È con vero piacere che segnalo questo testo sull’auto e mutuo aiuto che apporta un notevole contributo innovativo alla letteratura in questo ambito. Infatti gli autori valutano, basandosi sull’analisi dettagliata delle esperienze delle persone che frequentano questi gruppi, quali processi ne favoriscano l’efficacia. I capitoli che esaminano i diari scritti dai partecipanti, persone con problemi di dipendenza da alcol e loro familiari, offrono spunti originali di riflessione. In particolare io ho apprezzato, l’attento lavoro svolto da Luca Piras che è stato mio allievo all’università, quando seguendo la sua tesi di laurea ho avuto modo di osservare con quanta passione e competenza Luca si occupava di una tematica che gli sta particolarmente a cuore.
I gruppi di auto e mutuo aiuto sono tra gli strumenti che gli psicologi di comunità prediligono per aumentare l’empowerment delle persone. La psicologia di comunità, infatti, esplora i legami tra sfera individuale e collettiva e le influenze reciproche fra psicologico e sociale e fra pubblico e privato. Le emozioni negative prevalenti nei diari di alcuni partecipanti, in continua lotta per evitare di ricadere nelle dipendenze che hanno danneggiato la loro vita e le loro relazioni, emanano certo dalle loro esperienze con alcool e gioco d’azzardo, tuttavia parte della loro paura del futuro è anche generata dalla situazione di crisi della nostra società, cioè dai mutamenti in corso nel mondo pubblico che li circonda. Aumentare l’empowerment dei partecipanti ai gruppi significa alimentare in loro la tendenza alla speranza e all’ottimismo e migliorare le loro capacità di porsi mete personali e di raggiungerle a piccoli passi, come già avviene nei gruppi descritti in questo libro. Ma anche accrescere il loro empowerment sociopolitico, aiutandoli a sentirsi cittadini che contano, e a trovare nuovi obiettivi e significati per la propria vita sociale. Mi sembra che questo sia un obiettivo importante un poco trascurato nei gruppi di auto e mutuo aiuto descritti.
Credo sia importante offrire ai partecipanti anche ulteriori strumenti per capire i contesti ambientali che li circondano: dai piccoli gruppi in cui sono inseriti (il gruppo familiare, ma anche i gruppi amicali, sportivi) alle organizzazioni di cui fanno parte, alle comunità locali in cui vivono e ai media di cui usufruiscono ogni giorno. In un mondo di continui mutamenti, accrescere la conoscenza dei contesti, la capacità di attivazione personale e, con esse, le abilità di scelta, aiuta a fronteggiare con maggior efficacia le diverse esperienze di adattamento e transizione. Gli psicologi di comunità hanno sviluppato una varietà di metodologie, che possono essere facilmente apprese, per capire i punti forza e le aree problema dei contesti ambientali e massmediologici in cui viviamo, per saper cogliere le opportunità che offrono e attivarsi con altri per risolvere i problemi, prendendoci cura dei luoghi in cui viviamo.
Ad esempio, l’Analisi Organizzativa Multidimensionale (l’A.O.M.) permette di valutare in modo creativo e partecipativo, da quattro punti di vista diversi, dall’economico-strategico al funzionale dallo psico-ambientale all’emotivo-culturale, lo “stato di salute” delle organizzazioni in cui studiamo, lavoriamo, ci divertiamo o facciamo volontariato. Questa metodologia –che, per esaminare le dimensioni emotiva e culturale, utilizza tecniche originali e appassionanti come fare la sceneggiatura di un film sulla propria organizzazione e altre metodiche narrative e teatrali– può essere utile ai partecipanti per capire se i luoghi dove lavorano, studiano, si divertono rappresentano contesti empowering, che aumentano il loro benessere o al contrario, o organizzazioni disenmpowering, che li fanno ammalare,e deprimere, e ricadere nella tentazione di bere o giocare d’azzardo. Ma essa è utile anche per apprendere come andare d’accordo con colleghi e superiori; come affrontare situazioni conflittuali; come decidere se cambiare lavoro, se andare in pensione o iniziare un’attività in proprio. L’analisi organizzativa multimediale è stata utilizzata in scuole, nelle piccole medie imprese in specifici dipartimenti di grande aziende, nei servizi sociosanitari, nella pubblica amministrazione, nelle cooperative sociali e nelle associazioni di volontariato. Tramite l’A.O.M., i membri di queste organizzazioni hanno trovato insieme soluzioni innovative ai loro problemi e incrementato loro benessere (Francescato Tomai Mebane 2004,Francescato, Tomai, Solimeno 2008).
Anche conoscere meglio le risorse e i problemi della comunità in cui si vive ha un’importanza strategica per poter divenire cittadini empowered che possono partecipare attivamente nel promuovere cambiamenti auspicati: fare una analisi dei diversi profili di una comunità, territoriale, demografico, istituzionale, dei servizi e delle attività produttive, psicologico, antropologico e individuare le paure e i desideri collettivi verso il futuro diventa infatti anche un’occasione di attivazione e di interazione fra i diversi attori della comunità, oltre che un importante processo di presa di coscienza e di socializzazione di problemi e di risorse presenti. Per conoscere la comunità si tratta, in sostanza, di mettere in campo una ricerca azione, utilizzando, in una cornice di coerenze, strumenti sufficientemente semplici da gestire, che possano permettere di ottenere dati e al tempo stesso di coinvolgere le varie componenti della comunità. I profili di comunità (Martini e Sequi, 1996, Francescato Tomai 2002, Prezza e Santinello 2002) rappresentano una guida per la lettura della comunità e sono anche un modo per aggregare e utilizzare dati di natura diversa che permettono però di ricavare un quadro della comunità che si vuole conoscere.
Nei gruppi di auto e mutuo aiuto descritti in questo bel volume, viene inoltre citata una sperimentazione fatta tramite la visione di film. Questa tendenza mi sembra vada incoraggiata, dati i buoni risultati che gli psicologi di comunità hanno ottenuto con i workshops di formazione empowering (Bruscaglione 2007, Francescato 2010) che sono forse lo strumento più efficace per esaminare l’influenza dei media e dei contesti culturali anche virtuali, oggi sempre più variegati e accessibili a tutti tramite i nuovi smart phones e internet. La formazione empowering favorisce un processo di acquisizione di potere effettuata attraverso l’accrescimento nell’individuo della capacità di controllare attivamente la propria vita e di influenzare le decisioni attuando azioni nei contesti ambientali utili al raggiungimento dei risultati desiderati.
Il percorso empowering prevede diverse fasi. In una prima fase si esplora il passato personale e del proprio ambiente di provenienza per far emergere desideri e affrontare nodi problematici. Si dà molto spazio all’esplorazione delle emozioni positive che promuovono l’empowerment e delle emozioni negative che possono ostacolare i mutamenti desiderabili, come anche avviene efficacemente nei gruppi di auto e mutuo aiuto.
Alcuni strumenti operativi utilizzati in questa fase, che potrebbero essere facilmente inclusi negli incontri dei gruppi di auto e muto aiuto sono:
–il “romanzo familiare”, attraverso il quale ciascun partecipante può far emergere i ricordi/pensieri negativi e positivi del proprio passato nei rapporti con la propria famiglia;
–il “romanzo scolastico lavorativo”, attraverso il quale è possibile riesaminare il proprio percorso scolastico e/o lavorativo, i sogni, le delusioni e le attese realizzate e non;
–“lo sceneggiato dei futuri possibili”, che comprende l’utilizzo di una varietà di tecniche narrative per aiutare i partecipanti a riscoprire i loro desideri prioritari rispetto agli ambiti: lavorativi, affettivi e familiari, attività di tempo libero, impegno politico-sociale, aspetto fisico e salute.
Nei workshop di formazione empowering, particolare rilevanza viene data all’esame delle influenze positive e negative dei media su valori, desideri e sulla costruzione del nostro patrimonio emotivo individuale e generazionale. A questo scopo vengono utilizzati il “romanzo mediatico personale”, consistente nell’analisi degli media maggiormente seguiti/utilizzati in diverse fasi della vita, per ricercare conferme sulle proprie paure e ansie, sui propri desideri e sui modelli comportamentali adottati. Per capire invece come i media abbiano influenzato il nostro immaginario erotico e le prime esperienze sessuali e sentimentali si esamina invece
“il romanzo mediatico generazionale” (i film, le canzoni, le trasmissioni televisive dell’epoca storica in cui si è vissuta la propria adolescenza).
L’uso di questi strumenti permette di rintracciare la genesi del nostro modo di vivere le emozioni negative come rabbia, ira, vergogna, e invidia; di liberarci dell’influenza di alcune “frasi killer” della nostra autostima pronunciate da figure chiave come genitori, professori o amici. Soprattutto di capire quali sono i nostri desideri più autentici, depurati da condizionamenti mediatici.
In una seconda fase, la formazione empowering prevede che ogni persona faccia un bilancio di competenze. Il bilancio di competenze è una tecnica di orientamento che ha lo scopo di aiutare a fare il punto su se stessi, rilevando capacità acquisite, esperienze maturate, interessi, attitudini e aspirazioni spesso inespresse quindi sconosciute allo stesso soggetto. Esso rappresenta un percorso di valutazione della situazione attuale e potenziale, che si conclude con l’elaborazione di un progetto che consenta lo sviluppo professionale e personale.
Scopo della terza fase è quello di sottolineare l’importanza delle interazioni reciproche tra individui e sistemi sociali nel promuovere empowerment o frustrazione, impotenza e rassegnazione. A tal fine si chiede ai partecipanti di rappresentare la propria rete sociale evidenziando i sistemi in cui sono inseriti e di analizzare ampiezza, densità, rete, opportunità, richieste, vincoli che ogni sistema chiede e offre loro, il grado di accordo psicosociale in essi sperimentato, i tipi di potere esercitati su di loro e da loro su altri.
Il percorso empowering prosegue fornendo effettivi ed efficaci strumenti per “conoscere il mondo fuori”; principalmente per imparare a “leggere” i territori in cui una persona vive, utilizzando versioni ridotte dell’A.O.M. e i profili di comunità , aiutando i partecipanti a individuare i problemi e i punti forza dei vari contesti ambientali in cui è inserita.
In una quarta e ultima fase si cerca di appurare il grado di congruenza tra i desiderata individuali e/o organizzativi e le richieste dei contesti di appartenenza. Si confrontano desideri e limiti personali e opportunità e vincoli ambientali, si ridisegna e riprogetta il proprio futuro e si programmano le prime azioni coerenti da compiere per raggiungere i mutamenti desiderati, anche sviluppando la propria rete personale di contatti che possono essere d’aiuto nel processo di cambiamento auspicato.
In quest’ultima fase si realizza un’analisi tra esterno e interno, tra individuo e contesto/i di appartenenza (gruppo, organizzazione, comunità), al fine di aiutare persone e organizzazioni a individuare con maggiore chiarezza spazi di azione possibili. Questa fase utilizza gli elementi e le informazioni derivate dal lavoro nelle fasi precedenti e ne promuove una sintesi creativa: i partecipanti al percorso empowering sono incoraggiati a scoprire, tramite strumenti ed esercitazioni specifiche, la congruenza tra aspirazioni, desideri, paure, competenze specifiche individuali (lavoro della prima e seconda fase) da un lato, e opportunità e vincoli ambientali dall’altro (elementi emersi nella terza fase). L’intento, ambizioso, è quello di mettere a fuoco –tra il desiderio e la rinuncia, tra il volere e il dovere, tra l’impotenza e l’onnipotenza– lo spazio riservato al “possibile”.
La formazione empowering svolge, in questo modo, fino in fondo la sua funzione di “possibilitazione” proposto da Bruscaglioni (2007), lasciando i suoi destinatari non solo rinnovati nella loro dimensione desiderante e consapevoli di avere possibilità di scelta e realizzazione di progetti di cambiamento e miglioramento che li riguardano, ma anche accompagnati nell’orientamento verso alcune delle opzioni possibili, costruite attraverso un percorso di sperimentazione e riflessione condiviso.
Io sono convinta che se i facilitatori dei gruppi di auto e mutuo aiuto includeranno alcuni di questi strumenti nei loro percorsi di crescita, saranno ancora più efficaci nel promuovere cambiamenti personali e sociali.
Tra gli spunti che emergono da questo libro, uno mi ha colpito particolarmente: le differenze di genere emerse, che vedono le donne più capaci e prone ad esprimere emozioni negative e positive ed ad esplicitare i loro valori. Queste differenze di genere emergono anche in altri contesti.
Ad esempio Adam e Derber (2008), due sociologi statunitensi, esaminando sondaggi d’opinione e comportamenti elettorali negli ultimi decenni, documentano la persistenza di un “political gender gap”, cioè di un divario tra uomini e donne. Gli uomini sono più favorevoli alla pena di morte, all’invio di soldati in paesi stranieri per risolvere conflitti, alla fornitura di armi ad altre nazioni, a spendere di più per gli armamenti, all’uso della forza come strumento di coercizione da parte dei poliziotti, e sono più tolleranti verso la presenza di violenze nei programmi televisivi, sono più patriottici, più razzisti, e più conservatori. Le donne sostengono maggiormente il controllo dell’uso privato delle armi, un aumento della spesa pubblica a favore dei programmi educativi, sanitari e di welfare. Le donne inoltre sono più a favore di programmi d’aiuto per i poveri, i gruppi etnici minoritari e gli anziani, e nelle ultime elezioni hanno votato in maggioranza per candidati democratici.
Secondo Adam e Derber (2008) queste differenze negli atteggiamenti e nei comportamenti di voto sono dovute al fatto che donne e uomini sono socializzati a privilegiare valori “femminili” e “maschili”. I due studiosi sostengono che l’America potrà superare la sua crisi e ritrovare credibilità a livello mondiale solo se la politica riuscirà a far propri i valori “femminili” e abbandonare i valori “maschili” che attualmente la dominano. Questi sono centrati sulla ricerca del successo individuale, sulla competizione esasperata, sulla violenza nel risolvere i conflitti, e su una visione guerresca della politica. Sono valori particolarmente presenti nei politici maschi in generale e in particolare in quelli appartenenti a partiti conservatori, come quello repubblicano. I valori “femminili” che privilegiano l’uguaglianza, la soluzione non violenta dei conflitti, il senso di comunità, il “noi” invece dell’“io” al centro dei valori “maschili”, sono oggi condivisi dalla maggior parte delle donne e da una forte minoranza di giovani maschi negli Stati Uniti, per cui costituiscano già valori maggioritari nel paese, ma stentano ad essere espressi nei luoghi di potere, proprio perché giovani e donne vi sono scarsamente rappresentati.
Non è solo negli Stati Uniti, che le donne privilegiano valori universalistici che perseguono non solo il benessere delle donne, ma della società nel suo complesso. Una ricerca di Schwartz and Rubel (2005) svolta in 70 diversi paesi ha mostrato che gli uomini attribuiscono più importanza al potere, alla stimolazione, all’edonismo e in generale ai valori centrati sul raggiungimento del successo individuale, mentre le donne privilegiavano valori più centrati sul “noi”, come la benevolenza e l'universalismo. Secondo altri studiosi (Sidanius e Pratto 1999) queste differenze di valori tra uomini e donne sono dovute al fatto che i due generi si differenziano in una importante predisposizione psicologica: la tendenza a favorire una gerarchia tra gruppi sociali o l’egalitarismo. Gli uomini avrebbero un orientamento alla dominanza sociale, infatti molte indagini in vari paesi hanno mostrato che gli uomini hanno sempre un punteggio maggiore nei test di dominanza sociale (S.D.O.) rispetto alle donne. Questa differenza di genere è stata riscontrata di recente da alcune giovani studiose italiane (Mebane 2008) anche nei gruppi di estrema sinistra, dove in teoria i valori egalitari avrebbero dovuto portare ad una attenuazione delle differenze di genere. Invece i maschi di estrema destra hanno mostrato come atteso i livelli più elevati di .S.D.O., seguiti dalle loro coetanee di destra, dai maschi di estrema sinistra e dalle militanti di estrema sinistra, ma i punteggi dei giovani di estrema sinistra erano ancora significativamente superiori a quelli delle loro compagne.
Diverse ricerche hanno appurato che far entrare in Parlamento membri di gruppi svantaggiati (donne, neri, giovani, minoranze varie) migliora la qualità delle decisioni, aumenta il senso di legittimità democratica e sviluppa capacità di leadership negli eletti (Stevens 2007).
Altre hanno valutato se “fa una differenza” nelle leggi emanate e nel tipo di leadership esercitata, avere donne in parlamento o in posti chiave nei partiti. La presenza delle donne influenza le piattaforme programmatiche dei partiti, dibatti politici e azioni legislative per la promozione di maggiori opportunità per le donne nei posti di lavoro, nell’adozione di provvedimenti contro la discriminazione, per la salute riproduttiva, contro la violenza delle donne, cioè come sostiene Philipps (1995) la presenza femminile in parlamento è cruciale per introdurre tematiche spesso trascurate da politici maschi.
Altrove (Francescato 1998) ho ipotizzato che questa presenza femminile sia ancora più importanti in quei paesi dove dominano culture “maschili” secondo la classificazione di Hofstede.(1998), infatti le società più “maschili” hanno meno donne in parlamento, tranne nei paesi dove sono state introdotte le quote (Cuba, Spagna, Argentina). Nelle società “maschili” anche poche donne coese hanno avuto impatto nei parlamenti, introdotto temi negletti dagli uomini Hofstede considera culture “maschili” quelle in cui uomini e donne valorizzano qualità contrapposte in donne e uomini (uomini duri, assertivi, tesi al successo individuale – donne modeste, tenere ed orientate a migliorare la qualità della vita). Le società mascoline sono centrate sull’Io; nelle società culturalmente “femminili” prevale il senso del noi e uomini e donne valorizzano maggiormente modestia, tenerezza e qualità della vita in ugual misura. Il Giappone risulta il paese più “maschile” del mondo a quota 95, seguito dall’Austria con 71, Venezuela con 71. L’Italia si colloca al quarto posto con 70 (Gran Bretagna 66, USA 62). I Paesi scandinavi risultano i più femminili (Svezia 5, Norvegia 8, Danimarca 16, Paesi Bassi 14)
Alcune indagini negli Stati Uniti, e Gran Bretagna, culture maschili sopra la media mondiale hanno documentato infatti, che le parlamentari erano meno numerose, ma sostenevano più spesso dei colleghi maschi politiche di pari opportunità, e provvedimenti legislativi in ambito familiare, sanitario e di welfare. Mentre nei paesi scandinavi, culture “femminili”che da decenni avevano un più elevato numero di rappresentanti femminili, il divario di genere non era così alto per le politiche sanitarie e di welfare, tuttavia le parlamentari donne iniziavano più spesso e davano maggiore sostegno a provvedimenti in favore delle pari opportunità (Stokes 2005).
Qualunque siano i processi che favoriscono l’emergere di valori diversi per uomini e donne rimaneva da esplorare se le donne che arrivano a cariche politiche mantengono questi valori e priorità o come sostengono alcune teoriche femministe le donne che raggiungono posizioni di potere in questo mondo politico “guerresco”, rischiano di dover o voler assomigliare ai politici maschi. maschi (Diotima 1995, Irigaray 2007) I risultati della nostra ricerca (Francescato e Mebane 2011) su politici uomini e donne italiani documentano che le nostre rappresentanti donne integrano al meglio diversi tratti. Molte sia di destra che di sinistra hanno sostenuto che mantenere forti identità femminili integrandole con alcune caratteristiche maschili ha reso loro più facile affrontare la vita politica. Ad esempio: il possesso di caratteristiche tipicamente maschili come avere capacità strategiche, il saper competere, o essere se necessario autoritaria, ma anche caratteristiche femminili come aver adottato stili di leadership partecipativi, operare sulla base di ideali, l’essere capace di lavorare in gruppo, il saper con involgere i colleghi, avere intuito, empatia e capacità cooperative. Queste auto-descrizioni fatte nelle interviste, vengono confermate dai test di personalità internazionali, come il BIG FIVE. Rispetto a normali votanti, ma anche militanti ed estremiste, le politiche italiane hanno punteggi elevati di energia, sono dinamiche e sanno imporsi se necessario, sanno controllare i loro impulsi e le loro emozioni, hanno una forte stabilità emotiva. Evidenziano dunque, caratteristiche di personalità di solito prevalenti nella popolazione maschile, ma al tempo stesso mantengono alti livelli di sensibilità verso gli altri e i loro bisogni, e anche forti tendenze a cooperare, cioè hanno elevati livelli amicali tratti che abitualmente si riscontrano maggiormente nelle popolazioni femminili. Pertanto le loro auto-valutazioni di aver integrato il meglio dei due generi vengono confermate dai risultati dei tests appositamente creati per misurare variabili di personalità. Inoltre anche nei loro valori, misurati sempre con la scala di Schwartz, risultano essere meno centrate al perseguimento di potere, profitto e ambizioni personali, edonismo e stimolazione cioè tendono meno a mettere se stesse al centro come emerge di solito nei maschi esaminati con queste scale. Invece mettono al primo posto valori di benevolenza e universalismo, cioè tendono all’auto-trascendenza, ad occuparsi del benessere di altri e della natura e del mondo come in genere fanno le donne comuni.
I maggiori ostacoli percepiti dalle parlamentari , come dalle politiche locali senza differenze di orientamento politico sostengono le teorie del gatekeeping maschile, confermando i risultati di altre indagini internazionali (Stevens 2007) Le donne segnalano sia comportamenti dei colleghi maschi che le svantaggiano, come il prendere decisioni importanti in contesti di soli maschi, o assegnare uomini a commissioni maggiormente influenti, o svalutare i successi femminili, sia atteggiamenti negativi nei loro confronti, derivanti dal fatto che i colleghi maschi si sentano minacciati da donne in carriera, specie quando le donne sono sia leader politiche che madri. I problemi maggiori vengono individuati in comportamenti ed atteggiamenti da parte di alcuni colleghi maschi, imbevuti di un cultura maschilista che vede la politica come uno “spazio maschile”.
In assoluto, l’ostacolo più citato da tutte senza differenze di orientamento politico, età o scolarità, è il fatto che quando si tratta di prendere decisioni importanti le donne sono assenti o scarsamente presenti e sono quasi solo uomini a decidere. Nelle interviste questo è stato ribadito di continuo con molti esempi specifici, riferiti per lo più al fatto che nella quasi totalità dei partiti le candidature o le promozioni sono decisi da organismi composti quasi da soli uomini, che spesso sono impegnati a dirimere lotte di potere tra i loro colleghi. Senza leggi nazionali o regolamenti di partito è difficile che consessi quasi solo maschili sponsorizzino una maggiore presenza femminile, perché “ogni posto assegnato ad una donna, è tolto ad un uomo”.
Nel mio libro Amarsi da grandi (2010) riporto i risultati di questa indagine che ho svolto con circa 800 politici eletti a livello locale e nazionale e sottolineo l’importanza di utilizzare i nuovi media come internet per potenziare gli spazi di empowerment politico per giovani e donne, oggi danneggiati dalla politica spettacolo, che rende visibili in televisione sono politici maschi spesso anziani. Infatti, tutti i recenti movimenti giovanili hanno utilizzato i social networks, blogs come strumenti di mobilitazione, in Italia come in Tunisia e in Egitto. Eleggere più donne e giovani nel consiglio comunale aiuterebbe a migliorare la qualità della politica dando più spazio a “valori femminili” che possono benissimo albergare anche in corpi maschili ma sono più frequenti tra le giovani donne. Infatti anche in Italia, come riscontrano Mebane et al. (2006), le giovani donne ancora più dei loro coetanei maschi sono spinte a entrare in politica per motivazioni ideali e il desiderio di attuare concreti cambiamenti.
Leggendo le affermazioni di alcune donne nei diari citati in questo libro, in particolare delle donne che hanno mostrato quanto possano dedicarsi a promuovere il benessere dei loro cari, nonostante i problemi e le ricadute, mi è venuto spontaneo pensare quanto sarebbe utile al nostro paese se queste donne potessero occuparsi di politica. Spero proprio che alcune di loro lo facciano!!! In Italia, in particolare, appare estremo il bisogno di politici onesti e competenti, affidabili e stimabili, per uscire dal caos attuale in cui i cittadini si sentono distaccati e sfiduciati. Avere più donne del calibro di queste coraggiose, tenaci, generose partecipanti ai gruppi, in posizioni di potere politico, potrebbe aiutarci a risolvere la crisi di fiducia nella politica che prevale in molti paesi occidentali, perché queste donne sono veramente portatrici di valori diversi.