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NEL PARCO
Alfideo Fochetti


Prefazione

Distillare gocce preziose da regalare
per strada a chi passa

Per presentare un amico di lunga data ci vogliono garbo ed equilibrio, partecipazione e distacco critico, immersione ed emersione (nei ricordi e dai ricordi), vicinanza e lontananza. La capacità di usare sia il sentimento che la ragione, l’abilità di far dialogare il soggettivo e l’oggettivo. Mentre mi accingo a scrivere queste righe, mi sorge spontaneo però un dubbio, un grande dubbio che mi lascia perplesso e quasi interdetto: mi viene di pensare che non riuscirò a mantenere una giusta misura; non ci credo. Non ci credo perché in cuor mio so che non posso, e capisco sempre più che non lo voglio nemmeno. No. Non lo farò. Voglio abbandonarmi. Voglio scrivere liberamente – seguendo Alfideo e ispirato dalla sua modalità – voglio lasciarmi trascinare dal flusso e godermi, per quanto posso, le immagini e le considerazioni che mi sbocceranno. Non voglio fare il professore, lo studioso, il critico, l’analista, il letterato, l’antropologo. Sento l’esigenza di spogliarmi; la poesia di Alfideo mi chiede altro. L’amicizia con Alfideo pretende altro. Non so se ci riuscirò, ma voglio provare. Vediamo. La grande domanda che mi sento dentro è: come andrà a finire? Si potrebbero citare alcuni versi della poesia iniziale di questo libro, che mi pare esprimano la mia situazione:
(…)
la parola
che si mostra
ci include
ma le voglie
e le incertezze
restano.
Sapremo declinare
l’avverso tempo
e il cammino
della speranza
sul passo
degli angeli?
Un volo colorato di farfalle-aquiloni
Provo allora a declinare, roso dal dubbio ma divertito. Cerco di armarmi, senza paracadute, per il volo colorato di farfalle-aquiloni.
Le foglie. Spesso compaiono le foglie nei versi di Alfideo, insieme alla luce, al vento, al sole, alla luna, alle nuvole, agli alberi, agli uccelli, alla notte, alle albe, ai tramonti, agli angeli, all’amore, al tempo che passa. Si sente un presagio del cosmo. Non si può non sentire. Si sentono le stagioni, che non sono leopardianamente “morte stagioni”, ma presenti e vive, direi molto vive, e Alfideo ne intuisce i suoni, ne interpreta la vitalità intima, ne illumina il ritmo, soprattutto quello più nascosto. Quello più fugace. Alfideo non ha una siepe che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude. Va oltre, sui tetti, verso il cielo e poi ritorna sulla terra in un continuo andirivieni. Le foglie morte dell’autunno mi appaiono sentimentalmente in tutta la loro splendida coloritura Mentre scrivo è autunno inoltrato, quasi inverno, e cumuli di foglie si scorgono nelle strade, nei viali alberati, nei prati. Non posso evitare di pensare a Les feuilles mortes, Yves Montand, Juliette Greco, Edith Piaf, alcuni dei principali idoli della mia adolescenza un po’ esistenzialista; gli amori impossibili, la passione per Sartre, Simone de Beauvoir; le poesie di Prévert, le canzoni di Georges Brassens! Quante immagini! Quanta vita! Les feuilles mortes è ai miei occhi un capolavoro e ancora mi risuonano la musica e le parole:
Les feuilles mortes se ramassent à la pelle Les souvenirs et les regrets aussi Et le vent du nord les emporte Dans la nuit froide de l’oubli Tu vois, je n’ai pas oublié La chanson que tu me chantais
C’est une chanson qui nous ressemble Toi, tu m’aimais et je t’aimais Nous vivions tous les deux ensemble Toi qui m’aimais, moi qui t’aimais Mais la vie sépare ceux qui s’aiment Tout doucement, sans faire de bruit Et la mer efface sur le sable Les pas des amants désunis
Le foglie cadono silenziose sul prato, attraversano i rami, compiono leggere evoluzioni. Alfideo:
(…)
Equazioni di foglie morte
Di cime ondulanti
Sugli alberi più alti
in quinta
di controluce sacrale.
Si prepara forse la pioggia
per bagnare l’incerto tempo.
(…)

In un’altra poesia (Passa il tempo):
Ogni volta
che incontro
una foglia
cadere
penso all’albero
che ha donato
il fiorire

Le foglie morte sono vive. Cadono a terra ma volano leggere, assecondate dal vento, scendono con il godimento del volo. Un godimento quasi sensuale. Formano un tappeto, si sdraiano, si uniscono. Forse sanno che, una volta adagiatesi sulla terra umida, formeranno un humus che produrrà un seme che servirà a rigenerare la vita, di lì a poco. Sono morte ma contengono la vita, il rinnovamento e la rinascita, simboleggiata dai calci al pallone di un bambino (rotolare di desideri). Quello che passa e quello che resta, ma in realtà Alfideo ci dice una profonda verità: tutto passa e tutto resta.
(…)
Le storie
passate
e non dimenticate
sono occasioni
per incontrare
le “trame”
della terra
(…)

Quello che lasciamo andare è fondamentale per vivere quello che tratteniamo. Un racconto di rara bellezza di Italo Calvino, La poubelle agréée (ancora Francia, guarda caso!), scritto nel periodo in cui lo scrittore viveva a Parigi, racconta il rito giornaliero del conferimento della spazzatura e riflette sui suoi significati nascosti, arrivando a decifrare la valenza essenziale del gesto del buttar via quello che non ci serve, i cosiddetti rifiuti. Anche gli alberi buttano via le foglie, perché poi possano ritornare, nuove, di lì a pochi mesi. Noi siamo quello che siamo perché buttiamo via quello che decidiamo essere da abbandonare; anche gli alberi fanno la stessa cosa. Per noi umani è un gesto comune, culturale e insieme naturale; come lo è per gli alberi, ma è un gesto comune che contiene la capacità di segnare i destini umani come ci dimostra leggiadramente Calvino. Quelli che Alfideo traccia nelle sue poesie sono spesso gesti comuni, accadimenti consueti. Ma sono insieme scintille di universo e segnali di umanità.
E su questo mi voglio permettere un ricordo personale. Nei decenni di frequentazione con Alfideo e con altri amici vasanellesi mi è capitato molte volte di conoscere persone nuove con cui entrare in mille e mille discorsi, più o meno strampalati, più o meno profondi, spesso accompagnati da bellissime e vividissime libagioni che rendevano il tutto molto colorito. Serate memorabili vissute con una pienezza straordinaria. Più di qualche volta mi è capitato di ascoltare da parte dei neofiti, ma anche da parte degli habituées, frasi e domande, talvolta esplicite, ma anche sottovoce, che sottolineavano la facondia di Alfideo, il suo stile nel prendere in considerazione le cose più minute, la sua capacità di valorizzare i dettagli, il suo occuparsi sempre di tutto con fantasia, creatività, giocosità. Un filo d’erba, un granello di sabbia, una pietra abbandonata, una scintilla, un ramo, un cane che abbaia, un colore dell’aria, un uccello, una finestra, una tegola rotta, le gocce di pioggia, una nuvola, un bagliore improvviso, un soffio… Potrei continuare ad libitum ma mi fermo. Il vedere cose che spesso gli altri non vedono: il suo genio e la sua follia. Io mi sono convinto nel tempo che Alfideo possiede proprio questo dono (che peraltro non esibisce mai o quasi mai, nel senso che il più delle volte resta sul confine tra l’implicito e l’esplicito), ovvero la straordinaria capacità di “sentire” e di valorizzare le (apparentemente) “piccole cose” (mi scuso per il termine ma non me ne viene un altro: le minuzie, i dettagli, le piccolezze? Sono chiaramente sinonimi), facendole diventare “grandi cose”. La quotidianità svelata nel suo lato eccezionale, la vita ordinaria che diventa stupefacente, la realtà che non è banale, noiosa e prosaica, ma si fa magica, miracolosa, comunicante, in ogni suo singolo elemento. Mi è capitato più volte di descrivere Alfideo a qualcuno che non lo conosceva, sottolineando proprio questo aspetto della sua personalità. Il suo “vagabondaggio” dentro la realtà è funzionale a cercare e a trovare sempre aspetti inediti, visioni ignote ai più, valori altri. Questo suo profilo e questa sua attitudine mi sembra che costituiscano la base della genesi della sua ars poetica. Associando liberamente mi verrebbe in mente di citare un grande poeta della canzone italiana, Fabrizio de André, la sua attenzione per le povere minuzie, per la vita comune della gente più comune, la passione per i diseredati; mi risuona un passo di Via del Campo, luogo malfamato di Genova, in cui si consumano esistenze tribolate e difficili; Fabrizio ci ricorda che “dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior”. La bellezza incastonata nella realtà giudicata la più “bassa”. Pasolini guardava ai contadini di Chia come ai custodi/monumenti della memoria arcaica eleggendoli a veri testimoni dei più grandi valori del passato. Il nostro amico poeta Ennio De Santis guardava ai pastori come ai depositari della poesia di origine omerica. Bisogna saper guardare. Lo sguardo è fondamentale. Alfideo è pieno di sguardi che sono nello stesso tempo consapevoli e inconsapevoli, nel senso che si esercitano spontaneamente, direttamente, anche senza volerlo. Si producono e basta. Forse possiede un radar, in un angolo recondito della sua mente, con cui registra tutte le presenze che noi comuni mortali non riusciamo a trovare. Un radar che funziona ed intercetta incredibilmente anche le essenze più lievi (per esempio le farfalle-aquiloni). Un radar che è sempre attivo. Gli spirti guerrieri foscoliani sono sempre in circolazione e ben svegli in lui! Ugo Foscolo quando si fa sera li lascia dolcemente addormentare, ponendoli in viaggio verso l’infinito:
(…)
Vagar mi fai co’ miei pensier su l’orme Che vanno al nulla eterno; e intanto fugge Questo reo tempo, e van con lui le torme   Delle cure onde meco egli si strugge; E mentre io guardo la tua pace, dorme Quello spirto guerrier ch’entro mi rugge.

Alfideo invece li tiene sempre vivi, anche la notte, godendo e facendoci godere, per esempio dei:

Controluce
di nuvole
in notturno
movimento

oppure quando dichiara:

Sorveglio le ore
per non addormentarmi
per percorrere
il filo di luce
che resta
nella stanza,
per fermarmi
a pensare.

O ancora:

Il mondo
sembra
stanco di tutto
ma la notte
regala
amichevoli compagnie.

La sua poesia c’è. Sempre. Non dorme mai. Così come c’è stata sempre per tutti gli uomini in ogni tempo. Anche prima che si cominciasse a scriverla.
La scrittura. La poesia è nata prima della scrittura. Etimologicamente deriva dal greco poiésis sostantivo del verbo poiéin che significa fare, produrre, creare; dunque poesia significa creazione.
Non posso fare a meno di citare un passo dell’Enciclopedia Treccani per ragazzi:
“Nata prima dell’invenzione della scrittura e presente in tutte le culture di tutte le latitudini, la poesia è una forma di espressione che si fonda sulle dimensioni musicali del linguaggio – ritmi, accenti, sonorità – per trasmettere contenuti ed evocare suggestioni ed emozioni. Il linguaggio poetico, sia nelle sue forme codificate da secoli, sia in quelle più libere, è in grado di cogliere e dare voce a esigenze profonde dell’uomo, mescolando in modo indissolubile scrittura, senso del ritmo, musicalità della parola e rivelazione di particolari contenuti e significati”.
Leggendo i versi di Alfideo, si sente in modo netto la creazione, la plasmazione di immagini, come in un quadro, un quadro di parole “gettate” sulla pagina. La poesia che cosa è? Risponde Alfideo:
La
poesia
è l’arte
di dipingere
con le
parole

E insieme si sente come il gesto del poetare emerga con forza, sgorghi come da una sorgente da cui non può non sgorgare e da come si generi un flusso ininterrotto sul filo dell’inconscio. Non posso fare a meno di pensare al flusso di coscienza (stream of consciousness) della scrittura di Joyce. Così come ai surrealisti: Breton, Eluard, Aragon, Tzara, ecc. Riferimento immediato alla pratica della scrittura automatica, alla inesauribile capacità combinatoria, oltre la realtà comunemente intesa; il sogno che è più realistico del reale, la rivelazione di contenuti altri, attraverso associazioni di parole generatrici di significati possibili ma impensabili, talvolta ossimorici. Alfideo possiede la poesia e nello stesso tempo ne è posseduto. Gioca con le parole. Ma anche le parole giocano con lui, quasi in autonomia. Coglie e descrive l’attimo fuggente, ma nello stesso istante gli sfugge di mano. Ma lui non si ferma e continua a trovare altri meravigliosi attimi che però perde immediatamente. A dire il vero non li perde, perché li fissa nella sua poesia. Sembra perderli, ma quello che sembra spesso non è reale. La sua grande saggezza e la sua grande follia sono l’unicum attraverso il quale riesce a distillare gocce preziose da regalare per strada a chi passa.

UNA GRANDE SAGGEZZA

Ho trovato
una grande saggezza
nell’emozione
che cattura
i pensieri
e trasforma
la materia inerme
di una vita che passa

ho trovato
una grande saggezza
negli incontri
di amici
che si pensano
cercando di capire
il presente.
Siamo essenze
di profumi
ricercati!

Marcello Arduini