Davide Ghaleb Editore


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ASPETTI LINGUISTICI DELLE VARIETÀ DELLA TUSCIA VITERBESE:
SINCRONIA E DIACRONIA
Miriam Di Carlo

Presentazione
Paolo D'Achille

Fino a pochi decenni fa, i dialetti moderni della Tuscia rappresentavano una “zona grigia” negli studi linguistici italiani. Per l’intera area non si disponeva infatti di studi risalenti alla prima stagione di fioritura della dialettologia italiana, come è invece avvenuto per altre zone del Lazio (Sabina e soprattutto Ciociaria) e per altre regioni dell’Italia centrale come l’Umbria e le Marche. Si aggiunga che l’individuazione, da parte del Rohlfs (sulla base dei dati dell’AIS, molto ridotti nel nostro caso), della “linea Roma - Ancona” poteva far pensare che quest’area linguistica fosse poco interessante dialettologicamente, in quanto compresa tra la Toscana e la toscanizzata Roma. Ciò probabilmente spiega l’assenza di studi di rilievo (ma direi di studi tout court), praticamente fino a oltre la metà del secolo scorso (a parte, ovviamente, il fondamentale lavoro di Sandro Bianconi sui dialetti orvietani e viterbesi, dedicato alla fase medievale).
La situazione è poi fortunatamente cambiata, anzitutto per merito di ricerche di carattere etnografico-antropologico (raccolte di blasoni, proverbi, testi legati alle tradizioni popolari o alla cultura materiale) di autori come Francesco Petroselli, Luigi Cimarra, Quirino Galli, i quali si sono progressivamente avvicinati (in particolare i primi due) agli studi dialettologici, con risultati di grande rilievo soprattutto sul piano lessicografico. Sulla base dei nuovi importanti dati documentari via via acquisiti (da ricordare anche la pubblicazione dei vari volumi dell’ALI, rimasti a lungo inediti, e anche di una serie di iniziative di carattere “amatoriale”, spesso di buono e talvolta ottimo livello) e grazie anche, da un lato, alla pubblicazione dell’ALT (che ci ha mostrato, sul piano lessicale, una Toscana assai meno monolitica di quanto si ritenesse), dall’altro alla messa a fuoco, da parte di Ugo Vignuzzi, del concetto di dialetti “paramediani” e “perimediani”, l’area viterbese ha conquistato finalmente un posto di rilievo nella dialettologia italiana, che ha consentito alcune specifiche peculiarità sul piano linguistico che rivestono interesse anche dal punto di vista teorico. Basti a dimostrarlo l’interesse per quest’area da parte di un dialettologo di fama internazionale come Michele Loporcaro, dell’Università di Zurigo, che ha recentemente pubblicato (2018) un contributo in inglese sul particolarissimo sistema del genere grammaticale proprio del viterbese. Anche dal punto di vista quantitativo, posso fornire un dato interessante: dal 1987 curo lo schedario “Lazio” per la “Rivista Italiana di Dialettologia” (RID) e dal 2008 a oggi sono riuscito a pubblicarlo con scadenza annuale (grazie anche ai tanti collaboratori: colleghi illustri e giovani studiosi): ebbene, la sezione dedicata a Viterbo è costantemente seconda solo a Roma per quantità di pubblicazioni di interesse dialettologico che escono ogni anno.
Tra i giovani dialettologi della Tuscia c’è anche (e occupa anzi un posto centrale) Miriam Di Carlo, l’autrice di questo volume, e la presento con molto piacere, trattandosi di una mia allieva. Miriam, nata a Vetralla e residente a Roma, laureata e addottorata a Roma Tre, ha mostrato un interesse per la sua area di origine fin dalla laurea triennale, con una testi dedicata alla microtoponomastica di Vetralla (da cui ha poi tratto un articolo edito per la “Rivista Italiana di Onomastica”); nel suo percorso magistrale si è occupata del linguaggio della politica (ma in quegli stessi anni ha iniziato a collaborare allo schedario RID, reperendo lei stessa gli studi da segnalare), ma poi, una volta ammessa al dottorato di ricerca (che ha svolto a Roma Tre, con un’importante “trasferta” semestrale a Zurigo), è tornata al suo “primo amore”, con una tesi dedicata appunto a vari aspetti dei dialetti della Tuscia, alcuni dei quali da lei stessa approfonditi in vari interventi congressuali a cui ha partecipato dal 2014 in poi. Dalla tesi magistrale, da tempo discussa (e apprezzata da valutatori del calibro di Luca Lorenzetti e Anna Lisa Nesi e dalla commissione finale presieduta da Ugo Vignuzzi), Miriam ha tratto ora questo studio, che riprende alcune parti del lavoro, fornendo un quadro generale sulla situazione della Tusca e approfondendo alcuni aspetti relativi alla fonetica e al lessico. Nel primo caso viene affrontato un tratto fondamentale dell’italiano quale l’anafonesi (che spiega forme come famiglia, lingua, fungo, punto, che dal fiorentino sono passate all’italiano, laddove dialetti presentano come vocali toniche é e ó invece di i e u), recentemente riesaminata nella sua genesi storica da Marcello Barbato: Miriam offre dati preziosi, sul piano sia sincronico sia anche diacronico, sull’intera area indagata, con riferimenti anche alla situazione del romanesco, in cui l’anafonesi si è definitivamente imposta solo in epoca postbelliana. Quanto al lessico, si prendono in esame voci relative all’anatomia umana e alle funzioni del corpo, mettendo a confronto i dati raccolti sul campo o attinti a pubblicazioni locali con quelli offerti dalla lessicografia italiana, attuale e storica. Al riguardo, l’autrice ha potuto mettere a frutto l’esperienza nel frattempo maturata come borsista presso il Servizio di Consulenza Linguistica dell’Accademia della Crusca, documentata dai suoi tanti interventi presenti nel sito dell’Accademia.
So per esperienza che la trasformazione di una tesi in una pubblicazione a stampa non è compito facile: meno ancora lo è stato per Miriam, che ha una tendenza analitica molto spiccata, di cui a volte la rimprovero, raccomandandole di tenere sempre presente il tema centrale del suo lavoro, che a volte rischia di perdersi nella quantità dei dati proposti. D’altra parte, bisogna diffidare delle sintesi affrettate e superficiali che ci spesso vengono proposte, e personalmente ho sempre molto apprezzato il grande impegno e scrupolo di Miriam, documentato dalla quantità dei dati raccolti, sia grazie a inchieste sul campo, sia alla consultazione di testi del presente e del passato spesso di difficile reperibilità. In questo anche la formazione familiare dell’autrice (con un padre geografo e una madre docente di lettere) ha avuto certamente un suo benefico peso.
Esprimo dunque tutta la mia soddisfazione per il fatto che la tesi di dottorato di Miriam Di Carlo si sia concretizzata in questa pubblicazione, che merita la più ampia diffusione perché costituisce un tassello molto importante nella conoscenza dei dialetti della Tuscia, di cui si documentano sia le caratteristiche peculiari comuni, sia soprattutto la grande variabilità interna, che finora non era stata messa a fuoco con altrettanta chiarezza.