Tres viae sunt ad Mutinam (…) a supero mari Flaminia, ab infero Aurelia, media Cassia (…) Etruriam discriminat Cassia(1).
È dell’oratore Cicerone questa importante menzione della via consolare che per suo dire, appunto, discriminat cioè segna da nord a sud, l’antica terra alla quale ancora oggi facciamo riferimento definendola Etruria.
La struttura portante potremmo dire, l’ossatura che divide e rinsalda i due lembi di terra ad essa contigua delineandosene come spina dorsale su una più lunga tratta che univa Roma ad fines Clusinorum, i confini di Chiusi, poi a Florentia, Firenze, sino a raggiungere in età imperiale l’estremo nord a Mutina, Modena.
Sicuramente i Romani sfruttarono segmenti realizzati dalle popolazioni insediate ancor prima in questa zona alle quali mancò tuttavia un progetto lungimirante e che operarono unicamente in vista di brevi collegamenti, di rilevanza locale. Le strade romane invece sono state uno strumento essenziale per favorire l’espansione e successivamente condizione indispensabile per la saldezza e la coesione della repubblica e dell’impero. Sicuramente la costruzione fu facilitata da alcune caratteristiche valli naturali discendenti verso l'Urbe.
Le fonti antiche descrivono dettagliatamente la tecnica costruttiva: viam innovare, instituere, munire, sternere, struere(...)(2). Questi i verbi generalmente usati per spiegare il lavoro di fondazione. Alla ingegneria romana dobbiamo la Cassia così come ci è pervenuta; rigorosamente di 3,9 metri fino a Bolsena con i caratteristici basoli allettati direttamente nel terreno: sintomo questo, di alta antichità della lastricatura. Arduo invece stabilire l’identità del console che se ne fece promotore. Il nome Cassio, indicativo della rispettiva gens Cassia, è infatti assai diffuso all’anagrafe del tempo e soprattutto l’intera realizzazione coprì un lasso temporale protratto. Ad oggi, ancora discusse e controverse cronologia e paternità della via consolare: accreditate le figure del censore Cassio Longino del 154 a.c. e quella dell’omonimo console del 127 a.c. che presumibilmente furono i definitivi sistematori(3). Stando alle indicazioni che fornisce la Tabula Peutingeriana è possibile rintracciare in maniera attendibile la rete stradale, con annesse stationes (su tutte mi pare interessante ricordare in questa sede il vicino Forum Cassii(4) e pietre miliari, dell’ecumene cioè la parte abitata ed allora conosciuta del globo terrestre. Dopo la caduta dell’impero e le invasioni barbariche, il longobardo Liutprando cominciò ad elargire appezzamenti territoriali alla Chiesa: patrimonio di S.Pietro nella Tuscia; seguirono i Franchi; la via Cassia in larga misura coincise con il percorso della Francigena: da essa scendevano i pellegrini, dalla Francia appunto (allora Lotaringia), verso Roma.
La Cassia dunque, tra il Tevere e l’Arno, scivola flessuosa.
Diva Cassia. Così la epiteta Enrico Guidoni e su di essa procede da anatomo-patologo documentandone la situazione attuale.
Un iter ritmato attraverso lasse di ampio respiro: decadi di versi liberi che stilisticamente si configurano in modo iconico come topoi, urbani e lirici.
Interessante la forma, così come si caratterizza: fitta di annotazioni e sigle che puntualmente fissano lo sguardo al suolo ma che immediatamente rimandano l’attenzione a considerazioni più alte, trans storiche; - la via verso l’alto e la via verso il basso sono la stessa - riporta un frammento del filosofo greco Eraclito(5): quindi un gioco di scarti focali intessuto a ragion veduta.
I tre capitoli: lavoro di eziopatogenesi corredato di documentazione fotografica realizzata da Davide Ghaleb, pelo e contropelo al tessuto ondeggiante - “come lini” - del caratteristico selciato in pietra basaltina.
Poesia territoriale di valenza civile: il monito è alla consapevolezza; poi alla tutela .
L’esperienza personale struttura la geografia mentale.
La struttura: definita da Umberto Eco sistema retto da una organica coesione interna(6). Come un centro abitato. Intimo, accogliente, in cui l'asse stradale consentiva rapidi attraversamenti e come cesura spaziale spartiva le presenze, umane, dall’ombra dei palazzi signorili, dal nero lavico; così che ogni metro quadro metonimicamente fosse un volto, una attività, una costante “stabile come un classico”. Le sedie ai margini, destro o sinistro, occupate da operose presenze: di mani che indicavano, stringevano, sgranavano, essiccavano. Presenze che facevano di quel luogo urbano specifico, luogo antropologico, alveo che circoscriveva un ruolo individuale e sociale fino ad imprimerne in modo indelebile la toponomastica (la fontana de Iaiotto, la costa de’ Ruina, il ponte del Genovese).
La Cassia nel Parnaso delle antiche vie romane assurge a ruolo di prima donna. Diva Cassia dal grembo caldo che ieri ci pasceva, esige rispetto. Ancora.
Note
1 Cicerone, Phlilippica, XXII, 22-23.
2 Vitruvio, De Architectura, VII .
3 T. Mommsen, Storia di Roma antica, Torino, 1925; P. Fraccaro, Cassio Longino (Enciclopedia Italiana), IX. in A. P. Mosca, Via Cassia, Un sistema stradale romano tra Roma e Firenze, Leo S. Olschki Editore, Firenze, 2002.
4 D. Camilli, E. Perugi, S. Maria di Foro Cassio, Davide Ghaleb Editore, Vetralla, 2002.
5 Eraclito, (VI secolo a.c.) frammento n.° 60.
6 U. Eco, La struttura assente.La ricerca semiotica e il metodo strutturale, Bompiani, 1991. |