PASSEGGIATA SAN MARTINO
Passeggiata-racconto di e con Antonello Ricci

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LEPASSEGGIATEDELSANTOEDITORE

DAVIDE GHALEB EDITORE e
BANDA DEL RACCONTO
PRESENTANO


Venerdì 25 luglio 2014

Appuntamento alle ore 21.30
a piazza Nazionale
San Martino al Cimino (VT)

PASSEGGIATA SAN MARTINO
bagattelle per un Principato

di e con Antonello Ricci

Divertenti-divertite storie e letture itineranti a margine del libro Il centro storico di San Martino al Cimino – gli abitanti e le case nel Catasto gregoriano (1819-1820) (a cura di Littarru-Vivio, Davide Ghaleb editore 2004)

con la partecipazione di Pietro Benedetti

Come sempre il biglietto consiste nell’acquisto di un libro a scelta fra quelli del catalogo di Ghaleb Editore.

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Zampa di coniglio, salvami dal periglio!

Caro lettore, ci sono due modi per raccontare questa storia.

Per prima cosa potresti prendere in mano un libro e sfogliarlo. Si tratta de Il centro storico di San Martino al Cimino. Gli abitanti e le case nel Catasto Gregoriano (1819-1820). Ti accorgeresti subito che ci sono tutti: uomini e donne. E ovviamente stalle cantine case. Tutti ma proprio tutti, nome per nome: da quelli di chi ogni mese l'affitto delle sue quattro mura doveva sudarselo (praticamente il popolo sammartinese unanime) a chi invece il gruzzolo se lo ritrovava in tasca senza dover nemmeno battere ciglio (il Principe certo, il Principe). Una storia vecchia come il mondo. Un passato che non sai nemmeno tu quando fu passato per davvero: dai quei primi spauriti contadini che nel XIII secolo vollero tirar su per maggior sicurtà dei propri cari le loro casupole lungo i fianchi e ai piedi della splendida abbazia cistercense, fino ai costruttori (con possibilità di riscatto: alloggi popolari ante litteram) delle innovative case a schiera volute alla metà del XVII secolo da Donna Olimpia Maidalchini-Pamphili: a forma di stadio (o vero sia in pretto stile piazza Navona) per celebrare alla posterità il proprio improbabile principato. Tutti. Tanto che adesso, se posi il libro sul tavolo e cerchi negli scaffali (sì, quelli all'ingresso!) le Pagine bianche di questo 2014 e le sfogli, ti rendi conto che tutti quei nomi stanno ancora lì: da Ambrosini a Spolverini. Da Turchetti ad Aquilani. Passando per Arciola Calisti Morucci Scoppola Speranza. Con la sola differenza che – per via del declassamento subito nel 1928: da comune indipendente a semplice circoscrizione del capoluogo – sull'elenco hai dovuto cercare alla voce «Viterbo».
Fu in verità – quel declassamento – la sola risposta di cui le istituzioni degnarono il lamento popolare intonato per vie ufficiali almeno a partire da fine Ottocento: affinché – a scapito dei ben più ricchi municipi limitrofi: Viterbo e Vetralla – fosse leggermente ingrandito il misero territorio comunale di San Martino da sempre ricco di braccia (e bocche da sfamare) ma povero in canna proprio di terra; o affinché (in subordine) il Principe volesse concedere ai sammartinesi la colonizzazione di una parte della sua tenuta di Petrignano; o affinché, infine, almeno la tassa sui fabbricati venisse abbassata.
Ma ancora alla vigilia della prima guerra mondiale nulla s'era mosso per sollevare (almeno un poco) i paesani sammartinesi, fascinari boscaioli carbonari donne di servizio (spesso nullatenenti), dalla «miseria più squallida» cui sembravano dannati per contrappasso in vita: almeno a giudicare dalle accorate quanto pittoresche perorazioni epistolari indirizzate di quei tempi di italiano popolare da molti sammartinesi al proprio sindaco, perché volesse accelerare le pratiche per un loro espatrio verso le Americhe.

Altrimenti, caro lettore, c'è un'altra strada. Potresti provare a ripetere con me quel noto scongiuro: – Zampa di coniglio, salvami dal periglio, zampa di coniglio, salvami dal perigliooooo... Ma mi raccomando: con quella -ooooo finale intonata-strascinata in quel certo modooooo: come una litania; come Scarafone (apprendista stregone) ricorda e suggerisce a Vittorio De Sica (suo maestro e padrone) nel monicelliano Il medico e lo stregone (1957) mentre gli porge il peloso talismano scaccia-malocchio. Accade subito dopo l'interrogatorio alla stazione dei Carabinieri, quando gli eventi, per il popolare ciarlatano dell'immaginaria Pianetta, sembrano volgere al peggio. Eh sì, zampa di coniglio, salvami dal perigliooooo... perché tutti sanno che proprio la scena dell'interrogatorio, insieme con quella della finta guarigione miracolosa e con tutte le altre presso la casa del sindaco furono girate in esterni e in (splendidi) interni (così architettonicamente ricchi da sembrare bassi meridionali veri) proprio qui a San Martino. Tra la via di Mezzo e il palazzo Doria-Pamphili. Con la gente del posto per comparse: vecchi donne bambini, tutti i veri paesani di allora. Quelli scampati alla seconda guerra e alla nuova emigrazione. Anche lì, caro lettore, se guardi bene, ci sono proprio tutti: dalle trecce della Zi' Carmela all'indice rugoso puntato a più riprese da Brutta-Pippa all'indirizzo del malcapitato dottor Marchetti alias Marcello Mastroianni (Brutta-Pippa, indimenticabile spazzino di una San Martino che non c'è più). Tutti insieme immortalati a far da sfondo in un “affresco” di capolavoro cinematografico. Ma c'è un'altra cosa, che invece pochi rammentano. Un dettaglio minimo che vale però il mondo intero... «Eh, il fatto è, cari signori, che non tutti conoscono la miseria e l'ignoranza di certa gente. Va bene che la colpa non è di nessuno, è roba di secoli fa, ci vuole tempo. Ma perché ci meravigliamo se preferiscono sistemi di cura vecchi di secoli? Credono in certe cose? Ebbene io... io li contento!» Ha appena terminato, Don Antonio-Vittorio De Sica, la sua sapida e accorata arringa difensiva davanti al maresciallo di Pianetta (arringa che ce lo ha reso – se possibile – ancora più simpatico: così densa di pietas antropologica da evocare in pochi passaggi meglio che in cento saggi di sociologia la «miseria più squallida» di quelle stesse comparse, uomini e donne affacciatisi sull'uscio socchiuso a curiosare, che sono – lo si misura a colpo d'occhio: per come vestono e come “stanno” nello spazio –  ancora così antichi, ancora così aristocraticamente poveri in pieno miracolo economico). Ebbene ha appena terminato, Don Antonio, ed esce dalla stanza e s'incammina per un lungo corridoio. È preoccupato. Al fianco gli incede il fido (maldestro) Scarafone. Ecco: quel corridoio e quella stanza non sono un ambiente come un altro. Perché a San Martino-Pianetta la stazione dei Carabinieri ha “sede” proprio nel palazzo del Principe. E proprio lì, nel palazzo che fu del Principe, per difendere il proprio indifendibile operato, lo stregone De Sica ha appena levato una voce piena di dignità contro «la miseria e l'ignoranza» vecchie di secoli. Se la ricorda bene Mirella, quella scena. Mirella Morucci (a me piace chiamarla con affetto filiale: Donna Mirella) che a quel tempo era una ragazzina: se la ricorda benissimo perché, proprio mentre Taranto-Scarafone e Vittorio De Sica ripetevano lo scongiuro stringendo la zampa di coniglio e avanzando lungo il corridoio del palazzo del Principe, lei era lì in piedi su una panca, abbracciata alla sua mamma, la leggendaria Lidimonda (nome da madonna provenzale ma occhi di guerriera Apache, tagliati col roncio). La macchina da presa, carrellando all'indietro, quasi-quasi le s'impigliava nel vestitino. Se fai un fermo-immagine puoi rivederle, caro lettore: ciascuna per un istante appena ed entrambe di profilo. Mirella e Lidimonda. Madre e figlia. Vera aristocrazia popolare. È un istante ma vale un'eternità. Zampa di coniglio, salvami dal perigliooooo...

Antonello Ricci

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