Introduzione
Marco D'Aureli
Il numero 31 della collana La Banda del Racconto è un volume dalle caratteristiche editoriali originali rispetto a quelle dettate dal canone. Per la prima volta compare tra le sue fila una ristampa anastatica. Ma se vi sono in esso elementi di novità rispetto agli altri della serie, medesimo è lo spirito col quale questo libro è stato pensato e comuni sono le coordinate culturali alle quali è possibile ricondurre l'operazione editoriale di cui qui si presenta il frutto.
I poeti di Tuscania edizione 2022 non è soltanto una ristampa. È qualcosa di più. Per prima cosa è il libro come avrebbe dovuto essere nel 1988, anno della sua pubblicazione, se le condizioni materiali di realizzazione lo avessero consentito. I testi allora sacrificati, e ora collocati nella prima Appendice, tornano a far parte dell'organismo per il quale furono pensati e dal quale furono espunti. C'è dunque un aspetto di risarcimento dietro questa operazione. Ma è solo uno dei corni della questione. Questo libro vuole essere l'omaggio ad una comunità, quella dei poeti a braccio tuscanesi, che aveva all'epoca già toccato il momento di più solida compiutezza e iniziava l'avvio della fase discendete della sua parabola. Infine, questo è un libro che raccoglie e mette in valore i talenti seminati con la sua prima uscita. Quelli che videro la pubblicazione de I poeti di Tuscania furono anni che arrivavano dopo le attività del circolo Gianni Bosio, delle ricerche di Sandro Portelli, di Marco Müller, di Giovanna Marini, di tutto quel movimento del folk revival che tra fine anni '60 e metà anni '70 si era speso in un grande lavorìo di ricerca sui temi della cultura popolare nelle sue diverse espressioni. Ricercatori che venivano da Roma e facevano delle sortite intorno alla capitale per studiare, in una chiave fortemente ideologizzata, e però svolgendo un meritorio lavoro di documentazione, il mondo dell'ottava. I repertori costituiti in quegli anni, le iniziative di studio e di registrazione, le pubblicazioni – così come quella in oggetto, giunta un poco più tardi – hanno contribuito alla conoscenza dell'ottava rima, alla formazione e alla crescita di una o forse anche due generazioni di ricercatori che si ritrovano ancora – è il caso testimoniato del testo di Sofia Barbanti pubblicato nella seconda Appendice – nel secondo decennio del XXI secolo a ragionar d'ottava rima.
Quello che dovrebbe essere chiaro, stando a quanto premesso, è che non stiamo licenziando una pura operazione di recupero archeologico utile esclusivamente a fini filologici.
Vale a questo punto la pena tracciare un ritratto e una biografia del volume che andiamo a riproporre. La sua gestazione ebbe inizio nel 1985 a cura di Gabriele De Giovanni e Antonello Ricci. Il Comune di Tuscania, su iniziativa dell'allora assessore alla cultura Fiorenzo De Stefanis, stanziò un contributo finalizzato a sostenere la ricerca. Fu però grazie all'intervento della Cassa di Risparmio della provincia di Viterbo che si poté dare alle stampe il volume, seppur in forma ridotta rispetto al progetto originario. Merita sottolineare, in questo passaggio, come il sostegno alla nuova impresa editoriale venga dalla Fondazione Carivit, già sostenitrice della pubblicazione dei volumi del ciclo La lèngua vitorbese e dedicati ai poeti Maggini, Mecarini, Canevari e Celestini.
Il libro fu il secondo ospitato nella collana Ottava rima. Studi e documenti della cultura orale diretta da Gabriele De Giovanni, romagnolo, santarcangiolese, docente delle scuole medie della provincia di Viterbo, appassionato di ottava rima e animatore culturale intento a rassodare e raccogliere in chiave critica memorie del mondo popolare. Il primo volume era uscito nel 1985, sempre a cura di De Giovanni e di Antonello Ricci, ed aveva come protagonista Delo Alessandrini, poeta a braccio di Ischia di Castro. In particolare le ottave composte da quest'ultimo durante la sua permanenza in un campo di prigionia tedesco nei Balcani nel corso della seconda guerra mondiale. I due volumi, a guardarli in prospettiva, mostrano caratteri del tutto complementari. Il libro dell'85 ha un impianto monografico. Quello dell'88 antologico. Il primo ci consegna un poeta ed un suo prodotto specifico. Il secondo una comunità. I poeti di Tuscania restituisce – grazie anche alla ricchezza di dati collaterali raccolti dai curatori – un fotogramma, ad ampia profondità di campo, dello stato dell'arte e, al tempo stesso, della tradizione dell'ottava rima in un contesto particolare, un borgo dell'alto Lazio, ad una altezza cronologica precisa, quella che vede il mondo dell'ottava rima estemporanea popolare, tra la prima metà degli anni Ottanta fino al termine dello stesso decennio, ancora dotato di una sua vitalità ma già avviato verso una china discendente.
Ma procediamo per ordine. Il titolo. L'idea di rendere autori i poeti di Tuscania (Ricci e De Giovanni figurano come curatori del volume) tradisce un anelito di coralità, una ambizione di poetica umanistica tesa a dare/restituire voce ai senza voce, secondo una visione/missione della ricerca antropologica tipica di quegli anni. L'aver scelto come autore del libro un soggetto astratto, che però al tempo stesso era una concreta tribù, una comunità fatta di uomini, di antenati di cui si ricordavano e celebravano i versi, di totem, di memorie condivise ma anche di riti, di relazioni e frizioni, anticipava di una trentina d'anni quella idea di paesaggio come brusio corale che attraversa, seppur secondo modulazioni originali di volta in volta, i libri della collana La Banda del Racconto e sulla quale sarebbe stato plasmato il profilo culturale del Narratore di comunità. Ma anche l'idea di una ricerca condotta con humanitas che si vuole partecipante e allo stesso tempo osservante, lasciando dominare uno dei due aspetti a seconda delle fasi e delle circostanze. In questo caso a dominare risulta essere l'aspetto documentario, l'aspetto osservante rispetto all'aspetto partecipante, anche se il metodo di raccolta fu improntato ad una forte partecipazione. Non fu, I poeti di Tuscania, soltanto ascolto di voci e restituzione di quel brusio corale al quale si faceva cenno poco sopra. A innervare il libro, infatti, traspare evidente una volontà di indagine a tappeto e documentaria di tipo scientifico che si fa anche ordinamento dei materiali e dunque atto interpretativo e critico, per quanto embrionale. Un lavoro che prendeva avvio sulla scorta delle ricerche cominciate da De Giovanni, intento a mappare le residualità del canto praticato in ottava rima in tutto il territorio dell'alto Lazio, dai monti della Tolfa a nord del lago di Bolsena, intervistando poeti a braccio ancora in attività o non più e recuperando memoria di quei poeti che erano morti poco tempo prima. Questo il racconto della ricerca dalla voce di uno dei suoi protagonisti:
la cosa bella è che li intervistavamo a casa loro e li facevamo raccontare a trecentosessanta gradi, e questo restituiva intorno all'ottava rima non solo il mondo della poesia, che era incardinato in maniera determinante nelle comunità contadine, rappresentava un momento cerimoniale, un momento molto forte dell'identificazione di campanile, dell'identificazione della comunità – in quel momento non più, si andava disgregando tutto, ma la aveva rappresentata fino a un passato prossimo molto molto vicino. Insieme con questo venivano fuori altre centomila storie. Ci facevamo raccontare le loro vite, quindi non solo la poesia ma tutta la vita intorno alla poesia convinti che un'autobiografia della poesia potesse nascere dalle singole biografie dei poeti incrociate in un mosaico di testimonianze. Tuscania nasce a un crocevia di queste esperienze nella tarda primavera, siamo a giugno inoltrato, del 1985.
Cuore pulsante del volume riproposto in anastatica è la trascrizione della registrazione (curata da Riccardo Spinella con il supporto di Gabriele De Giovanni) di un incontro, condotto dallo stesso De Giovanni con Antonello Ricci, che si svolse presso la nota osteria-trattoria di Alfreda. Per l'occasione vennero convocati a cantare poeti del calibro di Luigi Meloni, Giuseppe Montesi, il fantasista Ennio De Santis e l'apprendista Peppe Binaccioni. Tra gli altri, partecipò anche un ospite dalla folta comunità dei poeti di Montefiascone, Aldo Tofi. L'incontro, pomeridiano, venne condotto secondo il più classico dei copioni tradizionali, con i poeti disposti intorno al tavolino appena all'interno dell'osteria, e un pubblico, come testimoniano le fotografie dell'epoca, fatto soprattutto di anziani, essendo ancora in quegli anni l'osteria luogo di ritrovo e socializzazione degli uomini del paese, ma anche di intellettuali e poeti locali. Si iniziò coi saluti di rito, poi vennero affidati dei contrasti (su temi d'attualità, tradizionali, proposti dal pubblico o dagli organizzatori), e si chiuse con le ottave di congedo. Il video di questo incontro costituisce, grazie alla selezione curata da Spinella e Ricci, tolti tutti gli intermezzi non pertinenti, un significativo documento d'archivio.
Più o meno in contemporanea con la ricerca sul campo, Ricci si dedicò alla raccolta di documentazione scritta, soprattutto grazie alla mediazione di Luigi Meloni, il genius loci che lo introdusse nella comunità dei poeti tuscanesi, che fece da mediatore per altri incontri, che fece aprire case, consentendo tra l'altro il recupero di molti e preziosi materiali quali fogli volanti (documentati nel volume), manoscritti, dattiloscritti. Lo stesso Meloni fece dono al Nostro di molti di questi materiali, tra i quali sonetti e composizioni di Antonio Quarantotti, noto poeta a braccio, risalenti addirittura agli anni venti del Novecento.
Rispetto alla molteplicità delle forme (improvvisazione, contrasto) e dei supporti (oralità, scrittura) coi quali era possibile incontrare l'ottava rima, l'impianto tripartito del volume mostra un debito nei confronti di Giovanni Kezich e della scansione con la quale egli aveva provato a raccordare e a dare una mappatura di questo mondo creativo tradizionale pubblicando, nel 1981, l'estratto della sua tesi laurea in Letteratura delle tradizioni popolari (ricerca condotta con la guida di Pietro Clemente), nella quale offriva una sistemazione scientifica, rigida ma tutto sommato credibile e abbastanza aderente alla realtà delle cose, dell'ottava rima popolare. Nonché una possibilità di organizzazione di questo materiale tumultuoso e affascinante unito da un unico fil rouge: la forma strofica dell'ottava. Leggere l'indice di questo libro significa leggere un tentativo di classificazione delle forme della poesia a braccio.
L'Appendice 1 propone la Prefazione scritta da un allora giovanissimo (e in seguito affermato critico letterario) Massimo Onofri e mai pubblicata finora. Segue il breve scritto di Antonello Ricci sull'autobiografia della poesia, embrione di quello che poi sarebbe comparso sulle pagine della rivista «La Ricerca Folklorica» pubblicato nel 1987. Ancora, il breve saggio “Il gesto dentro la parola”, affidato alla futura giornalista Paola Marinozzi che a quel tempo recitava e si occupava di regia: una analisi della gestualità e della prossemica dei poeti, usando fotografie e immagini video. Chiude questa prima appendice il saggio «Musica e poesia so' due sorelle» scritto da Fabrizio Scipioni, musicologo di ambito classico, contenente un esperimento di trascrizione musicale. Un insieme di materiali semplici, realizzati da giovani ricercatori poco sopra i vent'anni, ma di valore e che questa pubblicazione permette di recuperare.
La seconda Appendice si apre con un omaggio, a cura di Antonello Ricci, alla memoria di Gabriele De Giovanni. Si tratta della riproduzione dell'articolo “Alla ricerca dell'ottava 'perduta' rima” pubblicato sul fascicolo 1-2 vol. XXXVII anno 1999 della rivista «Biblioteca e società». Segue un saggio di Sofia Barbanti sulle 'Carte Meloni' e una selezione di alcuni fogli volanti. Ancora, l'orazione funebre pronunciata da Antonella Montesi per suo padre Giuseppe Montesi, cui questo libro è dedicato. Chiudono il volume due ricordi. Uno di Ugo Stincarelli, figlio della 'mitica' Alfreda, che racconta delle imprese dei poeti viste con gli occhi di un adolescente e di un mondo, quello dell'osteria, che ben sintetizza l'idea di 'fatto sociale totale'; l'altro di Riccardo Spinella, legato all'incontro con i poeti e al suo lavoro di videomaker alle prese con l'ottava. Ad impreziosire ulteriormente la pubblicazione, frammenti di documentazione audiovisiva relativa alla ricerca sul campo svolta nel 1985.
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