Una famiglia romana nella Tuscia
di Gabriella Sica
Gianfranco Stivaletti era uno dei ragazzi di via S. Angelo nei nostri vent’anni, quando ci si incontrava in villette familiari tutti i pomeriggi, a sentire musica e a ballare qualche shake e ancora qualche lento nei bei giardini, vicini a un meraviglioso bosco, all’ombra di Monte Fogliano. Ragazze e ragazzi ancora impegnati nei riti della giovinezza, stranamente incuranti del vento impetuoso della contestazione, forse più tenue nella bella estate, appena uno scapolo caldo di allegria e spensieratezza, presto volato via. In quei pomeriggi estivi ci si incontrava senza alcun bisogno di cellullare o appuntamento, perché ci si vedeva comunque e sempre, con lo stesso orario a scelta, dalle 16 alle 22, alternativamente in una delle due o tre case generosamente messe a disposizione sulla stessa via, come se dovesse durare per sempre. Ragazze e ragazzi con la casa di vacanza nel paese che io ho chiamato in un mio libro Vallarte, tutti autoctoni o romani con origini nella Tuscia. Ci si frequentava, ci si affacciava alla vita, ci si preparava innocentemente ai singoli destini ancora indecifrabili. Chissà per quale disegno si formano a volte comunità di vario tipo, effervescenti e vitali, che resteranno a lungo irripetibili. Ho sentito con le mie orecchie dire che una simile gioventù non c’è più stata in quel paese, nonostante siano passati più di quarant’anni. Tra quei ragazzi c’era anche Luigi Abete, per le cui edizioni qualche anno dopo avrei fondato e diretto la rivista Prato pagano, che accoglieva i primi testi dei poeti dell’attuale generazione. E c’era appunto Gianfranco, colto e gentile, gentilmente impacciato in quei primi passi della vita, e a cui ho già dedicato qualche riga per presentare un suo libro in versi. Ora si ripresenta nella veste limpida del “cantastorie”, con il tono semplice e cantilenante di chi racconta storie private, come appartenessero a tutti. E così si è cimentato, con pulizia e finezza, nello scrivere in prosa una Storia di famiglia, in cui rievoca le genealogie materne e paterne, tra Roma, Anzio e Cura di Vetralla, il luogo scelto dai genitori e dove ha sempre trascorso le vacanze estive. Ma Gianfranco è nato e vissuto a Roma, è Un romano nella Tuscia, come si intitola un altro suo libro di poesie in dialetto romanesco, e ci racconta in gran parte le sue storie familiari ai Prati. Cura rimane comunque il luogo dell’anima e le sue vicende familiari romane sono coronate alla fine da belle storie ambientate nell’amata Tuscia.
Introduzione
di Emanuela Barreca
Nel leggere il libro di Gianfranco vi ho riconosciuto persone e luoghi della mia infanzia ed adolescenza che tante volte ho condiviso con lui, fin da quando ci siamo fidanzati e poi sposati.
La sua narrazione essenziale ed asciutta, il suo stile sintetico, che arriva subito al nocciolo della storia, senza troppe perifrasi o digressioni, mi ha fatto ritrovare quei ricordi di Vetralla, la città dei miei ascendenti materni, che mi hanno sempre accompagnato dolcemente fino ad oggi.
Sono rimasta sorpresa nel rilevare come, nel racconto che mi vede bambina con un nome di fantasia, Gianfranco ricordi in modo tanto vivo e preciso mia madre, mio fratello Paolo e me, che avendo allora solo tre anni, di quel periodo conservo solo qualche sprazzo di memoria.
Della casa dove abitavamo a Cura, in Via Sant’Angelo, in una villetta monofamiliare di un solo piano, accanto a quella dove la famiglia di Gianfranco trascorreva l’estate, mi sovviene ogni tanto solo il ricordo di un praticello di margheritine che amavo cogliere per fare dei mazzetti, e delle macchine che vedevo parcheggiate nel giardino, la giardinetta verde di mio zio e la topolino con le quali mio padre ci raggiungeva il sabato, portando con sé strette - chissà come - le sue due sorelle.
Il bello di leggere questi ricordi sta proprio nei ricordi che suscitano in noi!
Man mano che andavo avanti con la lettura, ho trovato però nomi di persone di cui non ho mai sentito parlare; ho chiesto perciò a Gianfranco di dirmi chi fossero e quale rapporto di parentela avessero con la sua famiglia.
Mi ha spiegato che nelle sue Storie di famiglia ha inserito dei personaggi di fantasia che sopperissero ad alcune lacune; perché, essendo passati da tempo a miglior vita i testimoni diretti delle vicende narrate, non gli sarebbe stato possibile riportarle con esattezza, e sarebbe incorso in errori facilmente confutabili. Ricorrendo a questo artifizio, dalla sua penna sono scaturite delle storie che, con personaggi dai nomi fittizi e immaginarie figure “di contorno”, si ispirano alle vicende della sua famiglia.
biografia
GIANFRANCO STIVALETTI nasce a Roma nel 1948, da Waldemaro e Agnese Lucci-Righi, da cui ha ereditato la passione per la scrittura ed un inesauribile desiderio di leggere.
Ad incoraggiarlo a scrivere sono stati anche due insegnanti del liceo, religiosi lasalliani, che, sull’esempio del Fondatore della loro Congregazione, concepivano la missione dell’educatore come un imperativo ad essere vicini agli alunni per stimolarli a coltivare i loro interessi e mettere a frutto le loro doti naturali.
Dalla nonna materna, Beatrice De Angelis, pittrice, ha ereditato l’amore per il Bello, e l’attitudine al disegno.
Tra il 2000 e il 2006 ha collaborato con la Casa Editrice “Pagine” di Roma alla pubblicazione di alcune antologie poetiche, partecipando anche a concorsi letterari, in uno dei quali, nel 2006, ha ottenuto il terzo premio per la Poesia.
Nel 2004 alcune sue poesie sono state pubblicate nell’antologia Vetralla nella Poesia, edita dall’Editore Davide Ghaleb e nel 2009 è nata la sua prima raccolta di poesie in dialetto romanesco, Vorei ‘na stanza co’ la vòrta a botte.
Del 2016 è la sua seconda raccolta poetica, in dialetto e in lingua, dal titolo Un romano nella Tuscia.
L’ultima opera, Il contastorie, è il suo primo cimento in Narrativa.
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