Quando la guerra passo di qui vol II
Il tempo sbagliato. Diario giovanile di Antonia Gambellini
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Premessa
di Gabriella Norcia


Al di là delle considerazioni, sacrosante, sul fatto che Vetralla non fu di fatto attraversata dagli orrori dei grandi numeri che caratterizzarono la Seconda Guerra Mondiale, il loro spettro aleggia tra le parole delle testimonianze raccolte, pur imprecise, altamente soggettive, ancora emotive, in una popolazione che comunque ha visto passare sotto il proprio sguardo, a volte incredulo, l'effetto dell'odio contro il proprio fratello, indotto in modo crudele da insensati governanti.
La guerra vera è tuttavia passata a Vetralla dopo l' 8 settembre, seguendo le vie consolari che la toccano : la Cassia, l'Aurelia. Un paese che si è ritrovato all'improvviso stretto tra la morsa della fuga tedesca e la rincorsa alleata. Il libro, fatta eccezione per i preziosi contributi di docenti universitari ed esperti militari, si compone per la maggior parte di testimonianze orali raccolte nel tempo insieme all'amico Vincenzo Marro. Le abbiamo suddivise per l'argomento di base che ci sembrava le permeasse. Così sono venute fuori le voci di chi era militare, quindi fuori del paese, di chi aveva vissuto i bombardamenti, di chi aveva qualcosa da raccontare sul campo di concentramento in località Mazzocchio, poi altri fatti sulla presenza di ebrei nel paese ed infine i racconti di chi allora era bambino. Sono state per lo più raccolte su nastri audio e trascritte in versione fedele nei contenuti alla testimonianza rilasciata. Gli studi che precedono il capitolo sui bombardamenti e sul campo di prigionia, ad opera di esperti, tendono a ricostruire dal punto di vista storico ciò che nelle memorie si è necessariamente modellato sul vissuto del soggetto narrante, anche per quanto riguarda le date.
In ogni testimonianza scopriamo però tasselli che aggiungono notizie a volte di grande interesse.
Apro una finestra, per tutte. La condizione, mai abbastanza scandagliata, di una parte dei militari italiani il giorno successivo all'armistizio di Cassibile: gli IMI (Militari Italiani Internati), come chiamarono chi fra loro non accettò spontaneamente l'asservimento alle autorità tedesche. Le toccanti parole di Ivo Ravarotto diventano preziose per ricordare un dramma soffocato fra le aberrazioni dell'ultima guerra.
Ivo fu tra quelli che dopo il disarmo, dovettero scegliere se passare agli ordini dell'esercito tedesco o essere tradotti in campi di detenzione in Germania. Il 10% circa scelse la prima opzione, più per la speranza di una sorte migliore che per convinzione politica, per gli altri iniziò il calvario che li portò prima in campi di concentramento con lo status di internati militari, perdendo così le garanzie previste dalla Convenzione di Ginevra, trasformati poi in “lavoratori civili” attraverso mezzi coercitivi e impiegati nelle fabbriche, miniere e pozzi petroliferi senza le protezioni che sarebbero spettate loro da parte della Croce Rossa, come per i prigionieri delle altre nazionalità. Non esistono dati certi su quanti di loro persero la vita e non esiste un loro censimento completo. Molti, tra cui Ivo, non ebbero alcuna accoglienza e supporto al momento del loro rientro in patria, avvenuto spesso con mezzi di fortuna e in condizioni fisiche estremamente precarie. Abbiamo provato a raccogliere altre testimonianze, ma spesso ci siamo trovati di fronte a chi preferiva dimenticare. Ivo, con la sua voglia di parlare, diventa l'emblema della valenza morale del racconto alle generazioni future, dell'importanza della singola testimonianza per confermare, se necessario, la realtà di fatti dolorosi, recuperandoli al più comodo oblio.