HOME

«LA SEPOLTURA DI CRISTO» DI PARIS NOGARI
Il restauro e i ritorno nella chiesa di San Gamiano a Gallese
Luisa Caporossi (a cura di)


Presentazione
Margherita Eichberg
Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per la provincia di Viterbo e l’Etruria meridionale

La presente pubblicazione illustra lo sviluppo e gli esiti dell’intervento che ha riguardato un’opera d’arte della quale si era persa nel tempo la memoria.
Il restauro della pala tardocinquecentesca con “La sepoltura di Cristo” non è stato soltanto un’operazione manutentiva e di recupero dei valori figurativi di un’opera d’arte, ma l’esito di un percorso conoscitivo, partito dal casuale rinvenimento della tela ad opera del parroco di Gallese don Remo Giardini, la consultazione di una restauratrice viterbese che si è mostrata sensibile all’opera, il coinvolgimento istituzionale della soprintendenza, il contributo fondamentale della Fondazione Carivit.
Va segnalato con la dovuta riconoscenza che la restauratrice Lorella Pagni, chiamata dal parroco per un primo esame dell’opera, individuandone i notevoli caratteri artistici ne ha eseguito senza compenso un primo soccorso. Spetta alla dott.ssa Caporossi della soprintendenza l’iniziativa di richiedere alla fondazione viterbese il finanziamento per il suo restauro, che ha dato esiti sorprendenti sulla storia della pala e del contesto.
Rinvenuta piegata “come un lenzuolo”, chi l’ha presa in carico si è posto la domanda non solo dell’ambito artistico del quale era espressione, ma anche di dove e come fosse esposta a suo tempo. Soggetto e dettagli compositivi si legano infatti a luogo e architettura dell’altare e dello spazio che dovevano contenerla.
Valorizzare un’opera d’arte non è possibile senza ricostruirne la storia, la committenza e la collocazione, a maggior ragione trattandosi di arte sacra. Ne è scaturita una ricerca interdisciplinare, le cui risposte si sono trovate negli uffici romani della soprintendenza, già “per i Beni architettonici e paesaggistici” - e in precedenza “per i monumenti” - del Lazio. Qualcuno pochi anni prima aveva rinvenuto il progetto dell’arch. Terenzio, soprintendente di Roma e del Lazio tra il 1928 e il 1952, per il restauro della chiesa di San Famiano, da dove l’opera era stata rimossa, attuato negli anni Quaranta del Novecento. Di tale progetto, già citato nel 2000 dal compianto Giorgio Felini, l’arch. Lara Luzzi aveva pubblicato un saggio nel 2018, che è stato il primo passo per inquadrare il tema.
I disegni e le vecchie foto rivelavano l’esistenza di un’architettura diversa dello spazio interno della chiesa di San Famiano, ma lasciavano irrisolta la soluzione di come ricollocare l’opera restaurata in uno spazio che aveva perso irreparabilmente il suo aspetto e il suo arredo.
La datazione dell’opera, già indicata nelle carte a suo tempo rinvenute da Lothar Sickel, coincide con l’anno del passaggio del feudo viterbese alla famiglia Altemps, omaggiata dalla Confraternita di San Famiano con i lavori alla chiesa nei quali la pala si colloca.
Le indagini per il restauro hanno rivelato dettagli di estremo interesse, e tra questi quello, significativo, del cambio iconografico della disposizione dei personaggi dolenti. La Maddalena venne spinta in primo piano, quasi ad inserire lo spettatore nella scena di pathos e compassione, cambio che testimonia la partecipazione diretta della committenza nell’esecuzione dell’opera e più in generale del disegno del nuovo presbiterio.
Se la tela con “La sepoltura di Cristo” fosse rimasta piegata nell’armadio del parroco, non avremmo potuto conoscere nei dettagli questo frammento di storia, che non è solo storia locale. Alla fine dell’ottavo decennio del Cinquecento, in pieno clima controriformistico, la locale Confraternita si fa carico di ammodernare l’antica chiesa di San Famiano, inserendo un’opera moderna per concezione, che come tanti esempi del suo tempo trascina il fedele nell’episodio evangelico. Soluzione parallela, quella della Maddalena di spalle e quasi fuori dal quadro, a quella adottata dal card. Salviati nella cappella della Vergine in S. Gregorio, dove chi entra si trova inserito nello spazio tra la pala con il papa e la Madonna dipinta sul muro ortogonale, che secondo la tradizione con esso doveva parlare; e a quelle coeve o appena più tarde del card. Baronio, ideate nell’abside della chiesa dei Ss. Nereo e Achilleo sull’Appia, dove si viene coinvolti nell’episodio dell’omelia di san Gregorio, e nella cappella di S. Barbara in S. Gregorio, dove ci si sente seduti alla tavola del papa con i poveri dipinti nell’episodio sulla parete. Sono solo alcuni esempi dei tanti che a partire dagli anni Settanta del Cinquecento hanno segnato l’evoluzione iconografica della pittura sacra nelle chiese.
Di questo passaggio storico, complesso e significativo, della chiesa di San Famiano e del paese di Gallese, si rischiava di perdere memoria, per la scelta avventata, operata a suo tempo, di ripristinare drasticamente lo spazio medievale dell’edificio sacro. Per fortuna la tela non è andata perduta e non è stata venduta, come talvolta accade, ed una volta rinvenuta se ne è affrontato il restauro con la dovuta serietà.
Un sentito grazie va dunque alla parrocchia, alla Fondazione Carivit, e alla compianta restauratrice Pagni, che con grande generosità si è mossa senza sapere quante riflessioni e prospettive avrebbe aperto il suo lavoro.
Oltre che alla dott.ssa Caporossi dell’ufficio, che non si è risparmiata nei contatti ottenendo l’attenzione della fondazione, un’attenzione più che ripagata dalla conoscenza di questo tassello di storia, e di storia dell’arte.
Un plauso va anche agli esecutori, Chiara Munzi e Giuseppe Ammendola, che hanno applicato con meticolosità i principi del restauro critico, preceduti dalle indagini scientifiche, tanto fruttuose nel caso specifico.
Abbiamo adesso la conferma che Nogari non fu solo pittore “di muro”, e che l’unica testimonianza della sua pittura su tela è per ora a Gallese, in una chiesa che ritrova adesso, con una soluzione che ne suggerisce la collocazione, la sua pala dell’altar maggiore, protagonista dello spazio sacro.