Presentazione
Maurizio Bernini e la sua Opera
Nomen omen ovvero già nel nome il destino di una persona
Prof. Nino Lo Conti
All’origine di molte culture esiste il mito di un peccato primitivo, a causa del quale l’uomo sarebbe stato allontanato dal suo «principio creatore». Anche l’iconografia biblica e cristiana raffigura un angelo che, con la spada minacciosamente sguainata, scaccia via dall’Eden Adamo ed Eva, spauriti e schiacciati dal peso del rimorso per avere osato sfidare il «divino divieto».
Mi piace pensare che il «grande vecchio», vedendoli vagare sulla Terra, atterriti e tremanti, abbia provato tenerezza per la fragilità di quei due che, solo ora, capivano e pagavano per l’enormità di quanto commesso.
Ecco allora che Dio, nella sua infinita misericordia, concede all’uomo uno strumento miracoloso, affinché un nuovo ri-congiungimento con Lui sia parzialmente possibile. l’arte!
Essa costituisce il «ponte» privilegiato per accedere nuovamente al soprannaturale da cui un giorno ci siamo staccati. Non a tutti però è permesso percorrere questo ponte verso la bellezza originale; solo pochi, solo gli artisti possono ri-percorrere questo «oltre» che li pone dinnanzi a Dio.
L’arte è la chiave che scopre il varco segreto, la maglia rotta nella rete dell’originario divieto, il passaggio, attraverso cui pochi eletti vengono nuovamente in contatto col mistero e l’ineffabile. E tuttavia nessuna conquista è stata mai elargita gratuitamente e così questi nuovi sacerdoti scontano a caro prezzo l’«oltraggio» con le stimmate della solitudine e della sofferenza, stampigliate a caratteri di fuoco nelle piaghe della propria anima. Essi non possono nemmeno riferire direttamente l’epifania esperita e così a noi, comuni mortali incatenati sul fondo della «caverna», non rimane altro che osservare trascorrere sulle pareti l’ombra deformata e imperfetta del mistero che altri, più fortunati, hanno vissuto direttamente e adesso ci rappresentano e raccontano attraverso la loro produzione artistica.
Maurizio Bernini (che già nel nome porta l’orma manifesta del proprio destino artistico) può sicuramente vantare la nobiltà dell’«oltraggio» cui è stato chiamato ma, contemporaneamente, si trascina dietro la maledizione della divinità che, in cambio del dono della visione della perfezione, lo ha incatenato nella solitudine e sofferenza dell’artista. Cifre queste che emergono chiaramente nella totalità della sua produzione artistica, si tratti delle liriche o dell’arte figurativa in cui eccelle sommamente.
Artista poliedrico, possiede dunque anche la complessità connessa a questo suo carattere.
Fin dal titolo, Quel che non si vede, il poeta avverte il lettore della volontà di cimentarsi e misurarsi – con sé stesso prima che con gli altri – non tanto con la grossolana concreta realtà «fenomenica», quanto con quell’altra dimensione, misteriosa invisibile e ineffabile, che è quella «noumenica» e spirituale dell’Anima.
Poi enfatizza ulteriormente il titolo con un aforisma (Intelligenti pauca): “La Verità è la più grande minaccia per il genere umano”. Che tradotto significa: Il Mondo sopravvive grazie ai sotterfugi cui siamo costretti da chi si arroga il diritto di calpestarci; se vivessimo ogni giorno secondo verità non avremmo bisogno di eroi e di santi.
Maurizio si presenta con un eclatante manifesto d’intenti che non lascia spazio ad ambiguità di sorta:
la Poesia per me è «affascinare e divertire …» «scendere nella profondità dell’animo umano…» «La poesia prende le distanze dal compromesso e si fa strumento di riflessione.»
Questa sua dichiarazione di poetica la troveremo poi, costantemente e coerentemente, declinata in tutti i versi d’ogni sua lirica.
Molte altre comunque le tematiche che caratterizzano la poetica del Bernini.
Già in incipit troviamo la sofferta consapevolezza dell’incomprensione cui è destinato l’Artista (dura, triste e senza una compagna; oggi sotto i riflettori, domani a lume di candela); (Per te io sono un buono, /per te un malvagio, /per te un saggio/e per te un pazzo); cui si accompagna la consapevolezza della durezza della vita (Grazia e disgrazia/sono due sorelle, / camminano sempre accanto tenendosi per mano); (La vita è questa, l’ho capita:/dove c’è una gioia c’è sempre una ferita); (Siamo signori e padroni di nulla).
La coscienza di questa dimensione maledetta, tuttavia, mai scade in pessimismo e disillusione (e non lascerò che stretto il mio cuore si spenga strozzato dall’angoscia), anzi innalza il poeta ad una visione privilegiata dell’esistenza e dell’Universo che appare in tutto il proprio fascino (Nello spettacolo di stelle, /simili a gemme e collane preziose, /l’uomo silente ammira stupito, /l’armonia dell’infinito).
Come filo conduttore dell’intera sua lirica emerge una profonda tensione spirituale che si coniuga all’Onestà e Lealtà (è nella fede in cui credetti che fu già emesso il mio verdetto); (Il compromesso non è una vittoria, /la vera conquista è avere il coraggio /di essere sé stessi); (… non son degno di sedermi in prima fila); (Io sono il nulla, io non esisto, /io sono il dubbio, io sono il vostro inganno). Eclatanti appaiono, nell’intera opera, il rigore intellettuale di fondo, la purezza e ipersensibilità, che confluiscono verso una carica di profondo pathos. Questa è la cifra personalissima del Bernini, che gli fa onore perché rimanda ad una Persona esigente con sé stessa, ancor prima che con la realtà sociale esterna con cui si rapporta.
Per quanto attiene alla scrittura essa è continuamente permeata dal tono assertivo, spesso filosofico e aforistico che, già presente nella poesia del passato (Esopo, Fedro, La Fontaine), ora trova riferimento fisso nella migliore tradizione della poesia popolare (Giusti) e vernacolare (Belli, Trilussa). In tal modo la sua diventa anche poesia da recitare, infatti dall’incipit discorsivo e colloquiale – in un crescendo climatico performante – si passa ad un tono sempre più acceso, fino alla chiusa finale che esplode in un fulmen in clausola (decida lei se nascere da un cavolo o se provenire dalle scimmie le faccia onore); (sempre illude,/ma non promette la Dea Bendata); (L’albero della guerra fa rami che non germogliano); (Mi fido solo dell’Amore,/libero da pregiudizi e dove ogni ragionamento muore); (perché di tutti e di nessuno mai fu la ragione ed il torto); (Siate voi stessi per essere qualcuno,/non siate come tanti/per essere nessuno).
Non di rado i suoi testi si sciolgono nel sorriso e nella ironia (…natura/ volle che fossi più un don Abbondio che un don Giovanni).
L’artista paga per avere voluto attraversare il «ponte dell’arte» che gli fa sperimentare la visione della bellezza e della perfezione primigenia. E così gli tocca in sorte lo stesso destino delle «farfalle»: stando fuori, al freddo e al buio, vogliono raggiungere la luce della «fiamma» al di là del vetro ma, nel loro desiderio totalizzante di calore, giungono fino a bruciarsi le «ali».
San Giovanni Bianco, 9 Marzo 2023
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