Piccole ali hanno le parole
di Gabriella Sica
Non si è fatta schiacciare l’anima e il pensiero Teresa Blasi, che una gran parte di vita l’ha vissuta, e l’ingiustizia e la menzogna ha potuto verificarle. Lei sa ma non si è fatta toccare e continua a intravedere la bellezza di quanto ha vissuto e a tenere sveglia la compassione per le figure amate e le figure amiche del presente e del passato, magari per l’altra figura che è stata lei stessa ragazza, o per le amiche di una vita, “impazzite di gioia” come fanciulle. A ricordare amori quando sono passati “mill’anni”, e a far riemergere frammenti d’infanzia e adolescenza nei soprassalti del cuore. A non smettere di considerare la stretta intimità e la misteriosa relazione in cui si trovano, a quanto ha scritto Simone Weil, “la persona e il sacro”. Non la persona come astrazione e neppure la persona interamente umana, con quel sentimento invincibile e appartenente a tutti gli esseri che si aspettano di ricevere il bene e non il male, ma quella persona specifica, proprio quella che abbiamo incontrato, sfiorato o amato. Ogni essere umano è sacro e testimonia di questa sacralità. Ma non ci sono solo le persone a tenere viva questa forza, ci sono anche gli animali e i fiori che parlano: i gialli girasoli, i ciclamini luminosi, i gigli del mare, i gerani rossi, e ancora le mimose, i roseti e le ginestre perché ad “amare appresi in mezzo ai fiori”, come scrive citando Friedrich Hölderlin.
Non conosco l’autore di queste poesie che vanno a scavare “alla radice dei giorni” senza sconti e non conosco la sua formazione. Ma i poeti li ha letti e tanti, le tracce sono tutte evidenti, e questo basta a nutrire il suo sentimento, il suo pensiero e i suoi versi di una delicatezza speciale nel tenere in considerazione quel che circola nel tessuto sociale e in particolare tra le relazioni umane. Una gentilezza greca, come quella che lega le amiche adolescenti di Nausicaa, intente a giocare sulla spiaggia a palla, o la vera gentilezza italiana che fa rinascere il mondo.
A quel poco che so, la vita di Teresa Blasi è svolta per intero nel paesaggio vario di colline e laghi, di fossi e grotte della Tuscia, ai confini con la “soavità del paesaggio umbro” da una parte, e dall’altra ha per ultimo orizzonte la Maremma, laddove il cielo e il mare si toccano e tramonta il sole. Un paesaggio a volte aspro e tuttavia mobile, fatto di natura, che si riflette nella sua poesia. Poesia e natura si intrecciano, come la storia privata e la storia mitologica si scambiano il punto di vista e nella trama del visibile affiorano lacerti del passato, quello che è invisibile.
Nasce dalla poesia di altri poeti la poesia apparentemente semplice e incantata di Teresa, che curva sapiente e gentile sulle parole altre, nella quieta ricerca dell’interlocutore, e così facendo non smette di tenere viva “la spola dell’intesa”. E che intesa con Emily Dickinson o con Marianne Moore, che non dimenticano spine tra i roseti! Non è una fiaba quella che la porta a scrivere: “Il dolore, il dolore del corpo / è un orrendo brutale gigante. / Il suo passo di ferro / distrugge i giardini / calpesta le aiuole / divelle mimose e roseti”. Quella del dolore è “la parola giusta” eppure lei non deflette dal considerare che “piccole ali hanno le parole” quando combattono il silenzio. |