Intervento scritto di Marco Guardo, direttore dell'Accademia dei Lincei
Desidero in primo luogo scusare la mia assenza, dovuta a un impegno improvviso che mi ha costretto a una partenza non prevista, e nel contempo augurare all’evento di questo pomeriggio tutto il successo che esso merita.
Ho apprezzato il volume di Carla Benocci sin dalle pagine introduttive, che contengono la presentazione del sindaco di Soriano nel Cimino, Fabio Menicacci, e di Laura dal Pra, Direttore del Castello del Buonconsiglio a Trento. Di consueto pagine di questo genere sono ammantate da espressioni di circostanza, mentre nel nostro volume i due scritti illustrano con sintesi robusta il percorso scientifico disegnato dall’autrice e il lungo arco cronologico che investe la storia della Villa di Papacqua e dei suoi abitanti. Mi limito a un solo esempio: il testo del sindaco, dopo aver ricordato il triste decadimento e il progressivo deteriorarsi del sito, riporta a chiare lettere che esso è un “bene comune”, un “patrimonio da non perdere”. Di qui la necessità urgente di renderlo “disponibile”, che congiunge in tal modo l’aspetto della conservazione a quello della fruizione, binomio dal quale non possiamo prescindere.
Vengo adesso alle indagini di Carla Benocci, il cui volume, come giustamente scrive Laura dal Pra, ci offre la sorpresa di una “piacevole smentita”. Vediamone il perché. Dopo la mostra del 1993, dedicata ai Madruzzo e l’Europa, sembrava davvero difficile che potessero essere svolte ulteriori ricerche di notevole rilievo, mentre invece Carla Benocci ha saputo dimostrare l’esatto contrario grazie a uno studio materiato di passione e di competenze e grazie altresì all’esplorazione attenta delle fonti archivistiche.
Ho sempre insistito e sempre insisterò sull’importanza davvero capitale della documentazione archivistica, e la pubblicazione del volume che qui oggi si presenta, superbia absit, mi dà perfettamente ragione. L’autrice, infatti, ha pubblicato con notevole acribia filologica ben quattordici appendici documentarie, che coprono esattamente quattro secoli: dalla corrispondenza madruzziana, che muove dal 1548, sino alle lettere di Ludovico Chigi Albani, che giungono sino al 1948. Un corpus imponente di fonti ascrivibili a documentazione di diversa natura: epistole, atti notarili (vendite, testamenti, inventari), relazioni e persino poesie (quelle sulla bellezza degli otia a contatto con la natura e sulla Villa di Papacqua dedicate al cardinale Cristoforo Madruzzo o da lui scritte).
La via che la Benocci traccia e percorre è quella maestra, oserei dire, quella aurea. L’edizione di questi testi in forma o integrale o antologica fornisce allo studioso uno strumento per poter non soltanto affinare le proprie conoscenze, ma anche, eventualmente, per dar corso a ulteriori indagini. Non solo: l’autrice non si limita alla mera pubblicazione della fonte, ma da questa muove per delineare un quadro storico-artistico di tutta oggettività, dal momento che esso si appoggia, e graniticamente, alla fonte. Questo, a mio modo di vedere, è l’unico modo di fare ricerca.
Il poco tempo a disposizione e l’ampiezza dei contenuti sottesa al volume mi consigliano decisamente di accennare a un solo tema, a onor del vero quello che mi è più congeniale: alludo alla figura del cardinale cinquecentesco Madruzzo, che a distanza di tanti secoli ha ancora molto da insegnarci. Vorrei a questo riguardo citare l’elogio che il medico senese Pietro Andrea Mattioli rivolge al cardinale in un’epistola che gli scrive. Mattioli ne loda “la grandezza dell’animo, la liberalità del cuore, la cordiale charità, la gioconda humanità, la prudenza del governo, la facondia del parlare, la gratia del proferire, la memoria del recitare, la cognitione delle scienze, il patrocinio de’ virtuosi”.
Ne sortisce il ritratto di un cardinale di stampo prettamente umanistico, che congiunge l’aspetto dell’humanitas a quello della prudenza. Quest’ultima va intesa rettamente recuperando la semantica del termine latino prudentia, ossia la capacità di saper vedere prima, con anticipo, dunque lungimiranza, avvedutezza, saggezza. Mattioli non tralascia poi l’aspetto della generosità tramite la coppia sinonimica “liberalità”- “charità”.
Ma vi è un altro tema che non deve sfuggirci e che fa del Nostro l’epigono di un autore classico, di un oratore di stampo ciceroniano. Cicerone, infatti, enumera le fasi che devono sottendere il discorso dell’oratore: inventio, dispositio, elocutio, memoria e actio. Spiego meglio: l’oratore deve prima trovare gli argomenti oggetto del suo trattato, poi disporli in bell’ordine, rivestirli di parole adatte, imparare a memoria il discorso, saperlo infine porgere con efficacia. Anche Madruzzo, lo abbiamo visto, possiede “la facondia del parlare, la gratia del proferire, la memoria del recitare, la cognitione delle scienze”. Ma non soltanto, egli è anche patrono degli studiosi virtuosi. Un cardinale, dunque, che ha ben chiaro il concetto del publicum commodum, ossia della pubblica utilità, ideale che si afferma prepotentemente a cominciare dall’Umanesimo.
L’elogio di Mattioli trova concreta rispondenza, per citare le parole dell’autrice, “nella rete vastissima di corrispondenti, amici laici e religiosi, che coprono la scala sociale quasi interamente”: rete che il cardinale seppe costruire con abile tatto diplomatico e notevole cultura. Al centro di questa rete si pone l’acquisto del feudo di Soriano, che per Madruzzo fu non solo emblema del locus amoenus, luogo di delizie dunque, ma anche la coordinata spaziale di elezione, luogo prediletto al centro della propria attività politica e curiale.
Anche i testamenti del cardinale, inoltre, giovano a meglio comprenderne lo spirito e l’epoca. A questo riguardo bene ha fatto l’autrice del volume a pubblicare nella sesta appendice documentaria il testamento redatto il 6 novembre 1562, frutto di un fortunato ritrovamento, che precede di oltre tre lustri quello definitivo del 1578, già pubblicato da Alessandro Paris. Straordinario il dato che emerge dall’atto notarile del 1562: la volontà di far costruire a Trento, luogo natale dell’alto prelato, un Collegio gesuitico. Pertanto nella giovane Compagnia di Gesù il cardinale vede l’ordine religioso in grado di promuovere non soltanto il sentimento religioso, ma gli studia humanitatis che hanno segnato il suo cursus ecclesiastico.
D’altra parte, per quanto riguarda il testamento del 1578, mi limito a ricordare l’espressa volontà che il funerale si svolga “sine pompa”, dunque senza fasto e senza lusso, che vengano riparati ponti e vie nella comunità di Tivoli: un’ulteriore affermazione del publicum commodum, che in questo caso investe l’urbanistica e l’architettura. Senza contare che il testamento definitivo riporta ed enumera i beni mobili in possesso del cardinale: arazzi, tappeti quadri, sculture, clavicembali, claviorgani, viole, flauti, tromboni, strumenti a corda, un prezioso studiolo, alcuni libri di argomento religioso e naturalistico, utensili da cucina, persino animali esotici (una scimmia). Grazie a un tale inventario si delineano gli interessi principali del cardinale: il gusto antiquario, la musica, la lettura dalle ampie vedute.
Tuttavia vi è un ulteriore dato sul quale vorrei soffermarmi: la presenza dell’animale esotico sembra fare di Madruzzo, per così dire, l’antesignano del fondatore dei musei di curiosità che tanto si diffonderanno nel XVII secolo: un esempio per tutti, quello secentesco dell’oratoriano Virgilio Spada. Con la differenza che l’animale in possesso del Nostro non è impagliato, ma vivo.
Ne sortisce, allora, una figura che non soltanto sa accogliere il retaggio e la memoria del passato, ma è in grado di interpretare quelle antiche memorie in senso critico e trasporne i contenuti nell’attualità, nel costante rispetto della pubblica utilità. Una figura, pertanto, ancora di grande modernità, che grazie a Carla Benocci possiamo studiare nelle più intime pieghe.
Ringrazio tutti dell’attenzione.
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