1944 – VITERBO ANNO ZERO |
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LEPASSEGGIATEDELSANTOEDITORE 1944 – VITERBO ANNO ZERO di e con Antonello Ricci e Pietro Benedetti Passeggiata/racconto L’evento è realizzato in collaborazione con Paper Moon, agenzia viaggi e tour operator. |
Che cosa resta oggi, a 70 anni dal trauma, dello strazio di quella ferita collettiva nella memoria pubblica cittadina? Dal brusio indistinto delle muse, dal solenne compianto popolare, si leva ora il racconto di una donna. Una donna venuta al mondo all’alba del secolo XX. Una donna che nei giorni di Viterbo bombardata e liberata sapeva ancora cose che in molti avevano scordato già. Da signorina aveva lavorato come operaia al ritmo della sirena delle Ceramiche Tedeschi: su via della Pila, tra Santa Maria in Gradi e porta Romana. Beccandosi l’artrite deformante. Rivedeva come in un sogno la Viterbo del luglio 1921 (anno delle sue nozze): le mura castellane assiepate dai fucili degli arditi del popolo; olio bollente, fascine ardenti e pietre da gettare sulla testa dei fascisti accampati nei dintorni. Da maritata poi – aveva sposato Lisàndro, un colono – era andata a metter su famiglia al Roncone, in un mulino del Seicento (detto la Morgellina) appena sopra il fontanile del curvone: sul retro, lo scroscio dell’acqua in caduta – che fino a qualche decennio fa precipitava ancora dalla gora soprastante – aveva forza bastante per assordarti. Lì proprio lì, nei giorni dell’occupazione la donna aveva salvato la vita a due ragazzi gridando/spergiurando a tutta gola: – So’ li mi’ fìji! So’ li mi’ fìji! I tedeschi li avevano “pizzicati” e volevano fucilarli sul posto. Ma loro erano innocenti. Perché quella sera, all’imbrunire, a orario stabilito (come per ogni altra sera che Dio manda in terra) i due erano semplicemente arrivati alla chiusa per abbassarne lo sportello e deviare l’acqua verso l’orto di famiglia. In quel bizzarro e suggestivo interno, ormai più che ottantenne, l’avevo infine conosciuta io, intervistandola davanti al microfono del mio registratore. E lei mi sciorinò storie da restare a bocca aperta. Racconti picari e disperati di una Viterbo Anno Zero. Storie di quando via Garibaldi era stata ridotta dalle bombe a un cratere ininterrotto percorribile solo a piedi, con saliscendi estenuanti. O di quando, insieme con una folla di fedeli costernati radunatasi fra calcinacci e rocchi di colonne medievali, aveva udito e raccolto le richieste di aiuto e le prghiere dell’ultima ora dell’arciprete di San Sisto, rimasto sepolto vivo sotto il crollo del monumento. O di quando, il 17 gennaio 1944, andata a far visita al fratello, si era ritrovata nell’inferno del Cunicchio, ai piedi di San Francesco. Fu quando il mondo venne giù, in mezzo alle bombe che fioccavano fitte come riso alla fine di un matrimonio: Viterbo rasa al suolo. O di quando. Di quando. Di quando. Si chiamava Lina, quella donna. |