SULLA TERRAZZA DI ROMA
A colloquio con Carlo Verdone
Ottobre 2021. Carlo mi ha accolto nella sua bellissima casa sul Gianicolo. Gli ho appena donato il mio ultimo libro di cui lui ha curato la prefazione, “Storie de noantri”; lo ha sfogliato velocemente e poi, su una seconda copia che avevo in borsa, ha applicato la sua firma nel punto che gli avevo indicato. Alcune copie del volume andranno vendute per beneficenza e lui, per questi scopi, non si è mai tirato indietro.
Poi mi sono soffermato ad ammirare alcuni dei tanti cimeli della sua carriera ben posizionati sui mobili del salone, impazzendo di sana invidia davanti a due fotografie, con tanto di dedica, raffiguranti Jimmy Page e Robert Plant dei Led Zeppelin. Avevo gli occhi lucidi, ero fortemente emozionato e a malapena riuscivo a contenere le lacrime mentre un singulto roco e tenebroso mi usciva dalla gola. Carlo era decisamente compiaciuto di vedermi assorto nel contemplare e adulare gli oggetti di quel meraviglioso larario. L’emozione provata nella mia scoperta del fauno in bronzo sotto il Palazzo Farnese o le scritte in minio rosso sul sepolcro di Aulo Irzio o la croce in rame al collo di uno scheletro di un turista avventuratosi troppo pericolosamente negli anfratti bui di una catacomba o la riscoperta (sotto la villa «grande» dell’Appia Antica) del graffito dell’organo idraulico che accompagna un cruento duello tra due gladiatori... è passata immediatamente in secondo piano in confronto a quella generata da quell’angolo molto privato della casa di Carlo.
Poi, vagamente ripresomi, sono riuscito a capire il senso dell’invito che il padron di casa mi stava porgendo:
– Usciamo sul terrazzo, guarda che panorama! Oggi si vedono anche i Colli Albani e Tivoli.
Non c’era nulla da dire; la scena teatrale che si apriva a dismisura sotto di noi non poteva che mozzare il fiato.
– Certo, tu ci sarai abituato a questa magnificenza! – dissi – Ma per me è qualcosa che va oltre l’incantevole.
– E non solo, – rispose Carlo – sembrerà strano ma quasi ogni giorno cambia. Roma mi cambia sotto gli occhi da momento a momento.
Poi, seduti su delle poltroncine da terrazzo, come fossimo su una galleria teatrale, cercando di memorizzare il sia più piccolo dettaglio del quadro che avevo davanti, seguitò a rispondere alla domanda che non avevo ancora formulato ma che chiaramente poteva avere benissimo il titolo:
– Ma come la vedi questa nostra Roma?
Si accese una sigaretta imitando il suo Manuel Fantoni del film Borotalco e riprese:
– Sì, è vero, Roma è variabile. Senti questo rumore che sale dal lungotevere e dal Campo Marzio? Sempre che qui sotto non passi una motocicletta roboante a distruggere l’atmosfera, questo rumore rosa mi accompagna sempre, sia su questo terrazzo che là dentro casa. È un accompagnamento musicale al quale mi sono abituato presto; non dà fastidio e anzi... quando di notte si affievolisce, quasi mi manca.
È il brontolio dell’Urbe, un rumore rosa determinato da migliaia di persone che urlano, imprecano, amoreggiano, strombazzano con le loro automobili nel tentativo di guadagnare qualche metro di strada, di campane che suonano quasi all’unisono, di urla dei bambini felici che si divertono nei giardini e cortili di scuola, di gabbiani che piroettano nel cielo scacciando il piccione dal suo plurisecolare territorio... e poi, all’improvviso, tutto questo svanisce con il botto del vicino cannone del Gianicolo. Per pochi secondi la cartuccia a salve, esplosa dai militari, annulla l’anima sonora di Roma; sembra quasi che si sia arrivati al punto finale del concerto... ma subito dopo, con una incredibile dissolvenza in apertura, ecco che l’anima sonora torna a vivere. Per quei cinque secondi dopo il botto se ne era sentita la mancanza. E poi, guarda là, sulla sinistra, il Cupolone di S. Pietro; se osservi attentamente vedrai le lacrime di emozioni delle persone che si affacciano dal balcone superiore e che brillano alla luce del sole. E poi, di fronte a noi, ma immersa nei tetti del centro storico, la cupola del Pantheon e il suo oculus di 9 metri di diametro. Chissà quante persone stanno ora in quel meraviglioso monumento romano con il naso all’insù!?
Là in basso, al centro del quadro, riconosciamo la casa della mia infanzia, quella che ho chiamato «La casa sopra i portici»; si vede il terrazzo. Lì sopra riesco ancora ad immaginare delle presenze: mia madre e mio padre, i miei fratelli Luca e Silvia, i miei amici... e anche tu perché ricordi certamente che siete venuti con tua moglie Anna quando io e Gianna non eravamo ancora sposati. E poi, volgi lo sguardo a destra; si intravede l’Isola Tiberina ma si nota perfettamente la Sinagoga. Quasi alle spalle l’enorme mole del palazzo dei Flavi sul Palatino, là dove, e tu lo sai bene, è nata Roma. E per finire un’immensa quantità di cupole e guglie barocche disseminate in ogni dove, come fossero perline su una torta: è divertente mettersi a riconoscerle tutte. Questo è il quadro ma altrettanto meravigliosa è la sua cornice; qui sotto, da sinistra a destra, è il verde del Gianicolo; giù in lontananza i colli di Tivoli e quelli Albani... e poi il meraviglioso cielo romano la cui luce pittura, cambia, sovrasta, attenua, rinomina le linee e le fattezze di una città che è implosa su sé stessa più volte durante i secoli, ma tutto all’interno di una cinta, le Mura Aureliane. Storie e genti si sono susseguiti per modificarla nel tentativo, ottimamente riuscito, di salvaguardare il suo appellativo di Caput Mundi.
– Nei tuoi discorsi si percepisce una nota di malinconia. Ho la sensazione che ci sia un rapporto di amore-odio con questa città. Mi sbaglio, forse? – gli ho chiesto mentre sorseggiavo una bibita che mi aveva offerto.
– Amo questa città dal primo giorno in cui riuscii a vederla dal balcone di casa mia, il Palazzo dei Cento Preti sul Lungotevere dei Vallati, e l’ho vista cambiare di giorno in giorno. Sono convinto che la sua bellezza sia rimasta intatta; ciò che è cambiato è la sensibilità di coloro che dovrebbero curarla, a cominciare dal cittadino fino ad arrivare agli assessori. Sembra quasi che la città in cui viviamo non ci appartenga; noto un senso di menefreghismo verso la storia, le vicende umane, i monumenti e le tradizioni di una piccola fetta del mondo che ha cambiato il mondo. Roma certe volte mi appare bellissima, altre meravigliosa, altre stupefacente, altre incantevole... ma mai schifosa e brutta come tanti la vogliono fare intendere. La variabilità dei suoi aspetti dipende da colui che guarda, dal proprio stato d’animo e dalle incombenze della vita di ognuno di noi. Ma lei rimane sempre lì, come un gatto sornione su un capitello romano; sa bene che il passante è, appunto, solo un passante e che prima o poi se ne andrà; sa bene che la sua forza rimarrà in eterno, quantunque stravolta dalle vicissitudini; sorride sarcastica quando non capiamo che la vita è breve e che occorrerebbe impegnarne ogni secondo per ammirarla, gustarla, appagarsi delle sue meraviglie. Da questo terrazzo su Roma si può percepire uno sguardo ammiccante proveniente dalla miriade di meraviglie di tutte le epoche; sembra quasi che l’Urbe eterna ci inviti costantemente a possederla, ad amarla, a sublimarla... ma questo invito sembra ci rimbalzi. Siamo refrattari alla cultura, all’amore delle passate cose. Solo pochi riescono a percepirne l’intimo. Io li chiamo «i fidanzati di Roma». Lo fai tu che la studi da sotto a sopra; lo faccio io che ricerco ancora il vero romano nei vicoli più nascosti; lo fanno i poeti romaneschi nel tentativo di salvaguardarne le tradizioni linguistiche e popolari... ma il comune passante, il visitatore della domenica o l’abitante preso dalle troppe difficoltà della vita cittadina... se lo sognano. E Roma sta lì, pacata e distesa tra i sette colli in attesa di essere adulata. Che fretta c’è? Lei ha secoli alle spalle; noi solo pochi decenni.
– Un consiglio per i nostri lettori?
– Un consiglio ai nostri lettori? Uscite, alzate gli sguardi, puntate gli occhi ai particolari, chiedete, informatevi, parlate con tutti, siate curiosi; in una parola... vivetela. Lei vi restituirà tutto il suo amore, le sue meraviglie e molto di più. Non dobbiamo perdere tempo perché per lei il tempo è infinito ma non lo è per noi. |