I PIRATI DELLA BELLEZZA - SCRIVERE LA ROCCIA

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Dopo il successo riscosso dalla performance en plein air presso il tempietto di Demetra (Vetralla), prima tappa de “I pirati della bellezza – 2015 Anno degli Etruschi”, Antonello Ricci e Davide Ghaleb editore tornano alla carica con una nuova passeggiata/racconto “all’etrusca”: Scrivere la roccia. Le necropoli rupestri di Blera. Il secondo appuntamento del ciclo è per domenica 8 febbraio. Appuntamento a Blera alle ore 10 in piazza Giovanni XXIII. Alla iniziativa parteciperanno Marina Micozzi (etruscologa dell’Unitus) e Luciano Santella (esperto conoscitore della realtà archeologica blerana e vero genius loci della comunità locale).

Nell’ambito dell’Anno degli Etruschi
I pirati della bellezza


Una iniziativa Tusciaweb
in collaborazione con
Università degli Studi della Tuscia
Caffeina Cultura
Con il patrocinio della
Soprintendenza dei Beni Archeologici dell’Etruria Meridionale
Antonello Ricci e Davide Ghaleb
presentano
I pirati della bellezza – 12 passeggiate/racconto all’etrusca
Secondo appuntamento
Domenica 8 febbraio ore 10
Blera – piazza Giovanni XXIII

Scrivere la roccia
Le necropoli di Blera

 “Pillole” storico-archeologiche a cura di
Marina Micozzi
(Etruscologa dell’Unitus) e
Luciano Santella (studioso del territorio biedano)
Letture di
Pietro Benedetti e Olindo Cicchetti

Racconta e conduce Antonello Ricci
guest stars della mattinata il poeti dialettale biedano Gianni Tedeschi
che declamerà alcuni suoi componimenti
a tema “etrusco”

Il biglietto consiste nell’acquisto del volume
fresco di stampa
I pirati della bellezza: romanzo degli Etruschi secondo A. Ricci
o di altro libro a scelta dal ricco catalogo di
Davide Ghaleb Editore

info e prenotazioni tel. 3206872739
(attivo tutti i giorni ore 12.00-13.00)


etruschi-passeggiate@tusciaweb.it

IMMAGINI



Da Antonello Ricci per Tusciaweb

C'era una volta un somaro etrusco e la sua tomba...

È stato l'impagabile Luciano Santella a raccontarmi la curiosa storia del somaro di Blera (pardon, per onorare i nostri vecchi, ora e sempre: Bieda). Durante il sopralluogo della scorsa settimana, lungo le prode del Rio Canale, fra le magnetiche severe tombe etrusche intagliate ad arte sulle rupi degli orridi che circondano il delizioso centro alto-laziale: Terrone, Casetta, Grotta Pénta.
Proprio Luciano sarà (non a caso) uno dei miei accompagnatori, domenica prossima, sui sentieri di Scrivere la roccia: le necropoli rupestri di Blera, secondo appuntamento del ciclo di passeggiate per l'Anno degli Etruschi – I pirati della bellezza, voluto da Tusciaweb e ideato curato realizzato da Davide Ghaleb editore insieme col sottoscritto.
Luciano è uomo fantastico. Stupefacente miscela tra i rigori metodologici del più agguerrito archeologo professionista e gli appassionati ardori del localista di razza. Più verace, intrigante genius loci per la comunità biedana non sarebbe dato immaginare. Né auspicare.
Accanto a lui Marina Micozzi, docente di Etruscologia presso l'Università degli Studi della Tuscia.
Esempio prezioso, questo collaborare, ben raro “ircocervo” di sinergie tra saperi scientifico-accademici e ricerca locale: davvero in virtuosa controtendenza rispetto alle pulsioni cronicamente “divaricate” caratteristiche dell'italo stivale, tra saperi “alti” e cultura popolare (stigma drammatico-patetico di almeno 4 secoli di storia antropologica, per questo nostro infelice tormentato Paese).
La “premiata ditta” di ricerca Marina/Luciano, tra l'altro, collabora già da tempo ormai, sul campo, proprio qui a Blera: dove la Micozzi convoca periodicamente i suoi studenti della specialistica per certi atelier en plein air, volti a trasmettere il senso di dovuta perizia/prudenza negli scavi archeologici (ma anche il gusto avventuroso della ricerca in situ), avvalendosi proprio della conoscenza “palmare” da parte di Luciano del territorio biedano e della sua archeologia.
Comunque sia, è stato Luciano Santella a narrarmi questa “fiaba”: l'apologo del somaro moribondo di Bieda, per colpa (o merito?) del quale i biedani precipitarono in proverbio nell'immaginario di tutte le altre comunità del circondario.
Fu più o meno al tempo in cui i grandi viaggiatori romantici (archeologi poeti acquarellisti) frugavano per itinerari appartati e dimentichi, riportando alla luce del giorno (da millenni di nero oblio) il fascino pittoresco e melancolico delle nostre necropoli rupestri e consacrando loro un capitolo fra i più belli del gran romanzo di una Etruria-perduta-Atlantide italica e mediterranea.
O fu forse al tempo in cui, proprio da Bieda, partivano certe disincantate-appassionate missive all'indirizzo del direttore generale delle Antichità e Belle Arti del Regno Giuseppe Fiorelli: vergate da un certosino Gian Francesco Gamurrini chino sul paesaggio e sul tavolo da studio e intento a redigere quel “monumento” scientifico-editoriale intitolato Forma Italiae (la Carta Archeologica d'Italia): monumento alla nostalgia delle radici da parte di una nazione che pure – orgogliosamente – anelava alla dignità e allo status di Paese civile; esuberante e intempestivo “sogno” cartografico per una pedagogia della giovane (quanto fragile) identità nazionale; nonché auspicato strumento operativo per la salvaguardia di un patrimonio immenso, purtroppo inesorabilmente avanti sulla via del disfacimento (certo: anche per incuria e malafede proprio dei sudditi di quella neonata Italia).
Fu più o meno in quel tempo che un fervente patriota biedano (si chiamava: Francesco Maria Alberti) compose in versi, nel metro di sestina, la buffa storia di un somaro autoctono scambiato per “cristiano”. Storia di sapida allegoria, volta a destare nei lettori una qualche divertita esecrazione: eh sì, perché – bisognerà prima o poi ammetterlo – Bieda è paese assai “famoso” per quando i suoi cittadini piansero un somaro morto, concedendogli l'onore di solenni esequie.
Accadde infatti – almeno così narra la nostra storia – che la malcapitata bestia levasse i suoi ultimi, più alti ragli di sofferenza asinina dalla cupa penombra della più nascosta fra le mille etrusche tombe della zona. I biedani allora, commossi agli echi strazianti dell'agonia del ciuco, uditolo per ore e ore dalle finestre delle case affacciate sulle forre circostanti, dalle piazzette solatie del paesino arroccato sul tufo... i biedani finirono scambiando lucciole per lanterne: presero i lamenti della povera bestia (intenta a passare a miglior vita) per strazi di una voce umana. Consacrarono così le spoglie del somaro, portandone la salma in funerale: il fatto destò ovviamente, nelle comunità finitime, il più divertito e goliardico degli scandali. Nelle intenzioni del patriota Alberti certo, secondo i gusti del tempo, la storietta avrebbe dovuto farsi carico, per spirito di parlar velato, di certe ulteriori significazioni, politiche e sociali. Ma è per ben altro che essa ci intenerisce anche oggi. Ben altra universalità di ammaestramenti.
E poi – voi non ci crederete – ma a me mi sa tanto di averlo identificato, quel sepolcro, l'avello del somaro moribondo di Bieda. Nella bellissima Tomba Pénta (così chiamata, ovviamente, nel corposo e scolpito dialetto locale, proprio perché sulle sue pareti reca ancora cospicue, suggestive tracce di pittura antica). A reggere il cielo della tomba, armoniosamente discosto dal centro della camera, c'è un formidabile pilastro dorico. Scolpito dagli Etruschi nel tufo vivo, esso è largamente consunto a mezza altezza (dagli splendidi scatti colti da Davide Ghaleb, il santissimo editore-fotografo, tutto ciò si nota con poderosa forza di bellezza): sembra una di quelle pareti a picco sul mare, smangiate dai venti e dalla salsedine, dalla forza operosa e “affaticante” della natura. E invece a Blera è stato l'uomo: la grotta fu infatti riabitata (nei secoli e per secoli: non è certo l'unico caso, Goethe docet) adattata-adibita a stalla; e il pilastro è oggi così smangiato (come alla pialla) più che dal tempo edace, da qualche somaro che dovette grattarcisi la schiena infinite volte per placarsi dal prurito. Effimero ristoro. Tra un raglio e l'altro. Tra lacrima e lacrima. In attesa di passare al vaglio dell'Eterno. Eccola, la tomba del somaro etrusco che fu scambiato per un “cristiano”...
Vi aspetto numerosi, domenica mattina. Mentre intanto raglio anch'io, seduto diteggiando al computer: ma solo per ingannare il tempo dell'attesa!