Ognuno di noi ha nel cuore un periodo storico che più affascina e più attrae, per inclinazione, per suggestione o più semplicemente per vicinanza personale; il mio è la storia del popolo longobardo.
Nell’estate dei miei sedici anni venne inaugurata la sezione longobarda del Museo Civico “Pietro e Turiddo Lotti” di Ischia di Castro, il mio paese natale, dedicata ai ritrovamenti del sito La Selvicciola. Ed io ero là, sui resti di quel manso e poi all’inaugurazione di quelle vetrine con sax, l’umbone di scudo, cinture a placche; io ero là, in piedi davanti agli imponenti resti mortali del longobardo che li aveva portati. Forse fu lì che si fece strada in me quella strana idea, quella sensazione di influenza, di legame, che cambiò la mia percezione del territorio.
Io lo conosco bene; sono cresciuta in un mondo sociale agricolo fatto di orti, vigne, pascoli, boschi, riserve di caccia e pesca, sentieri da funghi, intrecciati da un dedalo di stradine di campagna che solcano la varietà paesaggistica locale. Le ho percorse per tutta l’adolescenza in sella ad un motorino, imparandone i nomi, documentandomi sulla loro storia, flora, fauna e geologia; e con in testa “il longobardo”. Approfondendo negli anni della maturità lo studio della cultura longobarda da ogni visuale scientifica (storiografia, archeologia, linguistica, antropologia) ed applicandola al mio territorio (cartografia e toponomastica), mi sono accorta che quella percezione adolescenziale forse non era strana; la mia terra, ai miei occhi, fu forgiata dai Longobardi e le pagine che seguono tenteranno di darne prova.
Si tratta, infatti, di una visione da un’altra prospettiva della storia altomedioevale locale, che usa come fuoco la cultura longobarda.
La suddivisione del testo nei capitoli del Quaderno non è una struttura chiusa a comparti argomentali o temporali, ma serve soltanto come definizione di tematiche di un discorso d’insieme molto ampio. Dall’inizio alla fine del libro gli argomenti trattati s’incastrano tra loro con rimandi e anticipazioni necessari per la giusta chiave di lettura ai fini di una migliore comprensione.
Questo Quaderno di Ischia di Castro allarga la ricerca ed i temi trattati anche ai territori dei Comuni limitrofi, in quanto nell’epoca affrontata i confini non corrispondevano agli attuali e vi erano altre realtà insediative, oggi non più tali o scomparse, che intersecavano le odierne pertinenze comunali. Per cui è necessario inserire nel discorso anche Cellere, Farnese, Valentano, Latera, Manciano e Pitigliano.
Il metodo qui usato si scosta leggermente da quello dei quaderni precedenti della collana, basati quasi esclusivamente su documentazione archivistica; le fonti d’archivio del periodo longobardo relative al territorio in questione sono assai scarse, e gli unici barlumi documentali dalla scrivente utilizzati sono il Codice Diplomatico Amiatino, il Diplomatico Senese, il Regesto Farfense, il Codice Diplomatico Orvietano, oltre al corpus di leggi longobarde di Rotari e Liutprando. La ricerca svolta si basa soprattutto su un’ampia bibliografia inerente alla linguistica del ricostruito lessico longobardo applicata alla toponomastica locale, a quella cultura agricola ed insediativa di tale epoca e all’archeologia ad essa riferita nel territorio in esame.
Incrociando i dati ho potuto ottenere, se non una nitida fotografia del nord castrense tra VI e VIII secolo ed oltre, almeno un quadro “molto impressionista”, dalle forme e dai contorni sfumati e con luci ancora incerte.