«GLI ANTICHI ROMANI, QUEI TRUCIDONI...» |
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Roma – Stadio di Domiziano Fondazione Diá Cultura «GLI ANTICHI ROMANI, QUEI TRUCIDONI...» L'antica Roma e il mito delle sue rovine nel cinema di Federico Fellini Racconto itinerante fra le rovine dello Stadio di Domiziano Ideazione e conduzione Antonello Ricci Voci narranti Pietro Benedetti e Olindo Cicchetti |
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IMMAGINI PASSEGGIATA FELLINIANA |
«Il mondo antico, mi dissi, non è mai esistito, ma non c'è dubbio che ce lo siamo sognato.» Basterebbe questo passaggio – minimale ma essenziale: con la sua chiosa sulla dimensione onirica – a dimostrare che il rapporto felliniano con le antiche vestigia, i rocchi di colonna, i busti decollati che affollano Roma, il suo sottosuolo e la Campagna fu tutt'altro che estrinseco, bozzettistico o d'occasione. Al cuore stesso della sua poetica filmica, invece. A dispetto però di ciò che comunemente si pensa, l'agone del cineasta romagnolo con Roma e con l'Antico non comincia né si esaurisce nel flusso visionario del Satyricon. «Quando voglio, entro in contatto medianico cogli antichi Romani, quei trucidoni. Eh, non è facile per noi afferrare una pìssicologia anteriore al mito cristiano. Ve l'ho detto, erano dei trucidoni: magna, bevi e godi. Non c'era il senso della sofferenza della vita. Dei trucidoni, ma simpatici.» Di questo tenore i discorsi che Fellini mette in bocca al simpatico personaggio di Cesarino, il veggente-sensitivo che accompagna il regista e alcuni membri della sua troupe per un grottesco sopralluogo-seduta medianica notturna en plein air nei pressi della tomba di Cecilia Metella. Si tenga presente che la troupe è in realtà una troupe di scena, si tratta cioè di attori impegnati in un film-nel-film, e che quindi Fellini sta – maliziosamente – interpretando (facendo il verso a) sé stesso. Ma vogliamo chiudere su un esempio che, almeno a prima vista, col tema delle rovine sembrerebbe non aver nulla a che spartire: è in Blocknotes che a un certo punto Mastroianni prega Fellini perché gli affidi la parte di Mandrake piuttosto che quella di Mastorna. La cosa sembra finir lì: risolta come un motto di spirito, una trovata goliardica. E invece Fellini deve aver preso l'amico in parola. Se è vero che, quasi vent'anni dopo, in Intervista sarà proprio uno struggente sornione Mastroianni/Mandrake fuggito dal set di una pubblicità e assurto al ruolo di novello psicopompo – al culmine di un'improvvisata a casa di Anita Ekberg – a proiettare su un telo magicamente apparso e dispiegato dal nulla (con immancabile tocco di bacchetta) le sensuose immagini-reperto fantasmatico de La dolce vita. Momento di assoluta verità psico-drammatica, di agnizioni ineluttabili rispetto al tempo edace. A cospetto della purezza dei simulacri-ombra dei propri doppi “defunti” in bianco-e-nero infatti, i corpi viventi degli attori non sono ormai che macerie di sé stessi, tenere rovine biologiche in disfacimento, vestigia segnate dal tempo tiranno e dalla vita stessa, consapevoli d'esser sul punto in cui l'immondo ventre di Natura li riaccoglierà. Di rovinistico, voglio dire, in questa scena manca solo il fondale. Antonello Ricci
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