Questa edizione critica delle poesie di Edilio Mecarini costituisce la seconda tappa di un itinerario avviato nel 2017 con la pubblicazione, sempre nella collana La Banda del racconto dell’editore Davide Ghaleb, dell’antologia dedicata a Emilio Maggini. I due autori sono stati dedicatari, rispettivamente, della prima e della seconda edizione del concorso di poesia «La léngua vitorbese», promosso da Tuscia dialettale e da Banda del racconto, in collaborazione con il Sodalizio dei Facchini di Santa Rosa, e sostenuto da Fondazione Carivit e Comune di Viterbo. Di particolare rilievo il bando riservato alle scuole primarie del capoluogo.
Il corpus di questo libro raccoglie l’intera produzione mecariniana. Questa risultava in realtà già sostanzialmente pubblicata in due precedenti raccolte. In ordine cronologico la prima ad aver fatto la sua apparizione è stata Tutto Mecarini in vernacolo e in lingua, curata da Fiorenzo Nappo vivente il poeta. Successivamente, nel 2006, Sapore di pane. Fascicolo ciclostilato il primo, e destinato ad una circolazione tra i “passionisti” della poesia in dialetto; libro a stampa, pubblicato a cura delle associazioni Tuscia dialettale e La ginestra, il secondo. Queste due raccolte presentano interessanti discordanze. Per la presente pubblicazione si è scelto di ripartire da Tutto Mecarini, nonostante quest'ultima presenti alcune contraddizioni legate all'uso di accenti e apostrofi, perché essa fu realizzata sotto la supervisione dell'autore. La riproposizione delle poesie di Mecarini, nei progetti di questa iniziativa editoriale, vuole contribuire al rinvigorimento e alla valorizzazione di un più alto sentimento – orgoglioso e cordiale al tempo stesso – di appartenenza all’identità linguistica viterbese e quindi di dignità civica. Avvicinatosi alla poesia varcati i cinquant’anni, Edilio Mecarini (1923-2003) appartiene ad un mondo profondamente diverso da quello testimoniato da Emilio Maggini (1900-1986). E non solo per questioni anagrafiche. I due incarnano modelli diversi di depositari del sapere comunitario, così come tipizzato, sul calco dei mestieri medievali, da Walter Benjamin in un suo celebre saggio. In Maggini ritroviamo appieno la figura del contadino-narratore della comunità locale, il quale, vivendo la propria vita in maniera stanziale, del proprio luogo finisce per conoscere il sedimento delle storie e dei racconti accumulatosi nel corso dei secoli. Mecarini incarna invece un diverso profilo, quello dell’artigiano-narratore, dell’uomo di consiglio, di colui che molto ha ascoltato e quelle stesse storie sa raccontare, sa convocare al momento giusto, sa far “venire a cadenza”. Come ogni bravo artigiano, egli la sa lunga e la sa raccontare. Luogo privilegiato di questo andirivieni di storie è la bottega. Che per Mecarini è la “barbiereria”, per riprendere il termine impegnato da Ostelvio Celestini, decano oggi della poesia dialettale viterbese. Celestini ci consegna questo ricordo del maestro e amico: «Il parlare di Mecarini è rimasto impresso a tanti, specialmente a chi l’ha conosciuto. In qualsiasi occasione lui trovava la poesia esatta da mettere in circolo e la gente era affascinata da quello che diceva.»
Temi ricorrenti della poesia di Mecarini sono quelli legati a luoghi e monumenti della sua città, a quadri della vita di quartiere, al mondo contadino. In realtà questa è anche la materia poetica di Emilio Maggini. A fare la differenza è la disposizione con cui i due si relazionano ad essa. Un medesimo universo è colto con diverso dinamismo lirico, con diversa gradazione emotiva. Mentre per Maggini, infatti, la civiltà contadina e la quotidianità di quartiere costituiscono un universo di pratiche, saperi e storie vicine all’esperienza diretta di vita, nei versi di Mecarini quel mondo è già in qualche modo distante, già oggetto di uno sguardo che lo trasfigura in tradizione, che lo recupera in chiave estetizzante. Mecarini, con i suoi toni affabili, coi suoi modi, è alle soglie di una etica urbana piccolo borghese. Maggini è parte del mondo che egli canta. Il tono sentenzioso di alcuni dei suoi versi affonda radici in una storia di lunga durata, in valori forti, indiscutibili, che quel mondo ha saputo plasmare. «Mecarini – rammenta Ostelvio Celestini – era un tipo che ti diceva le cose in maniera sorridente, amichevole, mentre Maggini metteva un po’ di soggezione, perché era dei tempi passati, no? quando tutto era di rispetto.» Al cospetto di quest’ultimo, la cui cifra poetica appare di impronta fortemente introspettiva e autobiografica, Mecarini si delinea invece come bozzettista, come poeta di scene di genere capace di restituire istantanee che fissano una volta per sempre immagini della città e della vita che la attraversa.
Oltre che per la sua feconda vena poetica, Edilio Mecarini viene ricordato ancora oggi a Viterbo per la sua intensa passione civica e civile. È un tratto, questo, sul quale converge la memoria di tutti gli interlocutori – compresi i figli Alessandro, Bruno e il nipote Massimo – ai quali abbiamo chiesto una testimonianza in suo ricordo: «Non so se non ricordo perché non l’ho mai saputo o per qualche altro motivo, però quello che ti posso dire è che Edilio fu un convinto missino. Pur essendo missino a 360°, ma convintissimo! il carattere di Edilio era un carattere inclusivo. Gli anni in cui lui era consigliere circoscrizionale a Pianoscarano – racconta Giancarlo Gabbianelli, sindaco di Viterbo dal 1999 al 2008 – che cosa contraddistingueva Edilio? Lui, proprio perché credeva in determinate idee, diceva: – Io interpreto al meglio quelle che sono le mie idee... si dedicava ai giovani, riteneva che lo sport e la società sportiva dovessero essere una scuola di vita, che lo sport dovesse dare una educazione.» Tanto fu l’impegno di Mecarini sul piano sociale, tutto orientato verso pratiche inclusive e di dialogo, da spingere l’amministrazione comunale a lasciare memoria imperitura del poeta dedicandogli un giardino pubblico nel quartiere di Santa Barbara.
Un ringraziamento particolarmente caloroso va a Massimo Mecarini, nipote di Edilio, cultore di poesia dialettale viterbese nonché presidente del Sodalizio dei Facchini di Santa Rosa, il quale ha avuto un ruolo chiave nell’attivare canali di comunicazione con i vari interlocutori ascoltati durante l’ideazione e la realizzazione di questo libro.
Dopo Maggini e Mecarini, la terza edizione del premio di poesia «La léngua vitorbese» e l’antologia critica di versi sarà dedicata al poeta Enrico Canevari. Con la pubblicazione di quest’ultima potrà considerarsi giunto a compimento un viaggio a ritroso nelle radici della poesia dialettale locale partito dalle sue espressioni e dai suoi esiti contemporanei (dagli anni Sessanta agli anni Novanta) e destinato a ritornare alle scaturigini della tradizione con Canevari stesso e con lo storico tardo ottocentesco della città Cesare Pinzi, autore in gioventù del sonetto che ha ispirato il titolo stesso del premio.
Marco D'Aureli |