Questo non è un libro pensato da, o fatto per, Aarne-Thompsatori (come li chiama Pietro Clemente). Siano anch’essi i benvenuti al ricco banchetto offerto, ma si adeguino alle regole e alle buone maniere in uso in questa casa. E si avvicinino anche gli attenti investigatori di tipi e motivi, lente di ingrandimento in una mano e atlante linguistico nell’altra. Avranno il loro bel daffare per connettere le quattro fiabe e l’apologo contenuti in questa raccolta con i più dettagliati repertori costruiti dai grandi pionieri della fiabistica dell’Ottocento e del Novecento. Dovranno riempire sette bottiglie di lacrime per seguire l’andamento carsico degli intrecci, non solo di quelli interni alle narrazioni, ma anche di quelli che sembrano attraversare e connettere le diverse fiabe. Dovranno consumare sette paia di scarpe percorrendo le strade che attraversano le geografie immaginarie che portano dal mare del fuoco al bosco che alligna in mezzo al deserto. Il premio, nella più rigida osservanza dei precetti stabiliti dai padri fondatori e delle regole universalmente riconosciute, sarà sostanzioso e tale da ricompensare gli sforzi compiuti.
Costruendo questo libro fatto di narrazioni, illustrazioni e commenti simpatetici, più che ad Angelo De Gubernatis abbiamo pensato a Italo Calvino. In esso c’è più Ascanio Celestini che Vladimir Ja. Propp, santo protettore di generazioni e generazioni di devoti filologi e folkloristi, schiera di figure austere e illustri alle quali il sottoscritto non fa mancare, nelle giuste occasioni, compunto tributo. Amen. Ma questo libro non è un libro di fiabistica in senso stretto. È un libro di fiabe fatto da chi – Pietro Moretti – le fiabe ama raccontarle, e da chi – noi coautori: Alfonso Prota, Antonello Ricci e l’estensore di questa nota – le fiabe ama ascoltarle. E poi, magari, provare pure a riraccontarle.
Orsorella e gli altri è l’esito ultimo di un lavoro iniziato diversi anni fa, nel 2008 per l’esattezza, quando la Banda del Racconto1*, che ancora non si chiamava così – o lo faceva solo per fare il verso al progetto Banca del Racconto che in quel momento stava curando – sbarcò a Latera. Ad accoglierla trovò Pietro Moretti, Pietro i’Ttedesco, classe 1929, narratore di lungo corso e uno degli amici più stretti del Museo della terra e dei suoi responsabili scientifici. Il progetto Banca del Racconto aveva e ha come obiettivo quello di raccogliere – lo so, brutta espressione, si raccolgono i funghi, mentre le storie le raccontano gli uomini quando si trovano insieme – di raccogliere, dicevo, storie (detto meglio: patrimoni narrativi) e di restituirle alle “comunità” con il sovrappiù di un interesse, con il valore aggiunto della sociabilità dei saperi e della performance. Una mossa che ricorda da vicino la logica del dono: dare, ricevere, contraccambiare. In questo caso: ascoltare, fare proprie le storie e restituirle arricchite di un qualcosa in più, che può essere una particolare interpretazione grafica di quanto registrato, oppure l’organizzazione di uno spettacolo pubblico tramite il quale rimettere in circolo determinati saperi o racconti e ravvivare così “focolari” narrativi.
All’inizio del nostro cimento ci siamo crogiolati nell’ascoltare Pietro pronunciare frasi misteriose, descrivere circostanze e azioni apparentemente prive di ogni senso ma infine gravide di conseguenze. Nel seguire le impavide azioni compiute dai nostri eroi. Ci siamo scervellati cercando di raccapezzarci mentre attraversavamo, accanto a Giuseppino, le brume del regno dell’illogico (o del logicamente diverso), della sospensione del rapporto causa-effetto, della conoscenza di fatti ispirata da inspiegabili premonizioni, dei destini fatalmente compiuti. Il nonno di Orsorella capisce di essere stato gabbato eppure si lascia scappare la nipote sotto il naso. Perché lo ha fatto? E perché la torre dove vive Orsorella è così simile a quella dove approda Brunetto dopo essere stato rapito dall’aquila? Poi si è trattato di pensare a una forma duratura di restituzione. La tentazione di trasformare le fiabe in un volume illustrato è stata irresistibile. I disegni di Alfonso – va sottolineato – con la loro carica suggestiva ed enigmatica, restituiscono le atmosfere evocate da Pietro con grande vivacità. I colori impastati nella materia suggeriscono mondi ctoni; i forti contrasti cromatici evocano la contrapposizione tra il giorno e la notte, tra il bene e il male.
Il lavoro che ha portato alla pubblicazione delle fiabe raccolte in questo volume ha visto via via noi redattori divenire veri e propri coautori. Il criterio che ci ha guidati nella scelta di come trascrivere il narrato è stato, sostanzialmente, quello di rendere quanto più possibile fruibile e godibile il testo salvaguardando al tempo stesso alcune sonorità della parlata laterese. Le nostre scelte le abbiamo fatte tenendo conto dei desideri di Pietro, il quale fin da subito ci ha chiesto di sottoporre le sue storie al trattamento riservato da Calvino alle Fiabe Italiane. La soluzione che abbiamo ritenuto opportuno adottare è stata la seguente: usare la trascrizione del dialetto locale parlato per i dialoghi (in corsivo nel testo) tra i personaggi, e riscrivere in italiano le restanti parti. Quello che qui presentiamo non è la semplice restituzione su carta di quanto Pietro ci ha consegnato verbalmente (qualora potesse esistere veramente una forma di trascrizione tale da poter essere considerata mera trasposizione in scala 1:1 di una narrazione). Il lavoro che abbiamo fatto, in linea con lo stile Banda del Racconto, è stato quello di riraccontare. E cosa accade quando si ri-racconta? Si avvia un processo creativo, sopra un intreccio di fondo – rispettato nelle sue principali articolazioni – si innestano micro-variazioni dettate tanto dagli immaginari che più affascinano il narratore, quanto dalle esperienze di cui il medesimo è veicolo. L’intento che ci ha guidati in questa operazione, detto altrimenti, non è stato tanto quello di documentare in modo tradizionale le storie narrate da Pietro. Lavorando a questo progetto ci siamo mossi in una direzione diversa rispetto alla fiabistica di più ortodossa osservanza. Per chi vuole, studioso o studente, la registrazione audiovisiva delle interviste a Pietro è a disposizione per la consultazione presso l’archivio del Museo della terra.
Il presente libretto, “etto” nel formato ma non nel contenuto, è una opera collettiva frutto del lavoro e dell’immaginazione di più persone legate da sentimenti di amicizia e di stima reciproca. Pietro ha raccontato, e Pina le è stata sempre accanto. Lo ha rimbrottato, lo ha corretto, lo ha amato. Antonello, Alfonso e lo scrivente hanno ascoltato, chiesto, sollecitato. Alfonso ha disegnato e ha letto. Marco (che poi sono io) ha registrato, trascritto e scritto. Stefano ha messo su carta. Antonello, sapientemente, ci ha guidati tutti. Fulvia e Marcello, con occhio severo da studiosi e benevolo da amici, ci hanno regalato una testimonianza e ci hanno ricordato che abbiamo compiuto una piccola irruzione in un mondo – quello delle fonti orali, dei patrimoni immateriali – ricco, interessante e pieno zeppo di cose da analizzare con degli approcci e dei metodi propri che, anche se apparentemente aridi e cervellotici, qualora vengano perseguiti con rigore sono in grado anch’essi di aprire a mondi affascinanti e avvincenti.
In definitiva: siamo stati tutti bravi (anche se spetta al fruitore di quest’opera giudicare il lavoro nel suo complesso), ma con questo momento di restituzione non consideriamo saldato il debito umano, di amicizia e conoscitivo contratto con Pietro.
* La Banda del Racconto è una associazione culturale attiva nei settori della promozione sociale e culturale, della valorizzazione del territorio e dell’educazione.