Recensione - Roma 10 dicembre 2022, Laura Di Forti
Quando ho letto il titolo mi è saltata in mente una poetessa che ho molto amato nella mia adolescenza per la dolcezza e l’intensità con cui si esprimeva: Saffo. Di lei si sa poco, illazioni di una vita dissoluta, ma forse solo leggende, chissà. Si dice fosse piccola e nera e quindi brutta, certamente perché a noi, eredi della kalokagathia greca, piace vedere la perfezione fisica e morale dei nostri eroi o magari perché amiamo immaginarli con i capelli biondi e il fisico slanciato tanto cari a una certa mentalità ariana. Di Saffo si conoscono pochi versi, talvolta soltanto alcune parole. Insomma, solo frammenti, appunto.
Anche di Maria la nipote, ideatrice e coordinatrice del gruppo che le ha così sapientemente ridato vita e forma, poco conosceva. Certo l’amava non solo per diritto di sangue ma anche per una certa vicinanza di carattere e di stile ma, in realtà, tutto era avvolto dalla nebbia del ricordo e dalla ritrosia stessa di Maria che, moderna Sfinge, poco raccontava di sé o lo faceva in modo da esaltare generosamente più gli altri che se stessa.
Non spiccava in famiglia, forse si notavano di più i suoi cappelli che nascondevano la bellezza del dolce viso e i lunghi capelli biondi, probabilmente perché la sua personalità era messa in disparte da quella del marito, troppo forte per una donna che si era adagiata a vivere nella sua ombra per amore, certo, ma anche per consuetudine, perché erano altri tempi. Il 1968 era lontano, le donne, all’inizio del Novecento, erano ancora creature che bisognavano della tutela di un padre, un fratello, un marito. Non avevano una loro indipendenza, esistevano in quanto figlie, mogli o madri.
Maria ci viene quindi consegnata in questa atmosfera quasi di sudditanza, un poco anche per il carattere mite, accomodante. Eppure Maria, anche se fragile, al contempo è forte e impavida, altrimenti non sarebbe partita per Roma senza essere sposata. Maria ha precorso i tempi, forse per amore era disposta a cambiare le carte in tavola. Ha dovuto subire l’arroganza della famiglia di Francesco, certo, ma ha resistito fino alla vittoria finale. Ma anche dopo, la vita non è stata solo rose e fiori, d’altronde non lo è mai per nessuno.
Maria però rimane avvolta nella leggenda, di lei i frammenti parlano contornati di forse e di probabilmente. Nulla è come sembra, nulla è certo se non solo possibile. Non ci sono elementi chiari e inconfutabili, il racconto diretto di chi ha vissuto certi momenti così cruciali nella vita di quella giovane donna ardimentosa il cui cuore si è subito infiammato per il Capitano Francesco. Lei amava nascondersi o ha subito una sorta di indifferenza da parte della famiglia?
E così, in un valzer pirandelliano in cui niente è perfettamente incastonato nella verità, le talentuose scrittrici hanno immaginato il primo incontro di Maria con Francesco, la felicità per la fine della guerra, la partenza per Roma, la vita coniugale, la nascita dei figli e la vita nella sua casa e li hanno pensati, ideati e raccontati filtrati nell’essenza stessa della loro personalità, del carattere, di quel vago sentire che ha dato forma, vita e respiro ai ricordi che, forse, aleggiano ancora in quelle vecchie stanze. La bravura delle autrici è innegabile e veramente loro si sono sentite avvolte dal calore di questa donna che veramente è vissuta, è stata figlia, sorella e giovane innamorata, è stata madre e nonna, una nonna ricordata come “burro”, un’immagine tanto tenera e poetica.
Il lavoro non è stato certamente facile: dare voce a questa donna che per tutta la vita ha vissuto nascosta dalla personalità forte e totalizzante del marito, che si è fatta piccola, poco ingombrante, leggera come piuma, che è stata dimenticata talvolta, no, non è stato facile, ma si doveva. Come in puzzle, dove le tessere sparse e scompaginate vanno rimesse in ordine, la vita di Maria è tornata viva ai nostri occhi riemergendo in un rinnovato splendore come Afrodite dalle acque.
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