WOMEN IN LOVE
Giuseppe Emiliani
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Presentazione di Andrea Porcheddu

In un bellissimo libro di qualche anno fa, Harold Bloom sosteneva, più o meno, che «Shakespeare ha inventato l’Uomo».
Secondo il noto critico americano, infatti, l’uomo occidentale ha avuto pensieri, ha elaborato modi, dubbi, azioni, reazioni grazie al genio di Shakespeare. È stato lui, per la prima volta, a raccontarci chi siamo, e cosa saremmo diventati. Prima di Shakespeare l’Uomo era un altro. Poi, con i suoi testi, siamo stati noi. Nel canone Shakespeariano, come si sa, c’è spazio per tutti: dall’affascinante malvagio Riccardo III al sorprendente e geniale Falstaff, dal sottile Amleto all’eroico Bruto.
Ma la cosa curiosa è che, oltre agli eroi, oltre i grandi protagonisti, il mondo di Shakespeare è popolato da tante figure – erroneamente considerate marginali – che popolano le sue storie. Se ne sono accorti in tanti, ovviamente, nella storia recente del teatro. Se è accorto un autore raffinato come Tim Crouch, che ha scritto alcuni monologhi inserendoli in un ciclo dal titolo I, Shakespeare. Si tratta di una sorta di spin off, di microstorie che si staccano dalla storia principale e acquistano vita autonoma: per contrasto o completamento, per piglio rivendicativo o per ansia di chiarimento, i personaggi «minori» prendono la parola, e dicono la loro. Crouch ha dato, così, voce a Cinna, il poeta ucciso nel Giulio Cesare; a Fiordipisello, marginalissimo elfo del Sogno di una notte; oppure a Calibano, il «selvaggio» de La Tempesta.
E se n’è accorto, con il consueto acume, anche Bepi Emiliani.
Di Bepi – lo chiamo così, con un tono amichevole che il lettore spero mi perdonerà: ma con Giuseppe siamo amici, e gli amici lo chiamano Bepi – conosco bene l’avventura registica.
È un regista raffinato, attento, dalla cifra garbata e al tempo stesso incisiva. Ha attraversato testi classici e contemporanei, tenendo sempre d’occhio il «suo» Goldoni, di cui ha svelato tensioni e poeticità in numerosi allestimenti, molto apprezzati da pubblico e critica.
Il suo approccio registico è – per riassumerlo qui grossolanamente – duplice: da un lato una cura per l’Attore, una attenzione costante al dato interpretativo, in una dialettica continua, fatta di stima, confronto, ascolto, con gli interpreti che di volta in volta sceglie per i suoi progetti. Dall’altro, l’attenzione al dettato del testo, il rispetto per il dettato del testo. Regia «critica», si sarebbe detto qualche decennio fa: nel suo procedere, Emiliani studia le possibilità del testo, ne svela attualità, tensioni, contraddizioni, lo spinge – classico o contemporaneo che sia – a parlare in modo vivo e vero sulla scena. Non allestimenti estetizzanti (seppure costante è l’attenzione al bello), né vuote formalità: ma un porgere il testo al pubblico, tramite il magistero attorale, con determinazione. Gli spettacoli di Bepi Emiliani «arrivano», parlano e si fanno capire dallo spettatore.
Dunque, dicevo, conoscevo bene il regista, ma qui scopro l’Autore, il drammaturgo.
Con uno slancio che lo apparenta a Crouch, Bepi Emiliani dedica la sua scrittura a certi personaggi femminili di Shakespeare. E sono donne: sono appunto le regine, le mogli, le amanti, le figlie, che qui si svelano, si raccontano. Lo fanno sorprendendoci, perché sono portatrici di un mondo «altro», diverso da quello ufficiale. Nelle versioni di Emiliani, le donne di Shakespeare prendono la ribalta, con forza e determinazione: senza timori reverenziali, senza tentennamenti, svelano la loro natura con ironia e ferocia. Allora, seguendo la suggestione di Bloom, ci accorgiamo che Shakespeare ha inventato la donna. Perché sono figure forti, affascinanti, controverse nella loro bellezza.
L’Emiliani drammaturgo svela dunque una scrittura sapiente, solo apparentemente facile perché felicemente efficace. I suoi monologhi sono fotografie, flash intensissimi, brevi squarci su mondi possibili: illuminano per un istante la tragedia che è alle spalle. Eccole, allora: Women in love, donne in amore. Perché di amore si tratta: passionale, feroce, negato, violento, tragico. Donna Capuleti; Lady Macbeth; Ofelia; Titania; Desdemona; Jessica ovvero la figlia di Shylock de Il mercante di Venezia; Lady Anna: sono loro le protagoniste, le voci di questo coro di struggente verità. A queste fa da contrappunto una sola figura maschile: Jago, contraltare di queste storie tutte al femminile.
La scrittura di Emiliani è tesa, lineare, capace di chiamare in causa l’originale shakespeariano ma di portarlo, volutamente, verso altri lidi. Non sono esercizi di stile, non sono variazioni sul canone. Semmai racconti di preziosa forza letteraria che si fanno teatro. Perché, ovviamente, Bepi Emiliani non perde l’occhio sornione del regista: nel momento in cui scrive, sa già per chi e per dove sta scrivendo. Sa già le sue attrici, le sue voci. Sa già gli spazi in cui si muoveranno quelle figure.
Quando ho visto una prima versione scenica di Women in love, le donne di Shakespeare, il viaggio narrativo doveva ancora essere completato: eppure vi era già un percorso, un affondo in mondi diversi cui lo spettatore si «affacciava» camminando da una stanza all’altra del bel Palazzo Mocenigo di Venezia. In quegli ambienti settecenteschi, decisamente suggestivi, le attrici apparivano e si dissolvevano: era come se il pubblico, affascinato e turbato, le chiamasse alla luce, le evocasse per ascoltare le loro storie, e loro – quasi condannate a ripetere le proprie ossessioni – ostinate e dolenti, le ripetevano.
La cosa bella, che ci regala questo volume, è che quei racconti sono in pagina, stampati, uno di seguito all’altro. Ogni lettore potrà evocare ancora le donne di Shakespeare: e magari altre attrici potranno dare corpo e voce a quelle anime inquiete.

Roma 5 gennaio 2015