Dicono che tutto sbocciò all'improvviso durante un Viterbo-Orvieto, anno 1977, prima fase del campionato di serie D. La partita finì 92-91 per Viterbo, pare che Fabrizio Gatti meritasse già da allora un posto nel Pantheon dello sport cittadino, e fu la prima volta che si poté parlare di sesto uomo in campo per il sostegno dato dalla tribunetta della palestra di via Oslavia allo sforzo dei giocatori.
Dicono che poi quel sostegno venne codificato, organizzato, intruppato – per quanto sia possibile con i movimenti spontanei – nel corso dell'anno 1977, quando la squadra chiamata Garbini cominciò le sue battaglie per salire di categoria, riuscendovi, e sempre più gente (richiamata dai risultati, e questo bisogna sempre aggiungerlo) si accorse della bellezza dello sport chiamato pallacanestro.
Dicono che da allora Viterbo cominciasse ad avere un terzo polo sportivo, lontano sia dallo stadio del calcio, sia dalla zona di Santa Barbara sulla Teverina: un intero quartiere, non a caso abbastanza nuovo o comunque recente, da piazza Crispi per via della Pila fin su ai Palazzoni e poi al Barco, che forse allora non si chiamava così ma in ogni caso esisteva. Zone dove i palazzi nascevano addirittura con un minimo di rispetto di spazi e proporzioni, e dove resistevano anche piccole porzioni di verde.
Dicono che in una di queste (chiamata Prato del Cavallo o qualcosa del genere, ora identificabile con la palestra del Murialdo e il parcheggio del palasport), una volta venne nascosto un maestoso striscione di lunghezza spropositata, che nessuno chissà perché volle tenersi a casa o nel garage, e la mattina dopo non si trovò più.
Dicono che a fare striscioni, organizzare cori, realizzare scritte sui muri quel gruppo, che intanto si era chiamato Boys, era bravissimo, e aveva sviluppato col tempo tutto un know-how che si esaltò nella notte in cui una trentina di adepti parteciparono alla composizione della madre di tutte le scritte murali, in onore di uno sponsor nel frattempo venuto a mancare, nel senso di defunto, e non di scomparso senza lasciare tracce se non debiti come accade nello “sport moderno”.
Dicono che la zona “nuova” si appassionò tutta al basket non solo per la comodità di avere la palestra sotto casa, ma anche e soprattutto per la modernità di un gioco che a Viterbo c'era sempre stato, ma che in Italia stava vivendo dal '75 in poi un periodo di espansione incontrollata, cominciato con le vittorie della nazionale, l'arrivo dei giocatori stranieri, le iniziative promozionali di una federazione nazionale non ancora mera percipiente di tasse gara.
Dicono che un momento fondamentale di questo boom, a Viterbo almeno, fu un torneo universitario internazionale dove potemmo vedere all'opera addirittura gli jugoslavi (gli jugoslavi!!!!) con quel tanto d'internazionalità che in provincia fa sempre la differenza.
Dicono che c'era grande energia in quel gruppo che a un certo punto era così cresciuto da avere bisogno di maggior spazio per esprimersi, e allora via con la tribuna montabile, che gli stessi Boys provvedevano ad allestire e poi a smontare alla fine di ogni partita interna.
Dicono che il trasloco in curva fu necessario sia per questioni di capienza, sia perché quel gruppo stava diventando “pericoloso”, nel senso che si piazzava troppo vicino agli spogliatoi e al passaggio di giocatori ed arbitri, e forse un campionato la Garbini lo perse proprio a causa di una squalifica del campo subita alla vigilia dei match decisivi per la promozione.
Dicono che peraltro gli “incidenti” di allora erano zuccherini rispetto a quelli attuali, ammesso che sia corretto fare una classifica di certe manifestazioni. Dicono inoltre che la politica poco si affacciò nel gruppo, anche se il colore di quasi tutti era ben distinguibile, ma del resto era quello del partito che allora andava per la maggiore, tanto da insidiare gerarchie ormai trentennali.
Dicono che tutto ebbe fine poco dopo l'apoteosi di una promozione alla terza serie nazionale, che per Viterbo fu un traguardo clamoroso e inimmaginabile fino a poco tempo prima. La discesa fu rapida quasi quanto la salita, tra il distacco di quei ragazzi che nel frattempo avevano trovato altri idoli sempre nel basket ma nel settore femminile, e la malcelata soddisfazione di chi, come sempre accade in questa città, preferiva puntare su altri cavalli di cui poteva gestire la corsa.
Dicono che nel tempo alcuni degli attori di quel periodo hanno provato a ricreare la magia, tornando chi in panchina chi in campo chi dietro la scrivania per portare nuovamente in alto il nome e i colori di una società che nel frattempo era diventata altra cosa.
Dicono che le magie non sono ripetibili, e che pensare di rivederle è da illusi. Che adesso le cose vanno in un altro modo e bisogna prenderne atto e adeguarsi. Che una certa idea di sport si è guastata proprio a partire da allora (e questo è moooolto opinabile), e che facciamo male a celebrare tempi tutto sommato oscuri: tempi che a me, a noi sono piaciuti tantissimo e baratteremmo volentieri con gli attuali.