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LA PIEVE DELLE SANTE FLORA E LUCILLA A SANTA FIORA
Carla Benocci, Carlo Prezzolini


INTRODUZIONE DI
GINO GOVERNI (PARROCO DI SANTA FIORA)
E CARLA BENOCCI

La pieve delle SS. Flora e Lucilla, nella ricostruzione storica della sua architettura, dall’età medioevale all’ampliamento settecentesco fino alle vicende novecentesche, è il più importante luogo religioso della comunità, verso il quale convergono le strade principali dall’insediamento del castello, in posizione elevata. Anche nell’ampliamento trecentesco del Borgo e poi nei secoli XV e XVI di Montecatino, la stessa pieve mantiene il suo ruolo primario, a protezione di tutti e centro della vita religiosa e liturgica, in cui la comunità si riunisce condividendo preghiere, conforto, conoscenze, identità.
Il volume offre interessanti novità, che consentono di valutare l’importanza degli straordinari arredi artistici e religiosi: il magnifico reliquiario quattrocentesco delle sante Flora e Lucilla rappresenta la sintesi del passaggio della cittadina dal dominio degli Aldobrandeschi a quello degli Sforza. Il modello è tratto da analoghi arredi commissionati nel ducato lombardo dai Visconti e poi da Francesco Sforza ma si introducono le immagini delle sante protettrici della comunità, Flora e Lucilla, gli stemmi Aldobrandeschi, con l’aquila imperiale sovrastante, e quelli della famiglia Sforza e in particolare di Francesco, duca di Milano. È una rappresentazione di tutte le componenti della cittadina, anche femminili: insieme alle sante protettrici, Cecilia Aldobrandeschi Sforza e Bianca Maria Visconti Sforza, con i mariti Bosio e Francesco, hanno svolto un ruolo primario per le sorti dei rispettivi casati e di Santa Fiora.
Particolare valore riveste l’eccezionale ciclo di terrecotte di Andrea della Robbia, che illustra il percorso religioso e politico della famiglia Sforza e in particolare di Guido, il personaggio chiave ricordato da Pio II nei suoi Commentari, descrivendo la sua visita a Santa Fiora.
Le opere erano collocate in gran parte nella cappella Sforza, aperta nella parte sinistra dell’originaria unica navata della pieve per volere di Bosio Sforza, padre di Guido, e raffigurano i misteri più importanti della fede cattolica. Il trittico con l’Incoronazione della Vergine, oltre a ricordare che l’uomo è destinato alla gloria in forza della Incarnazione del Verbo di Dio (vedi le tre predelle), spiega l’accorta scelta religiosa operata dallo stesso Guido: la raffigurazione di san Girolamo, traduttore della Bibbia e autore della Vulgata, penitente in una delle grotte di Betlemme, circondato dagli emblemi sforzeschi e cristiani e dai frutti della montagna, incarna il modello sul quale si orienta il giovane conte Sforza, partecipe della tradizione militare di famiglia ed ora con il nuovo ruolo di saggio governante della contea. La raffigurazione di san Francesco d’Assisi, che sul Monte della Verna riceve le stigmate, sottolinea l’avvicinamento di Guido ai Francescani, i quali saranno introdotti anche nel convento della SS. Trinità alla Selva, a protezione della popolazione. Il ciclo delle robbiane raffigura, insieme ai tabernacoli con Dio Padre e con le sante Flora e Lucilla, e a un crocifisso attribuito a Giovanni della Robbia, la splendida opera del Battesimo di Cristo, incorniciato in una porta simbolica in cui il Cristo, battezzato al Giordano da Giovanni, introduce l’uomo nella comunione trinitaria. Di grande valore è anche lo splendido pulpito che celebra il mistero pasquale del Cristo: l’Ultima Cena, la Resurrezione e l’Ascensione al Cielo. Infine la grande pala della Madonna della cintola celebra l’Assunzione della Madonna secondo un Vangelo apocrifo dello Pseudo Giuseppe di Arimatea, per cui Maria prima di salire al Cielo dona la cintola all’apostolo san Tommaso. Tale opera, che porta lo stemma della famiglia Sforza, rapisce l’occhio del visitatore con una numerosa schiera di santi, molti dei quali sono i più venerati nella storia della comunità di Santa Fiora.
Alla preziosità delle robbiane si aggiungono i due splendidi crocifissi lignei: il Christus Patiens del XIV secolo, posizionato sul pulpito e proveniente dalla chiesa di sant’Agostino e il Christus Triumphans del XV secolo, proveniente dalla chiesa di san Rocco.
Il volume illustra un singolare tentativo messo in atto dal Comune santafiorese per risolvere le gravi condizioni economiche successive all’Unità d’Italia, quando era stato compiuto un notevole e costoso programma di adeguamento del Comune al nuovo Stato italiano: si tenta di offrire le stesse robbiane allo Stato o a possibili legittimi acquirenti, per risanare il bilancio. Il Comune non fallisce e le robbiane non sono cedute a nessuno: in compenso, lo Stato provvede alla loro inventariazione e notifica e il Comune a finanziare un’adeguata campagna fotografica nel 1901, alla quale seguono altre, tra cui quella splendida del 2010, documentate entrambe nel volume.
L’interesse di questo studio è indubbiamente la sua attualità, e non solo scientifica: l’unità della comunità santafiorese e la sua partecipazione alla vita religiosa rendono viva e amata la pieve anche oggi, testimonianza di una storia secolare mai interrotta.
L’attività pastorale svolta dai parroci e dagli arcipreti che si sono succeduti testimonia che la pieve è sempre stata la chiesa madre della comunità.