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AVVENURE IN FAMIGLIA
Arnaldo Sassi


La prefazione del menestrello, Antonello Ricci

Viterbo. Domenica mattina di splendido sole, seduti al tavolo di un bar sotto i portici. Arnaldo mi porge un plico con le bozze di questa sua opera prima (divertentissima: il lettore è avvisato fin d’ora): Avventure in famiglia. Poi sorseggia il caffè dalla tazzina e subito si accende l’immancabile sigaretta, solo la prima di una lunga serie. E prende a raccontare: di sé, di questo libro, del suo mestiere. Porgendomi in dono, tra una battuta e l’altra, preziose perle di umile saggezza. Prima fra tutte l’idea che l’ineffabile arte del giornalismo profumi di antico: perché funziona come certi saperi della tradizione artigiana. Eh sì, quello del giornalista – parole sue – è un mestiere che s’impara rubando con gli occhi. E lui – giovane “apprendista” – si ritrovò a impararlo nella fumosa-prestigiosa redazione romana del Messaggero, fianco a fianco con “maestri” più vecchi e più esperti di lui, e perciò stesso anche più bravi. Il bravo giornalista, in altre parole, non deve aver paura di imitare, di “copiare”. Perché copiando s’impara. Non a caso, l’idea stessa di questo sapido libro nasce da un “copiato” (si legga in tal senso la Nota dell’autore che segue). Lo stesso vale per certe minute malizie di scrittura, che Arnaldo mi confida con il sorriso di chi la sa lunga e la sa raccontare. (Per esempio: partire sempre dalla battuta finale eppoi tornare all’inizio: così il racconto fluirà naturale, immediato e divertente.)
Come per un’intermittenza del cuore, tutti questi discorsi e questi oggetti (questo tavolo all’aperto, queste nostre tazzine vuote, questo posacenere stracolmo di cenere-e-cicche) mi riportano a un ricordo di quasi vent’anni fa: quando incontrai Arnaldo, era la prima volta, sulla tolda fumosa della redazione viterbese del Messaggero di cui egli era indiscusso capitano di lungo corso. Dopo tanta esperienza romana. Molto avrei imparato da lui, negli anni a venire, molto avrei rubato con gli occhi, molto avrei copiato a mia volta. Da uno scrigno di esperienze assolutamente preziose anche per un “semplice” narratore come me (tanto è vero che mi ha sempre affettuosamente chiamato “menestrello”).
Al tempo stesso però, proprio questo stesso innocente gesto – accendersi l’ennesima sigaretta davanti a una tazzina vuota – riesce a condurre il lettore, mano nella mano, fin nel cuore di Avventure in famiglia. Perché in qualche modo – non diretto, non psicologico: Avventure in famiglia vuol essere un florilegio di scenette umoristiche, un’operina gnomica, non certo un testo di narrativa in senso stretto – in qualche modo, dicevo, i “lineamenti” di Arnaldo sembrano gli stessi di Antonio, protagonista maschile dei bozzetti qui raccolti. Entrambi sono pensionati. E, proprio come Arnaldo, anche Antonio accende sigarette a nastro continuo sorseggiando avidi caffè. Bevanda che sua moglie Barbara, coprotagonista femminile a pieno titolo, gli apparecchia sempre con amore: amore lieto, in genere, a volte sornione, a volte brontolone-litigarello. Mentre insieme commentano il fatto del giorno. E non conta si tratti di una notizia da prima pagina o di un curioso aneddoto di colore. (Chiunque si sia formato in una redazione sa bene quanto spesso la cronaca si riveli più romanzesca dell’immaginazione; come da ogni lancio, anche il più cupo, strizzi sempre l’occhiolino la malizia di un paradosso; che il mondo è insomma un circo alla cui effimera ribalta immancabili si esibiscono uomini che hanno morso un cane.)
Nel limitato perimetro tra sedie a sdraio con ombrellone in giardino, divano della pènnica in salotto (rigorosamente davanti alla TV), fornelli in cucina, sotto la gustosa (e arguta) regia di Arnaldo, Antonio e Barbara si muovono in uno spazio essenziale, quasi astratto: e proprio per questo molto familiare e accogliente per il lettore che vi s’inoltri, come a teatro. Un po’ come accadeva per certi sketch televisivi del memorabile duo Mondaini-Vianello. Ove il gesto quotidiano e il tic, il frizzo e il lazzo, la provocazione e il bisticcio, il dialogo e il calembour, il witz e l’immancabile ricomposizione finale dei contrasti, venivano sempre a cadenza con sapiente tempismo. E allora due parole, infine, sullo spirito, sull’idea del mondo, sulla “poetica” che innerva questo Avventure in famiglia. Non importa che i due simpatici coniugi risultino pienamente immersi in un presente borghese, tecnologico e massmediatico – che cioè brandiscano ammonitori un quotidiano, che cambino canale TV, che vadano su internet con l’Ipad, che inoltrino mail. Tutto nella “modesta proposta” maieutica del loro autore si dipana sotto il segno moderatamente-saggiamente nostalgico di un ormai-perduto piccolo mondo antico: dove le scarpe certo erano grosse ma il cervello era senz’altro fino. Spirito popolare – e dunque dialettale: dialetto romanesco nella fattispecie – che non faticheremmo a etichettare, in inglese, per common sense. In italiano farà sua degna figura la proverbiale formula del buon senso antico. Di cui, ne sono convinto, tutti sentiamo la mancanza, alla deriva come siamo in questo inquieto-spaesato presente. E di cui Arnaldo Sassi è senz’altro prudente maestro. Buona lettura e, soprattutto, buon divertimento.