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ITALIA BRASILE E LE ALTRE
Pasticcio calcistico-letterario intorno a Italia-Brasile 3-2 (5 luglio 1982)

Massimiliano Morelli, Antonello Ricci e Alessandro Tozzi

CHI SIAMO, DA DOVE VENIAMO
E SOPRATTUTTO... CHE VOGLIAMO?
Prefazione di Massimiliano Morelli

Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate... in contatto con i Maritozzi, verrebbe subito da scrivere parafrasando Dante, e non se ne abbia a male il sommo poeta se nell’introdurre questo libro prendo in prestito il suo abbrivio. Perché quei tre gaglioffi che cerco di presentare in queste righe di partenza d’un libro che tratta pane e pallone sono tutto e il suo contrario, soprattutto sono l’esatto opposto di come i tre si presentano nella quotidianità. Un avvocato, al quale vi consiglio di rivolgervi come ultima speranza prima del suicidio; un professore, di quelli con cui vi scontrereste a colpi di cancellino imbolsito da etti di gesso su entrambe le facciate, e pure sul circuito laterale; un giornalista, il sottoscritto, che ancora oggi s’interroga sull’esame di Stato che lo laureò tale, con le anime di Gianni Brera e Beppe Viola a chiedersi come sia stato possibile far cadere così nell’oblio il mestiere della scrittura. I Maritozzi – e questo è il guaio – non nascono per caso. Germogliano perché l’avvocato, Alessandro Tozzi, con l’approssimarsi dell’estate anno del Signore duemiladodici pensa bene di far incontrare il professor Antonello Ricci e il giornalista Massimiliano Morelli al fine di “fare qualcosa di diverso”. Ecco, Italia-Brasile e le altre sboccia da tre menti bacate che decidono di portare sul palco una storia conosciuta a menadito da intere generazioni d’italiani, aggiungendo quel briciolo di follia intuitiva che in ogni caso contraddistingue la triade: realizzare un reading in grado di narrare la sfida pallonara più amata dal popolo dei santi, dei navigatori e compagnia cantante (la frase la conoscete, no? Altrimenti qui vi mancherebbero pure le basi, nda) al pari di ItaliaGermaniaquattroatre, scritto tutto attaccato, come si confà a chi mai dimenticherà la sfida dell’Azteca. Convenevoli di rito, cazzeggio immediato, il “la” a una nuova amicizia è già innescato. Parla uno, parla l’altro, interviene l’altro ancora ed ecco i tre nefasti autori – pronti perfino ad assumere sembianze pirandelliane, tanto credono nell’idea e fattezze e pose in stile Eugenio Montale – riunirsi a casa dell’avvocato, una reggia “similbarocca ma non troppo” che prima della sua famiglia era stata di Enza Sampò e che s’affaccia di fronte quello che fu il villone di Giorgio Chinaglia; e sappiate che in questo momento l’avvocato Tozzi sta già lacrimando, perché per lui Long John è una sorta di padre putativo, tanto l’affetto riversato sul centravanti storico della Lazio. La prima riunione si conclude con un nulla di fatto, praticamente uno scialbo zero a zero, anche perché ognuno dei tre ha il vizio di limare quel che hanno scritto gli altri due. Oppure di allungare il brodo, insomma, la storia del cane che si morde la coda. Si battezzano col nome Maritozzi, che include la “Ma” di Massimiliano, la “Ri” di Ricci e il cognome del legale, e sono talmente convinti del fatto loro che inaugurano perfino una pagina sui social, dove hanno per lo meno la creanza di non regalare ai navigatori della Rete selfie con le “bocche a culo di gallina”, un classico per gli utenti di Facebook. Alea iacta est, il dado è tratto, i Maritozzi s’avvicinano all’idea della prima serata tutta loro, pronti a raccontare quel racconto che, la sera del debutto, avvenuto a Viterbo trent’anni esatti dopo la disfida del Sarrià, piace perfino a Paolo Rossi. Che, forse in un attimo di carità cristiana, dice ai tre: «Mille volte ho visto e sentito racconti della partita col Brasile, mai in maniera così geniale.» L’avesse mai detto, il triumvirato del reading nel tempo d’un amen comincia a pensare perfino di salire sul palco nella notte degli Oscar, tanto sono stati eccelsi, sublimi, per certi versi perfino hollywoodiani, pure senza il “ciak si gira!”. Insomma, ci credono. Ma più che eredi d’un dolce stil novo, seppur spalleggiati per una sera da Pablito, i tre sembrano figli naturali del ragionier Fantozzi, fermo restando che comunque sono leggermente più piacenti di Mariangela. Replicheranno il reading italobrasiliano anche a Roma, alle pendici di Castel Sant’Angelo. E, non contenti, da quel momento in poi penseranno bene di affascinare le platee con altre “opere”. Tre dedicate alla Lazio, viste le ragioni del cuore (biancoceleste) del legale del triumvirato, che invece di recarsi in tribunale per difendere qualche assistito scrive a raffica manco fosse Giacomo Leopardi; un paio dedicati allo Sparta Prati, squadra composta da una quarantina di avvocati (ma qui cambiate il termine avvocati con “azzeccagarbugli”, e non è un consiglio: è una necessità) dei quali manco a pagamento saprei scegliere il più sano di mente; uno dedicato alla finale di coppa Campioni persa dalla Roma al cospetto del Liverpool; e uno dedicato al Cagliari, squadra che quando aveva sette anni ammaliò il cronista, pronto poi a scrivere su quel canovaccio l’ebook Coru Casteddu, Cuore Cagliari, cent’anni di storia della squadra che conquistò lo scudetto nel 1970. E qui, a lacrimare, è il sottoscritto. I Maritozzi hanno recitato a Selci, nel Reatino, e a Vignanello, in un teatro con spiccioli di pubblico, nei paraggi di ponte Milvio e a Viterbo, città dei papi dove il professor Ricci è conosciuto al punto d’essere considerato dagli amici, quelli veri, “l’antipapa di Viterbo”. E qui va aggiunto che Ricci è stato perfino testimonial sanitario, e il suo faccione compare ancora oggi nei viali dell’ospedale Belcolle di Viterbo. Ma questa è tutta un’altra storia. Altre serate? Aspettate che apro l’album dei ricordi perché fra tanti appuntamenti c’è sempre il rischio di dimenticarne qualcuno...
Ecco, riparto da qui, in maniera seria ma non seriosa, perché neanche so se gli altri due al termine di una seduta plenaria e comunque dopo una pasta e fagioli cucinata da “mamma Tozzi” taglieranno a loro piacimento questa prima parte di prefazione, talmente sono precisini e fighetti nel prestare attenzione alla forma. Qui si parla di una partita vissuta quasi quarant’anni fa sotto la canicola, davanti ai televisori, con amici e parenti, fra puzzo di sudore e nuvole di fumo; e fortuna che si giocò nel tardo pomeriggio, altrimenti fosse stata la finale della coppa Rimet, giocata dodici anni prima ma sempre contro il Brasile (e persa 4-1), avrei aggiunto pure le scure di caffè, vista l’ora tarda della partita che ci fece ammirare per la prima volta Pelè. Ci sentivamo spacciati, davanti ai mostri sacri del pallone, argonauti del football, scommettevamo sull’imbarcata e sul numero di gol che avremmo subito. Zoff è vecchio, dicevamo, Cabrini si specchia prima di calciare, Tardelli ha un flirt e non pensa a marcare... e poi... ma dove andiamo con Ciccio Graziani e Spillo Altobelli? In Italia è rimasto il capocannoniere del campionato, Roberto Pruzzo. Il tutto per tacere di Paolo Rossi, “reduce” dalla squalifica patita per il calcioscommesse che l’aveva costretto al palo per un paio d’anni. Questi ci massacrano, e già a vagheggiare la spiaggia, il mare e chissenefrega del mondiale in Spagna. Ma Eupalla, dio del pallone, ne sa sempre una più del diavolo. E noi, italiani brava gente, non avevamo fatto i conti con la pochezza di un portiere come Waldir Peres e soprattutto di un centrattacco come Serginho Chulapa, Sopravvalutati da noi, popolo nazionalpopolare ma mai quanto li sopravvalutò Telé Santana, che li schierò con buona pace delle contestazioni d’una intera nazione. «Qui si fa la storia o si muore» (si, lo so, Nino Bixio al posto della parola “storia” sussurrò “Italia”, ma il senso resta quello; e poi lasciatemela una licenza poetica, no?) e dunque ci ritrovammo a correre in strada perché quel 5 luglio 1982 la resurrezione di Paolo Rossi costrinse alla resa il Brasile. E Rossi divenne persona talmente gradita dai brasiliani che nel 2013 comparve in uno spot pubblicitario; un cortometraggio commerciale nel quale si vede un tassista che lo prende a bordo, lo adocchia un po’ e poi gli chiede se lui sia davvero Paolo Rossi. E, nel momento in cui riceve risposta affermativa, lo fa scendere dal taxi. Ecco, sono al rush finale di questa prefazione, nel corso della quale grazie a un “frekandò con la cipolla” ho cercato di spiegarvi quel pomeriggio di un giorno da leoni miscelando la storia di un uomo e della “sua” partita col sentimentalismo che comunque racchiude i reading teatrali dei Maritozzi. Un romanticismo che s’avvicina molto all’ultima volontà di Paolo Rossi, quella di far ricevere alle figlie per ogni compleanno un mazzo di rose rosse. Può bastare questo incipit per farvi proseguire nella lettura? Fatemelo sapere, nel caso nel prossimo libro mettiamo solo le figure. Intanto accontentatevi delle figurine scritte da Alessandro Tozzi e dal modo di affabulare che ha Antonello Ricci. Poi, tutto il resto, si vedrà. “Guai a voi, anime prave” se non proseguite nella lettura di questo libro. Ve lo scrivo alla romana, “giuro che ve manno Caronte”.







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€ 12,00