Una biografia scritta a più mani
La biografia di Maria prende vita da due motivazioni molto diverse: una tecnica, legata al lavoro e alla ricerca; l’altra emotiva, personale, intrecciata a filo doppio con la mia vita.
Nonostante il coinvolgimento emotivo nel realizzare questo progetto biografico, o forse proprio grazie a questo, le due motivazioni si sono amalgamate divenendo un tutt’uno, dandomi l’opportunità di fare alcune riflessioni che credo possano avere un interesse più generale.
L’idea di scrivere una biografia a più mani nasce nell’organizzare il programma per un laboratorio di scrittura avanzato. Adriana, Antonella, Beatrice, Carla, Maria Rosaria, Nadia e Paola – le autrici di Maria. Frammenti di una vita – mi chiedevano di pensare a un percorso su misura per loro. Lavorare sui generi della scrittura poteva essere una strada interessante: avremmo affrontato la scrittura autobiografica – diaristica ed epistolare – e quella narrativa, proseguendo con la forma poetica per approdare alla biografia che avrebbe richiesto loro non solo competenze tecniche acquisite durante lo svolgimento del laboratorio, ma anche un impegno più gravoso e una progettualità più ad ampio respiro. Inizialmente mi intrigava particolarmente lavorare sulla differenza tra storia e trama. Scrive Hillman “[…] È la trama che mostra come tutto sia connesso e abbia senso. Solo quando una narrazione trova la coerenza interna nelle profondità della natura umana abbiamo davvero un romanzo, e per avere questo romanzo dobbiamo avere una trama. Imbastire una trama è passare dalla domanda e cosa accadde allora?, a quella perché avvenne?”.
Volevo far loro sperimentare come, dati alcuni fatti ‘oggettivi’ della vita di una determinata persona, la trama che andiamo tessendo possa dar vita a narrazioni molto differenti l’una dall’altra. Era la prima volta che proponevo un lavoro di questo genere, navigavo a vista, ma ritenevo potesse essere un esperimento emozionante e stimolante; ancora non sapevo chi sarebbe stata la persona di cui avrebbero scritto, ma di una cosa ero certa: sarebbe stata una donna, sì, una donna nata in un’epoca lontana.
Scrivere una biografia
Scrivere una biografia è un’operazione complessa che coinvolge il biografo in una forte relazione con la persona di cui racconterà la vita. Egli dovrà abbandonare se stesso per scrivere di un altro che agisce, pensa e sente in modo diverso dal suo, ma potrà farlo solo se metterà in gioco la sua sensibilità per entrare nei panni dell’altro. Scrive Marguerite Yourcenar in Essais et mèmoires “Disincarnarsi per trasformarsi in un altro. E per farlo, utilizzare le sue ossa, la sua carne, il suo sangue e le migliaia di immagini registrate nella sua materia grigia”.
Cristina Comencini racconta nel suo romanzo Matrioška come prende vita una biografia ed esplora la relazione intensa, delicata e turbolenta tra Antonia, scultrice napoletana, e la sua biografa Chiara, e i cambiamenti profondi che tale relazione genererà nelle due protagoniste.
Il biografo, infatti, non è un grande orecchio che accoglie passivamente e riporta sulla carta il racconto di un’altra persona, entra in modo attivo nella narrazione con domande, riflessioni, suoi punti di vista che, inevitabilmente, creeranno nuova trama al racconto di una vita. Questi processi di cui stiamo parlando sono evidenti quando si scrive la biografia di una persona vivente: ci basiamo sulla sua narrazione, ci confrontiamo con lei, e la storia prenderà vita, sulla carta, sempre e solo con il suo consenso.
Ma cosa accade nello scrivere la biografia di una persona che non è più in vita, quando non abbiamo la sua presenza, la voce, il suo volto a rassicurarci e confortarci? Siamo soli alla ricerca di tracce che parlino di lei, del periodo storico in cui ha vissuto; dovremo fare i conti con documenti, lettere, fotografie, oggetti: indizi su di lei, sulla sua vita e le relazioni che ha avuto. Ascolteremo, se possibile, testimonianze di chi l’ha conosciuta; visiteremo i luoghi che ha abitato. A poco a poco, emergerà la sua personalità, prenderà forma la sua storia, probabilmente troveremo solidi punti dove poggiare i piedi – fatti indiscutibili – ma saranno pochi, il resto lo dobbiamo immaginare. Mediando con le notizie che abbiamo e immedesimandoci in lei, le daremo un’anima; immagineremo i suoi sentimenti, i pensieri, la faremo agire iniziando, così, a tessere la trama della sua vita.
Considerazioni sulla ‘veridicità’ di una storia di vita
Può sorgere una legittima domanda: quanto è fedele una biografia alla vita vissuta dalla persona di cui stiamo scrivendo? A questo interrogativo rispondo con un’altra domanda: nel raccontare la nostra di storia, nel ricordare il passato siamo certi che i ricordi siano veritieri e corrispondano alla realtà ‘oggettiva’ di quel che abbiamo vissuto?
Una frase di Garcia Marquez – citata da molti e ormai famosa – può aiutarci a rispondere: La vita non è quella che si è vissuta ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla. Credo sia fondamentale prendere coscienza di quanto dimentichiamo del passato. I ricordi che abbiamo, a pensarci bene, sono pochi, e mutano e si trasformano nel corso della vita, ricordiamo solo una piccola parte di quel che abbiamo vissuto; e mi chiedo: perché ricordiamo alcune cose e ne dimentichiamo altre? Già partendo da queste considerazioni possiamo abbandonare – senza sentirci colpevoli di non essere ‘fedeli’ alla verità – l’idea di un racconto ‘oggettivo’ di ciò che abbiamo ‘realmente’ vissuto. Ma Marquez ci fa fare un altro piccolo passo avanti ponendo l’attenzione non solo su quel che ricordiamo ma anche sul come lo ricordiamo, aprendo un interessante interrogativo sull’affidabilità o inaffidabilità della memoria. Non è questo il luogo per affrontare un tema così vasto e complesso possiamo solo fermarci un attimo a riflettere. Credo che molti abbiano fatto i conti con l’inaffidabilità della propria memoria, inaffidabilità legata ai ricordi di alcuni avvenimenti del passato, ma anche dovuta al trascorrere del tempo su di noi. Sarà infatti diverso raccontare i primi vent’anni della vita quando ne abbiamo trenta di anni, oppure raccontare quegli stessi anni a cinquanta, o a settanta. Avremo, di volta in volta, visioni diverse sulla nostra vita complessiva, alcuni episodi li avremo dimenticati, altri ne emergeranno; alcune situazioni ci parranno diverse, può darsi che la maturità ci faccia comprendere qualcosa in più degli eventi vissuti modificando così la nostra narrazione precedente. Possiamo anche supporre di manipolare, senza volerlo e senza rendercene conto, alcuni ricordi.
Vi racconto un avvenimento personale sperando di essere più chiara.
Fino a pochi anni fa ricordavo con dolore un episodio avvenuto intorno ai miei cinque anni; allora avevo dei capelli bellissimi, biondi e pieni di boccoli, ne ero orgogliosa e ci giocavo arrotolandone una ciocca su di un dito. Questo gesto mi calmava e mi aiutava a concentrami, ma era condannato dai grandi: affermavano che una signorina non era bene giocasse con i propri capelli! Li avrei, inoltre, rovinati. Ricordo una notte d’estate, eravamo al mare, dormivo; nel letto accanto, mia sorella. Quando mi svegliai la mattina dopo, i miei capelli non c’erano più: mi erano stati tagliati nel sonno, corti corti, senza che io potessi difendermi e protestare. Mi vidi orribile guardandomi allo specchio, ero disperata. Sembravo un maschiaccio! Ho sempre vissuto questo ricordo come prova di una grandissima e ingiustificata violenza subita. Una decina di anni fa, interrogando mia madre su questo episodio, mi disse che non era mai accaduto, era così vivido in me che la feci giurare, e lei giurò: sì, ricordava quell’estate in cui mi avevano tagliato i capelli ma non di notte, non mentre dormivo… Rimasi turbata da questa rivelazione che modificava parte della narrazione costruita sulla mia infanzia e giunsi alla conclusione di aver inventato quel ricordo probabilmente per giustificare a me stessa di non aver lottato a sufficienza per difendere i miei capelli. Ma a pensarci bene c’è ancora un’altra possibilità: e se fosse stata mia madre a non ricordare bene? Ecco l’inaffidabilità della memoria e le tante possibili narrazioni che possiamo costruire intorno a un fatto, in questo caso il taglio dei capelli, e ogni narrazione cambierà la trama della storia.
Jovanotti, nell’autobiografia, scrive con grande chiarezza “Mi affido all’inaffidabilità della memoria, nel senso che non c’è nulla di meno oggettivo della memoria personale, che si scolpisce e si modifica sempre alla luce di dove uno si trova nel momento in cui decide di ricordare”.
A questo punto possiamo iniziare a considerare il passato non statico, immutabile, ma in continua evoluzione, e di conseguenza instabile, incerto, mutevole come il presente e il futuro.
Qualche anno fa nell’introduzione di Non aprite l’aula otto, dove si racconta il lavoro svolto con gli studenti di Filosofia morale dell’Università della Tuscia, così scrivevo “Ci siamo concentrati sulla veridicità o meno dei ricordi, abbiamo compreso quanto non siano i fatti a dare senso al nostro vivere ma la narrazione che costruiamo intorno ad essi; abbiamo parlato della poca affidabilità della memoria e di come ogni ricordo, che si trasforma in narrazione, porti con sé un atto creativo. Ci siamo chiesti di cosa siamo fatti, e dell’importanza che hanno i sogni, le cose desiderate e non avute, le strade non percorse nel costruire, insieme a ciò che abbiamo vissuto, la nostra storia e la nostra identità. […] E ci siamo forse un po’ spaventati nel comprendere che non esistono certezze nel passato”.
La nostra identità si costruisce ascoltando e narrando storie
Quello di cui abbiamo parlato fino ad ora, guidati dalle parole di Marquez, ci ha aiutato a riflettere sull’idea che la vita non è quella che abbiamo vissuto ma è quella che ricordiamo e come la ricordiamo – ma c’è un altro passaggio importante nelle sue parole – per raccontarla. L’atto del ricordare prende significato e forza se unito alla possibilità di raccontare. E raccontare una storia, un avvenimento, una fiaba presuppone almeno due persone: una che narra, l’altra che ascolta. Probabilmente quando eravamo piccoli i nonni ci hanno raccontato episodi della loro vita, così hanno fatto i nostri genitori o altre figure importanti per noi. Probabilmente anche noi, affascinati dai racconti di epoche lontane, abbiamo chiesto loro altre storie, alcune le avremo amate in modo particolare volendole ascoltare più e più volte. Così, senza rendercene conto, le storie narrate dai nonni e dai genitori hanno nutrito la nostra anima e la nostra immaginazione, hanno fondato la nostra identità, donandoci un’appartenenza e aiutandoci a capire da dove proveniamo e chi siamo. Sono, quindi, non la vita vissuta ma i racconti su di essa a creare la nostra identità. Così come l’identità di un Popolo e di una Nazione si fonda sui miti, le leggende, le fiabe, la Storia, la letteratura e le narrazioni contenute nei libri sacri prodotti da quella determinata cultura.
Chi non ha avuto storie da piccolo, o ne ha avute poche, probabilmente ne sentirà la mancanza, sentirà il bisogno di riempire quel vuoto con dei racconti che costruiscano trama al suo passato. Avrà a disposizione la sua vita e da quella potrà attingere per creare identità.
Se ci liberiamo dall’idea di verità oggettiva, acquisteremo una leggerezza tale che ci permetterà di godere appieno delle molteplici possibilità che abbiamo – nel corso della vita – di narrare la nostra storia, senza che essa si cristallizzi in un unico racconto, bloccando così l’evoluzione interiore e la visione del mondo. Ci saranno sempre dei fatti inconfutabili nella nostra e nell’altrui vita ma sarà la narrazione che costruiremo intorno ad essi rispondendo alle domande perché avvenne? a che scopo?, che ci permetterà di modificarne la trama. Se ci concediamo la possibilità di cambiare punto di vista, di guardare il passato anche con gli occhi di chi abbiamo amato, e ci ha amato, renderemo il nostro ricordare un atto creativo in grado di riparare, sanare e costruire nuova trama e significato al vivere.
Maria
Ritorniamo ora alla nostra biografia sperimentale da scrivere a più mani. Dovevo, già a laboratorio iniziato, ancora decidere di quale persona – Adriana, Antonella, Beatrice, Carla, Maria Rosaria, Nadia e Paola – avrebbero scritto la storia. Dopo mille ripensamenti, incertezze, paure, dubbi e attimi di esaltazione, la scelta cadde su Maria, mia nonna materna, nata a fine Ottocento a Bassano del Grappa. Mi dissi che, scegliendo lei, avrei potuto fornire loro una biografia essenziale della sua vita e non compresi subito il forte impatto emotivo che questa scelta avrebbe generato in me.
Nei mesi precedenti l’inizio del laboratorio avevo aiutato mio nipote Ludovico, figlio di un mio fratello, a raccogliere documenti e testimonianze sulla vita di Francesco, mio nonno materno e marito di Maria, uomo colto, volitivo, figura importante nel panorama industriale della prima metà del Novecento. Nell’ascoltare con Ludovico i racconti di mia zia Paola – terzogenita di Maria e Francesco – hanno ripreso vita e intensità narrazioni sopite, come molti ricordi legati all’infanzia e alla giovinezza. I miei nonni sono tornati a pulsare dentro di me, mentre con uno sguardo adulto scoprivo aspetti della loro vita di cui non avevo mai avuto coscienza. Ma più che altro sentivo rinascere, potente, l’amore che avevo nutrito per mia nonna Maria, figura sullo sfondo, schiacciata dall’immensità di mio nonno, quasi invisibile anche nei racconti di mia madre e mia zia, e invece a me così cara. Mi resi conto di sapere molto poco di lei, degli anni della sua giovinezza e della prima maturità, quasi nulla della sua famiglia di origine, probabilmente perché nessuno lo aveva ritenuto importante e non se ne era mai parlato a casa. Provai rimpianto per non averle chiesto notizie sulla sua vita. Soprattutto quando siamo giovani, immaginiamo i nostri cari, eterni, figure che mai ci abbandoneranno, custodi di un sapere che pensiamo sia sempre a nostra disposizione. Solo quando è troppo tardi ci rendiamo conto che con loro se ne è andato via anche un pezzo della nostra storia e mai sapremo quel che vi era scritto. Da queste considerazioni, e dal disagio provato pensando a mia nonna, ha preso forma il bisogno e il desiderio di darle una storia per farla esistere e dare così dignità e senso alla sua vita. Volevo provare a guardare il mondo attraverso i suoi occhi e non attraverso gli occhi di mio nonno o di mia madre. Sono cresciuta, come penso tante donne della mia generazione, immersa in una cultura maschile dove forte è il richiamo al lavoro, alla lotta, all’agire, alla conquista, al valore; la vita dei sentimenti, della quotidianità ordinaria, delle sfumature impercettibili dell’umore, dei sogni ad occhi aperti e dei desideri mai pronunciati sono tenuti in pochissima se non inesistente considerazione. Volevo narrare di questo. Ma presto mi sono resa conto che i miei occhi si erano cristallizzati su quella visione passiva, debole, ingenua di mia nonna che mi era stata trasmessa dai racconti ascoltati e non riuscivo ad immaginarla diversa da come me l’avevano sempre narrata, e i miei ricordi legati alla sua dolcezza, all’ironia, alla pazienza non erano sufficienti a stimolare una visione diversa. Era necessario che la sua vita fosse guardata con interesse da sguardi liberi da pregiudizi e raccontata osservandola da altri punti di vista. Questa la vera motivazione per cui proposi ad Adriana, Antonella, Beatrice, Carla, Maria Rosaria, Nadia e Paola di scrivere di lei.
Le nostre antenate ce le portiamo dentro, sono nel nostro DNA, e come donne è importante dar loro voce perché, così facendo, creiamo narrazione per noi stesse, e rintracciamo le nostre origini profonde. Scrive Adriana, in una delle email che ci siamo scambiate durante la scrittura della biografia di Maria, “La storia di mia nonna è per certi versi simile... Quante donne si rincantucciano nella loro supposta nullità, a fianco di un uomo-eroe... È da anni che ho questo grande desiderio, vorrei che diventasse un progetto: essere noi le voci di queste ombre, perché sono le nostre radici e noi l’ultima occasione per loro. Non credo che si possa parlare solo di donne di grandi uomini, ma di donne comuni, ombre di uomini comuni”.
Come abbiamo lavorato
Le fonti. Le notizie sulla vita di Maria sono molto scarne e si basano essenzialmente sui racconti orali delle figlie, Matilde e Paola, da cui ho ricavato alcune informazioni certe sulla sua vita: dove e quando è nata, brevissimi accenni sui suoi genitori e i suoi fratelli, l’incontro con Francesco, l’anno della sua venuta a Roma, il matrimonio, i figli nati, i luoghi in cui ha vissuto.
Maria nasce a Bassano del Grappa il primo maggio del 1895, figlia di Giovanni Battista Serraglio e Caterina Vendrasco, le prime notizie che abbiamo su di lei risalgono al 1917 probabile anno in cui conobbe Francesco Violati, capitano d’artiglieria e suo futuro marito.
Dai racconti delle figlie emergono anche alcuni aspetti del carattere di Maria, possibili sentimenti che hanno attraversato la sua anima, il rapporto coniugale, piccoli episodi legati alla sua vita.
Alcuni particolari sull’incontro tra Maria e Francesco mi sono stati narrati dall’autista e persona di grande fiducia di Francesco, che con lui si era confidato.
Le informazioni su alcuni episodi avvenuti durante la seconda guerra mondiale, i bombardamenti di Terni e la vita in quegli anni a San Gemini, provengono dai racconti delle figlie, da uno scritto di Carlo, secondogenito di Maria, pubblicato nel 1999, e dall’intensa autobiografia di Luisa Grassini vissuta in quegli anni a San Gemini. L’autobiografia contiene alcune lettere che Luisa scrisse al suo fidanzato Aldo e da lei definite ‘testimonianza viva di quei momenti’, la prima è datata 9 luglio 1943.
Sono state anche utili, per ricostruire la storia di Maria, alcune foto, sia sue che della sua famiglia. Nel retro di ogni foto Maria con cura ha preso nota dell’anno, del luogo in cui sono state scattate e delle persone fotografate, interessanti alcuni suoi brevissimi commenti.
Le notizie ricavate dai racconti, come dai pochissimi documenti e dalle foto hanno costituito l’ossatura, lo scheletro, i punti fermi su cui costruire la trama della storia e dare corpo e sentimento a Maria.
Sette voci narrano gli stessi eventi osservandoli da prospettive differenti, esplorandoli con sensibilità diverse e scrivendoli con stili estremamente personali che vanno dal racconto, al diario, alla lettera: tessere di un mosaico che si incastrano per creare un piccolo affresco dei primi cinquant’anni di una donna vissuta in un’epoca lontana.
Ho visto Maria prendere vita attraverso le penne delle mie allieve, così diverse l’una dall’altra. Ognuna di loro ha esplorato una parte di lei. Nessuna ancora si rende conto della portata di questo lavoro, della meraviglia delle tante voci che si intrecciano nel raccontare una storia che apparentemente è la stessa.
Più volte mi sono commossa nel leggerle e nell’organizzare l’incastro dei vari brani.
Sono molto soddisfatta, hanno lavorato davvero bene e le ringrazio tanto.
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