Ci sono ormai tante pubblicazioni sulla violenza alle donne: perché farne un'altra?
Perché è la prima esperienza nel territorio viterbese, perché i luoghi comuni sulla violenza alle donne e sugli autori di questa violenza minimizzano la realtà. Nominare la violenza, soprattutto quella che si esercita in seno alle famiglie, non é mai abbastanza.
Gli ultimi anni ci hanno visti/e spettatori/trici di numerosi “femminicidi”, violenze, maltrattamenti, segregazioni, stupri. Queste violenze non accadevano solo in paesi, città e nazioni lontane da noi, ma proprio nelle nostre case, nei luoghi che ci sono familiari, nelle nostre famiglie!
Il viterbese sembra una provincia tranquilla dedita alla buona cucina, alle feste paesane, allo struscio del sabato nelle strade con le vetrine scintillanti, alla carità cristiana, all'osservanza delle regole civili, ma, come in tutta Italia, come in tutto il mondo, al riparo delle mura domestiche, e all'interno del gruppo dei maschi, all'interno di un sé debole, anche nel nostro territorio si consumano delitti nei confronti delle donne.
Chiamiamo delitto non solo l'atto che uccide, ma anche lo stupro, l'umiliazione quotidiana, l'isolamento, la sottrazione delle risorse economiche, la svalorizzazione, il ricatto sui figli a cui la donna è sottoposta.
È l'esercizio di potere dell'uomo sulla donna, storicamente e culturalmente determinato, è la consuetudine alla battuta di scherno, è l'abitudine a “regalare” apprezzamenti sessuali pesanti come se fossero delle forme di gratificazione, è l'abitudine delle donne a non reagire adeguatamente ad essi. Il radicamento e la diffusione di tali atteggiamenti li fanno percepire come naturali, fornendo l'alibi culturale per l'assoggettamento delle donne, per la libertà di esercitare il potere, di sottrarre diritti alle donne o di concederne di seconda classe, di ridurre le donne ed i loro corpi ad un oggetto, ad un mero contenitore per la riproduzione.
Ne sono chiare manifestazioni: lo stupro di gruppo come strumento per infliggere la massima umiliazione possibile alla vittima, e l'utilizzo dello stupro di massa, su base etnica o meno, come arma di guerra; violentare e ingravidare le donne del nemico viene inflitto come sfregio e considerato segno di vittoria inappellabile.
Il pensiero femminista ha elaborato che è possibile ribellarsi ad una visione unilaterale del mondo, basata sull'esercizio del potere di un genere sull'altro, che non prende in considerazione altri punti di vista e altri modi di stare al mondo. È possibile ribellarsi ad una visione del mondo che colloca il valore e la dignità culturale da una parte sola, svalutando tutto ciò che il ruolo sociale impone alle donne in quanto donne.
Con questa pubblicazione vogliamo porre ad argomento di riflessione come la violenza sia un abito culturale pervasivo e diffuso, e di come venga esercitata anche nelle nostre case.
Le nostre case non sono soltanto i luoghi privati e intimi degli affetti e delle relazioni, e non sono soltanto il luogo del privato. La dimora familiare è luogo pubblico nella misura in cui è costruita su consuetudini sociali, religiose e culturali, e nella misura in cui è regolata da precise leggi e contratti sociali. Inoltre, è luogo politico perché luogo di esercizio della disparità di potere di un genere sull'altro, e non dovrebbe essere considerato uno spazio in cui comportamenti violenti rimangono impuniti.
L'incontro tra l'elaborazione del movimento femminista e alcune Istituzioni, nazionali e internazionali, sensibili al fenomeno e attente all'elaborazione delle donne, ha permesso di dare nome e entità numerica a violenze fino a poco tempo fa invisibili. La conoscenza del fenomeno è il passo necessario e indispensabile per dare risposte alle difficoltà pratiche delle donne e delle/i bambine/i vittime di violenza, è lo strumento che permette di intervenire sul piano culturale e fare un salto di civiltà nelle relazioni tra umani nel rispetto delle soggettività e delle differenze.
Dopo strenui tentativi, durati quasi dieci anni, di mettere a tema la problematica della violenza contro le donne, anche a Viterbo è stato possibile far conto sulla sensibilità dimostrata dall'amministrazione provinciale nell'entrare in relazione con l'elaborazione delle donne e nell'assumere il riconoscimento dell'altra come soggetto autodeterminato. Questo ha consentito di far emergere, tramite il centro antiviolenza e la pratica politica e culturale dell'associazione Erinna, ciò che è sommerso e occultato dietro la rassicurante istituzione della famiglia: le violenze in casa, le molestie, gli stupri alle coetanee, le persecuzioni, qui come in ogni parte del mondo.
La diffusione e la vastità del fenomeno della violenza alle donne ci impedisce di considerarlo come qualcosa di mostruoso e di estraneo, e ci costringe a prendere atto che viviamo in una cultura che da millenni giustifica e tollera la violenza alle donne, considerandola una normalità, indipendentemente dall'appartenenza etnica, culturale e religiosa degli autori e delle vittime della violenza stessa.
Noi vogliamo cambiare le cose, insieme a tante altre donne e uomini, e siamo sicure che sarete tutte e tutti con noi… |