Nel 2020 giunge alla sua terza edizione il premio di poesia dialettale "La léngua vitorbese". Il concorso, finanziato anche quest'anno da Fondazione Carivit, è una iniziativa promossa dall'associazione culturale delle Comunità narranti e da Tuscia dialettale in collaborazione con il Sodalizio dei Facchini di Santa Rosa. Gode, inoltre, del patrocinio del Comune di Viterbo. Come di consueto due i bandi istituiti. Uno destinato agli alunni delle scuole primarie del capoluogo. L'altro senza limiti di età. Dedicatari del premio sono stati i più importanti poeti dialettali viterbesi. Per la prima edizione Emilio Maggini, al quale ha fatto seguito Edilio Mecarini. Quest'anno è la volta del poeta Enrico Canevari (1861-1947). Fin dalla sua istituzione, la proclamazione dei vincitori e segnalati è stata l'occasione per la presentazione al pubblico di due libri. Uno, La léngua vitorbese, consiste nella raccolta delle poesie piazzatesi ai primi posti o ritenute comunque meritevoli di particolare menzione per entrambe i bandi. A valutare i componimenti una giuria composta dal decano dei poeti viterbesi, Ostelvio Celestini, dal presidente di Tuscia dialettale Franco Giuliani, Massimo Mecarini in qualità di presidente del Sodalizio dei Facchini di Santa Rosa, l'attore e regista Pietro Benedetti e Antonello Ricci presidente di Comunità narranti. L'altro, una antologia critica dei versi del poeta al quale di anno in anno è stato dedicato il premio. Entrambe le pubblicazioni, curate dal sottoscritto e con la consulenza linguistico-letteraria di Antonello Ricci, sono ospitate nella collana La Banda del Racconto dell'editore Davide Ghaleb. Una sorta di collana-nella-collana, questa dedicata alla dialettalità viterbese, che va a descrivere un percorso critico a ritroso, dai poeti più vicini a noi nel tempo ad un autore nato e formatosi nel XIX secolo. Dagli esiti più maturi della poesia dialettale viterbese agli albori di questa stessa tradizione. Albori che annoverano, inatteso demiurgo, quel Cesare Pinzi autore del sonetto che inizia con l'espressione la lengua vitorbese. Tale andamento à rebours diventa postura critica e interpretativa facendo emergere gradazioni diverse di dinamismo lirico, scelte linguistiche (lessicali, sintattiche e grammaticali) diverse, diversi modi di usare la lingua dialettale e di piegarla alle esigenze espressive, alle poetiche e alle "politiche" che risentono del mutare dei tempi.
Le poesie riproposte in questa antologia sono tratte dal volume postumo La bella Galiana ed altre poesie in dialetto viterbese, una raccolta pubblicata con una certa fortuna e senza sostanziali variazioni (se non di tipo grafico editoriale) per ben vent'anni (1961, 1971 e 1980). Apre il volume La bella Galiana, poemetto goliardico-narrativo composto in ventidue sonetti. La poesia comparve sul primo numero della rivista FAVL nel gennaio del 1923 dove veniva presentata come Leggenda medievale narrata in dialetto viterbese. Ad accompagnare i versi, i disegni firmati Angelo Canevari, figlio del poeta. Da segnalare come nel medesimo numero della rivista trovò accoglienza un articolo a firma Emilio Canevari (altro figlio di Enrico, ufficiale dell'esercito nonché scrittore) dal titolo Note di storia viterbese: un rapido excursus storico che disegnava per grandi quadri alcuni passaggi della storia cittadina. Emilio fu anche l'estensore della nota biografica che apre il volume La bella Galiana ed altre poesie in dialetto viterbese, nonché molto probabilmente l' autore della nota introduttiva Viterbo medioevale e la leggenda della bella Galiana, (pezzo siglato in calce E.C.). L'intento di offrire inquadramento storico alla leggenda sembra rispondere ad una esigenza di autorevolezza. Interessante notare come Emilio vi suggerisca l'idea per cui nella tradizione locale il finale della storia (che vede Galiana trafitta da una freccia e uccisa) tenda ad alimentare uno stereotipo anti-romano riconducibile alla storia ed alle vicissitudini politiche della città dei papi.
Sul piano redazionale, valgono i criteri adoperati per la pubblicazione delle precedenti antologie, quelle dedicate a Maggini e a Mecarini, alle quali si rimanda. Nessun intervento di carattere normalizzatore è stato apportato al testo, che viene ripresentato qual era nella edizione del 1961. Si è scelto di correggere e di adeguare alle elementari norme ortografico-redazionali soltanto quelli che sono apparsi, oltre ogni ragionevole dubbio, puri e semplici refusi (es. l'impiego, dopo un punto fermo, della minuscola al posto della maiuscola). Canevari, uomo di ceto borghese e solida formazione scolastica, mostra capacità espressiva e una buona padronanza della scrittura. Per quel che riguarda gli aspetti stilistici, la forma metrica privilegiata è il sonetto, secondo lo schema di rime ABBA ABBA CDC DCD, con qualche variante nelle code qualche irregolarità nella sillabazione dei versi. Le scelte del sonetto in chiave narrativa, e di un certo registro dialettale, suggeriscono interessanti scenari interpretativi. Specie se poste in relazione alla produzione dei due maggiori poeti romaneschi contemporanei del Nostro: Cesare Pascarella (1858-1940) e Carlo Alberto Salustri (1871-1950) in arte Trilussa.
Una parte del corpus canevariano consiste trilussianamente di favole in versi che veicolano satire ben indirizzate. Protagonisti della sezione Le Profacole, che apre il volume, sono gli animali del repertorio favolistico tradizionale: cicala e formica, leone, tanto per fare degli esempi. Anche in ambito dialettale, così come nella favolistica più classica, dietro ogni animale si cela l'allegoria di vizi o virtù. Destinatari della sagacia di Canevari poteri e potenti di ogni epoca (La nottola diplomatica) e arrivisti della peggiore schiatta (Un volo senz'ali). Ma anche entità più concretamente riconoscibili. Non a caso Il consijo de le bestie è accompagnato da questo sottotitolo: "a proposito della seduta del Consiglio Comunale di Viterbo del 1 marzo 1926". Un tono disincantato affiora anche da altri componimenti, protagonisti dei quali sono Mussolini (La venuta di Mussolini a Viterbo), e seppur più bonariamente, perfino Garibaldi (La venuta di G. Garibaldi a Viterbo). D'altro canto, grande ammirazione emerge nei confronti degli eroi popolari Binda e Girardengo, e del loro merito "palese e naturale" (secondo una figura ricorrente anche nell'ottava popolare). C'è poi Meco Torso, interessante maschera del contadino locale, un po' buon selvaggio à la Rousseau, un poco Bertoldo.
Del primo, invece, Canevari sposa l'uso in chiave narrativa del sonetto. A fare da modello, in questo senso, i celeberrimi Villa Gloria, La scoperta dell'America e soprattutto il poema Storia nostra composto e declamato in teatro da Pascarella un po' in tutta Italia.
La produzione di Canevari assume una sua leggibilità proprio nel solco della tradizione poetica vernacolare romanesca. Laddove l'esperienza romanesca di primo novecento sembra evocare un processo di italianizzazione in corso, connesso all'unificazione e all'affermazione della borghesia, il contesto viterbese sembra delineare, attraverso un uso della lingua locale, un processo di progressiva riaffermazione di un sentimento di appartenenza. Pascarella infatti propone una lingua che è quella del popolano romano appena diventato italiano che aspira ad una cultura borghese: un dialetto che tende a farsi cadenza. La triade Canevari Maggini Mecarini pare alludere a un processo di progressiva riaffermazione, tra gli anni delle due guerre e la recessione, passando per il boom economico, di un sentimento locale. Quindi una scelta del dialetto quale antitodo alla minaccia di perdita.
Come negli anni precedenti, il florilegio di poesie è seguito e arricchito da altri testi, tra i quali un ritratto biografico di Canevari, redatto dal figlio. L'appendice contiene tre interventi di Antonello Ricci. Uno di questi, La léngua vitorbese? Adène adène... dialoga con l'articolo di Antonio Quattranni dedicato a Cesare Pinzi e al suo sonetto dialettale. Gli altri due sono dedicati a una vera e propria lezione di anatomia sulla leggenda della bella Galiana. Trovano posto in questo libro per un semplice fatto: fu proprio Canevari col suo poemetto a traghettare questa popolare figura leggendaria (che veniva restituita a un più ampio pubblico a due anni dalla breccia di Porta Pia con la pubblicazione, a cura di Ignazio Ciampi, delle quattrocentesche Cronache di Viterbo di Niccolò della Tuccia) dalla sua fortunosa reviviscenza nel periodo immediatamente postunitario agli anni tra le due guerre.
Infine una nota di servizio. Per rispettare la regolare cadenza con la quale l'antologia accompagna solitamente la pubblicazione de La léngua vitorbese, questo libro viene dato alle stampe in un periodo molto difficile per il nostro Paese. Alcune delle immagini che intervallano il testo rappresentano degli scatti di servizio realizzati in vista della possibilità di realizzarne di migliori. Data la chiusura totale di biblioteche e archivi, dovuta alla pandemia in atto, non è stato possibile tornare sul posto per provvedere in tal senso.
Marco D'Aureli |