Postfazione
Marco D'Aurelia (co-curatore della collana)
Una storia di vita, seppur sui generis, quella raccolta in questo volume. Raccontata da persona molto ben informata sui fatti. Scorrendo le pagine scritte de Il ragazzo dai sali d’argento, accade di assistere a qualcosa di molto simile allo spettacolo meraviglioso di una vita raccontata dentro una cultura, e al tempo stesso, di una cultura raccontata dentro una vita. È questo il potere delle storie di vita, come ha scritto Pietro Clemente. Certo, la storia raccontata da Enrico Campofreda non ha l’obbiettivo di restituire una cultura, proposito ambizioso e peraltro non perseguito apertamente dall’autore. Ma il sapore di un’epoca, quello sì. La vita di Claudio Bassi, il ragazzo dai sali d’argento, è da Campofreda sempre e costantemente collocata – inquadrata sarebbe il caso di dire – sullo sfondo costituito dai flussi della storia, quelli grandi come anche i rivoli più piccoli, che hanno caratterizzato la seconda metà del Novecento. C’è l’Italia. C’è Roma, la sua topografia urbanistica e sociale. La Roma dei fasti e delle miserie, dello spettacolo, della politica. La Roma del cinema, vista dal di dentro. Delle arti. E in particolare della fotografia. Incredibile, a sciorinarla per intero, la lista dei grandi maestri coi quali (più che per i quali) Bassi ha lavorato e che hanno concesso, come estremo gesto di omaggio e riconoscenza, di pubblicare, a chiusura e completamento di questo libro, immagini che in alcuni casi costituiscono delle vere e proprie icone pop, foto-manifesto di una generazione.
Ma la vita di Bassi ci interessa così tanto, verrebbe da chiedersi, perché Claudio ha avuto il privilegio di entrare in contatto con questi grandi autori e artisti del Novecento. No, o almeno non solo. Sicuramente il sodalizio creatosi tra il Nostro e fotografi come D’Amico, registi come Petri, giornalisti, editori, attiva risonanze, genera curiosità, restituisce spaccati inimmaginabili della storia sociale e perfino intima della fotografia e del cinema. E in questo risiede parte dell’interesse che il libro suscita. Eppure, il racconto di questa vita sarebbe stato interessante anche in assenza di cotanti coprotagonisti. Perché ogni biografia, ogni esperienza, ogni vita è preziosa, irrinunciabile se intesa come singolarità che conduce ad una memoria comune di più grande respiro. Ci fa un dono, questo racconto della vita di Claudio Bassi. Ci ricorda come, per chi sappia ascoltarlo e leggerlo, il passato sia imprevedibile. Un ossimoro che ci dice che quando torniamo a leggerlo attraverso il filtro di una esperienza singola, individuale, esso si arricchisce di complessità, di possibilità (espresse o meno) che completano (e a volte smentiscono) le grandi ricostruzioni generalizzanti della storiografia.
Per tutte queste ragioni la vita di Bassi, o meglio: il racconto della vita di Bassi scritto da Campofreda trova il suo giusto spazio, nella collana La Banda del Racconto. In questo gioco di racconti che si incrociano e sovrappongono – Campofreda che racconta la vita di Bassi sulla base di ciò che lo stesso Bassi gli ha raccontato, in parte però anche sulla base di esperienze comuni, sulla base di storie ascoltate – risiede il nostro interesse de Il ragazzo dai sali d’argento. Perché il racconto della vita, che è altra cosa dalla vita, ci dice qualcosa non solo del protagonista, ma anche di chi quella vita la trasforma in racconto. Di chi, cioè, ha ascoltato le storie, le ha trattate, e infine le ha restituite secondo un programma narrativo che è il suo e che conferisce alle esperienze che tratta un senso particolare. Che è quanto fa, con competenza teorica e perizia metodologica, il narratore di comunità, cioè quel profilo di artigiano narratore di storie e paesaggi per il quale questa collana è una sorta di laboratorio costantemente in progess.
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