CHIARE FRESCHE DOLCI ACQUE Paseggiata-Racconto a Oriolo |
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Oriolo Romano non è un paese qualunque della Tuscia. C'era un volta un feudo e c'erano i suoi signori: i Santacroce. Roba da alto medioevo. E c'era una selva fitta-fitta come quella di Hans e Gretel. Vennero un giorno boscaioli e taglialegna: padri fondatori “capannari”. Giungevano un po' dappertutto, specie dall'Umbria. Piansero sudore e sangue, bestemmiarono dio e la sorte. La selva fu infine disboscata. E sorse la città. Una città armoniosa, modellata sugli esempi della trattatistica rinascimentale: particolarmente la Città Felice di Francesco Patrizi. Fu, quello, un gesto che cambiò forma e impresse senso nuovo all'arcaico paesaggio circostante. Un palazzo splendido come un gioiello, strade in asse, una piazza ariosa e accogliente. Era la metà del Cinquecento. Il neonato borgo fu presto circondato da mura, che non servivano però per scopi militari. Erano invece dei terrazzamenti per sostenere Oriolo: come il palcoscenico di un teatro accoglie il suo spettacolo. Spettacolo urbanistico. Ma se le mura erano pura scenografia, rilievo centrale per la nuova comunità assunse da subito la questione di una razionale gestione delle acque, di cui il territorio non era certo avaro. Lo spazio cittadino fu presto costellato-arredato di fontane e fontanelle, lavatoi e fontanili, acquedotti. Bellezza e spirito pratico. Orgoglio e funzionalità. Dalla nobile fontana delle “picche” alle scarne tracce e ai molti ricordi lasciati dall'acquedotto del Gigante, realizzato nei primi del Novecento; dalla Fontana Vecchia (ormai a becco asciutto) al lavatoio pubblico (singolarmente ancora in uso, qui a Oriolo come nella vicina Montevirginio) al Fontanile delle Fontanelle appoggiato sul retro di palazzo Santacroce Altieri. Sulla scorta delle suggestioni offerte dal bel libro Gestione e uso delle acque a Oriolo Romano tra XVI e XXI secolo (Davide Ghaleb editore 2012), tra brani di fonti storiche e immagini pittoriche, in compagnia delle curatrici del volume (Ferrini e Raccuia) ma anche delle “frottole” letterarie di Antonello Ricci, passeggeremo per Oriolo raccontandone le “chiare fresche dolci acque” dalla fondazione cinquecentesca all'alba del Novecento e della modernizzazione. Convinti come siamo (specie in questo passaggio storico drammatico di crisi idrica incipiente su scala globale) che la pietas della memoria è culto da rivolgere al presente nostro, al futuro dei nostri figli, più che al passato dei nostri avi. I quali confermano una volta di più (se ce ne fosse stato bisogno) che tanto hanno ancora da insegnarci, in termini di saggezza civica e umana dignità. |