PRESENTAZIONE DI MARIA MERCEDES PARODI ZANGARI
Mi sembra di particolare attualità la pubblicazione dello studio di Carla Benocci su Giovanni Battista Trionfetti e l’Orto Botanico gianicolense, con l’introduzione di Mauro Piacentini, nella collana «Quaderni di Roma e Lazio, 4» del Museo della città e del territorio (Vetralla) dell’Università della Tuscia.
Attuale, attualissima, perché forse mai come negli ultimi anni tutta la cultura e la politica del pianeta ha posto la sua attenzione al mondo naturale e ai pericoli molto concreti che corre durante questo nostro Antropocene, così viene definita l’epoca in cui viviamo, per sottolineare i danni all’ambiente, in molti casi irreversibili, procurati dalla presenza dell’uomo sull’ecosistema.
La conoscenza e la divulgazione del nostro patrimonio vegetale non è ormai un compito di pochi ma un dovere di tutti, come parte integrante dell’intero sistema ambientale e responsabili dell’esito del nostro pianeta. Questi principi, oggi ampiamente diffusi anche se non sempre applicati, sono affermati proprio in occasione della fondazione dell’Orto Botanico gianicolense, come recita il chirografo d’istituzione del 15 settembre 1660 del papa Alessandro VII Chigi: «essendo proprio del prencipe provedere che si propaghino le scienze e l’arti liberali», il papa decide di dotare l’Università della Sapienza di un Giardino dei Semplici, aperto non solo agli studenti e agli studiosi ma anche ai «dilettanti», cioè agli appassionati del patrimonio vegetale. L’apprendimento e lo sviluppo delle scienze e delle arti liberali sono diritti e doveri di tutti, quindi. L’organizzazione di questo giardino, sorto sui terreni del convento di S. Pietro in Montorio e quindi di proprietà ecclesiastica, deve tener conto di un accesso ampio e libero e di un crescente patrimonio botanico, studiato e messo a disposizione della comunità. Promotore di questo orto è dalla fine del XVII secolo Giovanni Battista Trionfetti, introdotto nella cura del giardino universitario dai frati francescani minori di S. Francesco a Ripa: è a lui che si deve uno sviluppo eccezionale del luogo, con un patrimonio vegetale eccellente e con strumenti di conoscenza e di divulgazione di ottima qualità, come gli erbari e i volumi con la documentazione di tutte le piante introdotte, materiali ora in parte conservati presso la Biblioteca Casanatense. Con Trionfetti l’Orto gianicolense, dotato di uno straordinario padiglione pentagonale che celebra la rinascita del mondo moderno, assume una dimensione e una notorietà europea, visitato da studiosi e viaggiatori, oltre che dal pubblico romano. Trionfetti dà prova anche di un altro aspetto della professione del botanico-giardiniere: egli deve ogni anno compiere viaggi in montagna, nelle aree marine, negli Orti Botanici e in tutti i luoghi dove si possano individuare nuove erbe e piante da raccogliere e studiare nell’Orto romano, mettendole possibilmente a coltura. Le piante richiedono in altre parole conoscenza e costante disponibilità alla scoperta e allo studio delle loro particolarità e il mestiere del botanico è assai faticoso e pericoloso, considerazione che emerge dai viaggi in tutta Italia di Trionfetti e in particolare di quello nelle paludi pontine fino al Circeo, sulle orme di Leonardo come negli altri viaggi intrapresi, viaggio descritto con passione ed entusiasmo e con una vivacità degna di un romanzo d’appendice. Il volume riporta quindi, utilizzando anche lo straordinario Archivio Cartari Febei, i resoconti di questi viaggi, con descrizioni di prima mano degli Orti Botanici di Pisa, di Firenze e con qualche accenno a quello di Bologna. Le piante sono catalogate e messe a coltura secondo il sistema di Tournefort, alla fine del XVII secolo il più avanzato, ma alla metà del XVIII secolo nella biblioteca dell’orto compaiono i volumi di Linneo, testimoniando il costante aggiornamento dei gestori e l’ampliamento dell’orto stesso.
Dopo Trionfetti l’Orto Botanico gianicolense è stato valorizzato nel Settecento da un altro pontefice, illuminato e lungimirante: Benedetto XIV, che rinnova la didattica universitaria relativa alla Botanica, con innovazioni molteplici nell’Orto stesso, e i compiti di ciascun addetto, precisati con grande cura e severità. L’Università ne è sommamente grata e decide di celebrare il pontefice con una serie di fontane per l’area dell’Orto Botanico, con disegni progettuali molto belli, attribuiti nel volume a Ferdinando Fuga, fontane purtroppo non realizzate. Questo livello eccellente di qualità e di buona gestione del luogo richiede ben presto uno spostamento in un terreno più ampio, azione compiuta da un grande appassionato, il cardinale Belisario Cristaldi, che lo trasferisce nei giardini di Palazzo Salviati, dando inizio a un’altra storia.
Gli intendimenti pontifici, davvero progressisti, si proiettano nella realtà contemporanea come poche intuizioni del mondo barocco: il Garden Club sembra essere un figlio degno del chirografo pontificio, perché ha fatto proprio lo scopo di conoscenza, divulgazione e amore per le piante promosso dai papi, con viaggi alla scoperta dei luoghi storici e contemporanei dedicati alla coltivazione e conservazione del patrimonio vegetale, coinvolgendo studiosi e appassionati in materia e intraprendendo azioni di buona gestione. Il Giardino Romano, di cui la scrivente è vicepresidente e direttrice della rivista annuale Il Caffè Letterario, mentre presidente è Gloria Viero Melchiorri, è il Garden Club più antico d’Italia, unico a Roma (www.giardinoromano.org), fondato nel 1957 dal vivaista di rose e amateur Stelvio Coggiatti e da alcuni appassionati come Eva Mameli Calvino, madre dello scrittore Italo, che fu la prima professoressa universitaria di Botanica in Italia, dall’ambientalista Desideria Pasolini dall’Onda, recentemente scomparsa, da Paola Lanzara, scrittrice e docente (anch’essa da poco scomparsa), da Anna Diana, da Gian Lupo Osti, grande esperto di peonie, e da altri benemeriti del giardinaggio. Il Giardino Romano organizza conferenze e viaggi di studio in Italia e all’estero, si riunisce nell’aranciera dell’Orto Botanico de La Sapienza di Largo Cristina di Svezia a Trastevere settimanalmente. Lo scopo sociale è la diffusione della conoscenza del verde e la protezione dell’ambiente; prevede una costante collaborazione con le istituzioni capitoline per il restauro di giardini e di aiuole cittadine, sostenendo associazioni e gruppi che proteggono le alberature della città, oggi in particolare i pini aggrediti da parassiti temibili e da sconsiderate potature non selettive.
Conoscenza, didattica e ricerca costante sono ormai patrimonio della cultura europea, mirabilmente sviluppati anche in altri contesti, dal XIX secolo all’età contemporanea: il celebre dipinto di Claude Monet (fig. 1) che ritrae due signore in abito da città e ombrellino da sole mentre attraversano l’erba alta e fiorita di papaveri, quasi fossero in un giardino pubblico, potrebbe rappresentare la passione per la natura delle allieve moderne dell’Orto gianicolense, impersonando l’emblema di uno stile di paesaggismo naturale che dalla metà dell’Ottocento arriva ai giorni nostri, sostenuto culturalmente dal pensiero dei più autorevoli progettisti di giardini, da William Robertson - vicino al movimento «Arts and Craft», autore del best-seller di allora The Wild Garden - al francese Gilles Clément, paesaggista e filosofo dell’ambiente, che dedica alle erbe selvatiche, «le vagabonde della terra alla conquista del mondo», alcuni scritti recenti di grande suggestione. Senza dimenticare lo svizzero Rudolph Steiner, visionario di un mondo fisico di primigenia purezza, che ebbe tra i suoi, diciamo followers, in successione anche le tre duchesse Caetani del giardino di Ninfa, celebrato in tutto il mondo per la bellezza della sua naturalezza colturale priva di correttivi chimici ma soggetta a regole e rituali di tipo, si potrebbe dire, sciamanici, che suscita oggi una feroce opposizione da parte della scienza ufficiale. Occorre ricordare altresì Wolfgang Oehme (1930-2011), paesaggista germanico trasferito negli Stati Uniti, che porta in quel paese la sua appassionata crociata contro gli schemi costrittivi del giardino americano anni Cinquanta, a favore di uno spazio libero il più naturale possibile ottenuto con la semina a grandi masse di piante, graminacee in particolare, a bassa o nulla manutenzione, allora non adoperate nel giardinaggio, ora protagoniste di vivai esclusivamente addetti, spesso accompagnate da sottolineature di macigni, sassi sparsi, ghiaie e sabbie. Progettò e realizzò molti importanti giardini sia privati che pubblici, tra cui uno dei due Orti Botanici di New York. In effetti Oehme fu allievo del connazionale Karl Foerster, docente universitario e coltivatore di piante, cui venne dedicata, tra l’altro, la graminacea Calamagrostis x acutiflora «Karl Foerster» (fig. 2).
L’Europa possiede celebri Orti Botanici: l’Italia può vantarne tra i più antichi, collegati alle università e ai conventi, avendo soprattutto i monaci operato non solo nella trascrizione degli autori della classicità, conservando così un patrimonio culturale di incalcolabile valore, ma anche sperimentato nei loro chiostri distillati e farmaci tratti da erbe e piante medicinali. La sede dell’Orto Botanico della Sapienza a Roma, dopo l’Orto gianicolense e altri luoghi temporanei, ha una collocazione ottocentesca ma usufruisce di strutture, impianti e alberature risalenti a quando esso fu nel XVII secolo il giardino personale – su concessione pontificia - dell’illustre ospite della città, la regina Cristina di Svezia, gli appartamenti della quale si conservano nella contigua sede dell’Accademia dei Lincei a Palazzo Corsini.
I giardini storici e gli Orti Botanici italiani godono quindi di una storia secolare e di vasta portata: necessario è sempre ricordare le origini di questo percorso, innovative e attualissime, che rende tutti noi orgogliosi delle tradizioni del nostro paese. |