in molti modi. Mi sono imbattuta in questi ultimi anni, nella cura di questa collana editoriale, in diversi tipi di narratori o di non narratori. C’è chi, sia pur sollecitato, ha scelto la via dell’oblio della memoria, ha scelto di non raccontare per stanchezza, per il desiderio di annullare eventi ritenendoli poco interessanti o troppo dolorosi, c’è chi ha abbandonato il filo generazionale sulla via del “tanto che ne capirebbero...ma chissà a chi interessa più...ormai quello che è stato è stato...”. Si può non esserci più in tanti modi, o si può decidere di non esserci mai stato. Ma non è il caso di Domenico e di Attilia, sua musa e compagna di viaggio. Domenico ama profondamente la vita e quello che la vita ha da offrire. Ci racconta di periodi che per altri, compresa la Storia, sono stati periodi bui e ce li racconta con l’entusiasmo e la freschezza del bambino e dell’adolescente che è ancora tenacemente in lui. Ce li racconta con la sorpresa e la meraviglia negli occhi, con un profondo e viscerale amore per la natura che lo circonda e lo avvolge nella coperta dei ricordi. Ho fatto con lui passeggiate nei luoghi di cui si parla in questo testo, a volte mio figlio era con noi e Domenico era a lui che si rivolgeva “Elì, e chi te le dirà più tutte ‘ste cose!” ma con la scintilla dell’entusiasmo negli occhi, felice di depositare un tesoro in un forziere comunque sicuro. Mi ha sempre colpito il modo in cui Domenico racconta, che ho ritrovato soltanto in un’altra narratrice d’eccezione, Agnese. Racconta con gioia, mai una parola fuori posto, del tipo “...ma i giovani che ne sanno...ma che ve lo dico a fa’...”. Domenico chiude pillole di saggezza e informazioni preziose, costruite con la fatica degli anni, dentro libri-forzieri e li regala a noi tutti.
Qui si parla di grano, anzi essenzialmente del pane, in tutta la sua potenza storica. Si parla di una costellazione di uomini e donne che hanno portato avanti la propria vita con fatica, si parla di gesti antichi e di oggetti spostati ormai nell’armadio del tempo che fu. Si parla del lavoro della terra e di luoghi naturali duri, compresi nella propria autodifesa nei confronti dell’invadenza umana.
Grano è un tuffo nel passato, ma è anche un invito a tornare sui luoghi di cui parla: a noi che l’abbiamo curato è scattato subito il desiderio di correre a Monte Calvo, di cercare i fontanili d’acqua sorgiva rimasti ancora oggi, di far correre lo sguardo cercando il movimento delle spighe di grano, ondeggianti tutte nello stesso verso sotto la spinta morbida del vento. Lo stesso desiderio che abbiamo provato quando lavoravamo al testo di Monte Fogliano. Leggete i suoi racconti e capirete che Domenico ha vinto, facendoci tornare la voglia di guardare con occhi attenti, di imparare passeggiando, di trovare i tesori che sono intorno a noi e soprattutto, ci ha donato la voglia di ascoltare che è dentro di noi.