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KARLA LA BAMBINA COMUNISTA
Maria Carla Crosta


Introduzione

Sono tornata.
Cammino tra le case, percorro le strade, i vicoli; passeggio sul lungolago, sotto i grandi platani, mi siedo in fondo al porto. Il passato incalza e mi riscopro. Dopo aver rimuginato una vita, d’improvviso, decido di ascoltare il desiderio tante volte represso: indagare il passato, riordinare il mio vissuto e dare un senso a quello di chi mi ha preceduto, mai veramente considerato.
Ho approfondito aspetti nascosti, ho viaggiato in spazi inesplorati nel tentativo di comprendere la gestazione dei pensieri, delle azioni, delle opinioni. Mi sono persa in processi pragmatici, riconosciuta nelle cose taciute, accennate, gioiose o dolorose. Un cammino emozionante, a volte straziante, mi ha posto l’urgenza di restituire agli invisibili voce e memoria. Il timore che una parte importante di quella vita potesse perdersi per sempre mi ha spinto a fissare immagini e sentimenti lontani, approfondire ricordi sbiaditi per svelare con umiltà e coerenza ciò che è stato, come ha influito sulla mia vita e cosa mi ha insegnato. Ho riaperto il dialogo con l’interlocutore morale, posto nuove domande e atteso risposte allora troppo spesso negate.
Non so fino a che punto i miei ricordi possano definirsi attendibili allo sguardo attento di chi ha vissuto esperienze simili nei medesimi luoghi, nello stesso tempo, o da chi ne è stato spettatore. Ognuno interpreta la realtà a suo modo, servendosi di strumenti della quotidianità, della tradizione, della superstizione. La percezione di quanto osservato, vissuto, sperimentato, inquinato dai ricordi offuscati dal tempo, modificati dalla fantasia, dall’immaginazione, dai desideri, dai racconti, dalle immagini mentali inconsciamente ristrutturate modellate da stereotipi e pregiudizi, è raccolto tutto qui.
Non è solo la mia storia, è soprattutto un concentrato di tante vite intersecatesi fin da tempi remoti di cui scandaglio le evoluzioni nell’ultimo secolo e poco più. Giovani vite spezzate dalle guerre, persone schiacciate dal potere autoritario, dalla miseria, e poi la democrazia che risolleva il morale e la politica con nuove parole. Reazioni a catena che spingono verso strade impervie o sentieri piacevoli, verso determinati siti piuttosto che altri. Chi avresti potuto incontrare non lo incontri più, altre persone, invece, inaspettatamente te le trovi di fronte. Il caso, il fato, il destino; quante domande senza risposta. Illustri scienziati non sono ancora in grado di fornire responsi ufficiali sui perché della vita: da dove veniamo, dove andiamo, perché si nasce e si muore, cosa si nasconde oltre il nostro sistema solare? E prima del Big Bang cosa c’era? E prima ancora? Inutile soffermarsi su domande di questa levatura; il mio fantasma interiore continuava a restare muto. Allora mi sono concentrata sulle cose più umane, terrene.
Tante volte avrò rischiato di non nascere perché basta un semplice disguido, un’incomprensione, una dimenticanza che ti fa tornare indietro e modificare il resto della giornata. La cosa certa, che mi riguarda da vicino, è che se il babbo e la mamma non fossero nati, oppure non si fossero conosciuti o non si fossero piaciuti, e il babbo avesse avuto dei figli con un’altra donna e la mamma con un altro uomo, io non ci sarei e quei simil fratelli e/o sorelle non mi avrebbero somigliato neanche un po’. Poteva essere tutto diverso ma non lo è stato e quel vissuto acerbo, povero, spensierato, felice, colmo d’affetto, imbastito di serena ignoranza, ha coinvolto anche me.
Ognuno il suo ruolo: i padroni facevano i padroni; i contadini, i coloni, i mezzadri, gli agricoltori, i braccianti, i campagnoli facevano i contadini, i coloni, i mezzadri, gli agricoltori, i braccianti, i campagnoli, nel connubio tra possidenti e nullatenenti, ereditieri e diseredati, colti e ignoranti. Un rapporto profondo perpetuatosi in un tempo infinito. Sullo sfondo l’Italia unita, la politica truffa, il regime, la Costituzione, i partiti e la Repubblica democratica parlamentare; le libere elezioni, il suffragio universale, le stragi e gli omicidi eccellenti. Il senso di appartenenza al movimentismo comunista locale/nazionale, che mal si identificava con quello sovietico, l’ho respirato fin dall’infanzia.
È stato duro il cammino a ritroso nei luoghi della magra esistenza dei miei nonni, bisnonni e trisavoli; dei miei genitori, di altri familiari e della mia bucolica giovinezza. Solo mezzo secolo fa l’ultimo colpo di coda di quella miseria.
Ho ritrovato parenti, ricostruito genealogie, ricordato aneddoti, percepito sapori e profumi, tutti inconsciamente accantonati, scalpitavano nell’attesa di riappropriarsi dei propri contenuti, imporsi sulle nuove visioni del mondo fino a condizionare azioni e pensieri.
Ho percorso spazi fino a poco tempo fa sconosciuti se non nel vago ricordo di quanto udito da bambina senza veramente sentire, vedere, e soprattutto capire. Ho rivissuto l’esperienza terragna, interpretato la storia trascorsa attraverso una nuova consapevole logica non appannata dal virtualismo social e dalla cultura post moderna dell’innalzamento dialettico oltre la realtà fattuale. Un mondo in cui “chi ha non vuole dare, chi non ha vuole avere e quando ha non vuole dare”. Così è sempre stato.
Il flusso continuo, naturale, incalzante o sommesso, privo di collocazione cronologica, l’ho trascritto così come si è palesato, rispettando l’ordine inconscio che non organizza la vita in capitoli. Ordine/disordine attraverso il quale la vita si vive, si assapora, si ama e si ricorda, a volte, senza punti e senza virgole, in italiano e in dialetto.
Un’autobiografia un po’ vera un po’ inventata; un racconto un po’ riscontrato e un po’ immaginato; un romanzo un po’ vero un po’ falso; coerente con le realtà percepite e il tempo che fu.