Marharemark è il toponimo in lingua longobarda, dalla scrivente ricostruito, che pronunciato in volgare italico suona ancora oggi come “Maremma”, ossia “la terra dei cavalli da guerra”. Viene dall’accostamento di tre parole longobarde, mar: cavalli, hare: esercito/guerra, mark: terra di confine, in questo caso tra Tuscia Romana e Tuscia Longobarda. Ma se si prende a riferimento la traduzione di hare come “esercito” si ottiene una visuale più vicina alla concezione che i Longobardi avevano di se stessi come popolo: era una cultura, la loro, che nominava il popolo longobardo libero come “esercito”, quindi con quest’accezione Marharemark si può tradurre come “la terra dei cavalli dei Longobardi”, di cui il territorio Nord Castrense entrò a far parte. La sua evoluzione in “Maremma” si ebbe quando hare si evolse in er, (come hari-manno: “uomo dell’esercito-longobardo libero” diventò Er-manno, antroponimo rimasto nella lingua corrente) la cui “r” si soppresse legandosi alla “m” che si rafforzò nella doppia, e vennero eliminate le consonanti finali come da volgare italico. Già solo l’eredità di questo nome è il sentore del contributo che i Longobardi lasciarono nella storia della nostra identità su questa terra.
In questo quaderno si parla di un periodo della storia d’Italia, in particolare del Nord Castrense, abbacinato dal fascino etrusco e dai fasti latini e rinascimentali; un periodo, quello longobardo, che in realtà influenzò questo territorio, il suo folklore ed i suoi dialetti molto più di quanto non si possa pensare, in un momento storico di formazione della nostra identità italiana; proprio perché i duecento anni di Regno Longobardo in Italia, dal 568 al 774, fanno parte di quel Medioevo che vide nascere la definizione dei popoli europei. Un periodo che non mi piace chiamare “di invasioni”, ma “di migrazioni”, che portarono un rimescolamento genetico e culturale in Europa. La storia dell’uomo europeo è la storia delle migrazioni; popolazioni nomadi da sempre, fin dalla partenza indoeuropea, che conquistarono, si spostarono, soccombettero ad altre, tutte tese alla propria stabilizzazione geografica. I Longobardi fecero parte di quelle popolazioni chiamate “barbare” in continua migrazione. La loro origine è indoeuropea, coloni nel lontano Nord, nella Scandinavia. Il loro nome originario winniler, winn: combattenti, è lo stesso del finn di Finlandia. Da qui al Baltico attorno all’anno zero, quando inglobarono il primitivo popolo degli Scritofinni. Nei cinque secoli successivi solcarono a cavallo l’Europa nord-orientale fino al Danubio, per arrivare in Pannonia e nel Norico a metà del sesto secolo, raccogliendo ed inglobando lungo il cammino elementi umani e culturali di mezza Europa continentale. Arrivarono così sulle Alpi nel 568 e penetrarono in Italia senza uno scopo ben preciso, come era stato fino ad allora il loro vagare: razzia e stanziamenti brevi; esaurite le risorse di un luogo erano pronti a ripartire per andare a sfruttarne un altro.
C’è da precisare, a questo punto, che l’indole da predone era dovuta al loro numero esiguo che non poteva contrastare un regno consolidato; e fu il motivo per cui si trovarono costretti a rimanere in Italia. Infatti negli anni della loro calata il regno franco si era esteso ad est e quello àvaro rafforzato ad ovest, per cui si trovarono bloccati nella penisola ad ordinarsi finalmente come Regno. La conquista longobarda dovette rappresentare una delle prove più dure che la popolazione della penisola abbia mai affrontato. Inserita all’interno di un periodo di decadenza italica bizantina, dominato da guerre e pestilenze, spiccò per i suoi toni crudi e violenti. Infatti i Longobardi che andarono a inserirsi sia nelle realtà urbane che in quelle rurali pensarono dapprima a rendere inoffensiva la componente in grado di contrastarli, uccidendo e razziando gran parte dei potenti italici di qualsiasi rango. E questo perché i Longobardi erano in netta minoranza demografica. È questa la faccia della fase barbarica della nostra storia che ci è stata lasciata nell’immaginario da tutta la storiografia precedente ai nostri giorni. L’immagine del “barbaro longobardo” viene da papi che li chiamarono “La perfida e fetentissima stirpe dei longobardi, che non viene neppure enumerata tra i popoli…1”, dai neoguelfi che sostenevano l’azione dei papi che salvarono l’Italia dalla barbarie longobarda, dallo Stato Pontificio che chiamava a difesa la Francia nei moti risorgimentali come invocò Carlo Magno contro i re longobardi (che avrebbero voluto invece un’Italia unita mille anni prima in un’unica Longobardia), dai comunisti del dopoguerra che li vedevano come il Satana tedesco-ariano. Nel Novecento il discorso longobardo interessò per lo più il fattore archeologico della mera classificazione, come se quel periodo fosse stato una pura accidentalità nella storia italiana. Non è un caso che i pionieri dell’archeologia e della storiografia riguardante i Longobardi in Italia furono tedeschi: Otto von Hessen e Wilhelm Kurze. Il fatto è che sui Longobardi hanno pesato due grandi “colpe” nella visione postuma degli italiani: non essere né romani né cristiani; peggio, di aver combattuto contro queste due realtà nel tentativo di affermare la propria identità di popolo in una geografia, l’Italia, che seppur lentamente inquadrarono come la loro Patria. Che poi cercarono di immergersi nel suo substrato italico, diventando cattolici e sforzandosi di far propri gli strumenti più elementari della civiltà latina, e continuatori dell’antica cultura indoeuropea come quella romana, proponendosi come eredi del mondo antico, questo contò poco negli approcci storiografici, fino a pochi decenni fa. L’elemento longobardo, se non ignorato, veniva visto come un corpo estraneo rimasto qui per duecento anni ed eliminato da un altro re barbarico, ma fortemente cristiano, fedele al papa e pronto a diventare un nuovo “imperatore romano”. Ma nella realtà quei duecento anni, cronologicamente così delicati e decisivi nella formazione dei popoli europei, non furono per niente eliminati; anzi in quei duecento anni si formò una popolazione mista, seppur geneticamente separata, di stessa lingua, il volgare latino, stessa religione, cattolica, di stesso diritto, che ormai era quello longobardo, presupposti che sono alla base della moderna definizione di “nazione”. Quei duecento anni li ritroviamo nella nostra lingua, con parole di uso quotidiano che diamo per scontate essere italiche, ma che invece provengono dal profondo Nord; li ritroviamo nei nomi dei luoghi che abitiamo e nel paesaggio che ci circonda; li ritroviamo in certe architetture o strutture urbane, ma soprattutto li riviviamo nella cultura popolare che ci ha forgiato, in detti, usanze, credenze e rituali folkloristici, ed anche in aspetti della nostra religiosità.
Grazie ad una recente sensibilizzazione, il tema longobardo può essere finalmente affrontato unendo vari campi d’indagine; non più solo l’archeologia, ma anche topografia, linguistica e antropologia.