APPUNTI PER UNA STORIA DELLA RESISTENZA
NELL'AREA DEI MONTI CIMINI
Fabrizio Astolfi
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Prefazione di
Silvio Antonini*

Il fascismo, quando si affaccia nel Viterbese, esiste già da un paio di anni. È un movimento politico estraneo al nostro territorio. È nato il 23 marzo del 1919 nel Circolo degli Interessi Commerciali e Industriali di Milano e proprio da qui, in quei giorni, ha inaugurato una guerra di movimento scendendo man mano verso il sud del Paese con l'obiettivo di conquistarlo centro per centro. Quando il fascismo irrompe nella Tuscia, grosso modo nella primavera del 1921, è già a pieno titolo una forza reazionaria e antiproletaria, funzionale ai ceti privilegiati, che ha lasciato una scia di sangue e terrore colpendo le amministrazioni socialiste, o considerate ostili, e le istituzioni di un movimento operaio totalmente impreparato allo scontro.
Come evidenzia anche Fabrizio Astolfi, difatti, nell'Alto Lazio ad aderire al fascismo degli esordi sono perlopiù esponenti del notabilato, del latifondo e del grande commercio, timorosi di perdere privilegi, anche secolari, a seguito di possibili sconvolgimenti sociali e politici. A dar motivo di preoccupazione in tal senso, le agitazioni verificatesi negli anni a seguito della Grande Guerra: scioperi e occupazioni delle terre avevano portato alla luce, anche nella Tuscia, una classe operaia e contadina e un artigianato, ora temprati anche dagli eventi bellici, combattivi e ben organizzati. Aldo Natoli scriverà che a queste mobilitazioni va il merito di aver rallentato l'affermazione fascista nel Lazio settentrionale. Qui, difatti, nel «biennio nero» del 1921-22, le camicie nere subiscono sconfitte in diversi centri abitati, proprio grazie ad una classe lavoratrice capace di andare ben oltre la miopia dei propri dirigenti politici e sindacali. Esemplari sono le «tre giornate di Viterbo» del 10-12 luglio 1921, quando, sotto la guida degli Arditi del Popolo, il futuro capoluogo impedisce – unica realtà nel Paese assieme a Sarzana (La Spezia) – l'ingresso delle milizie fasciste all'interno della propria cinta muraria, tra il plauso di Antonio Gramsci e lo sconforto di Benito Mussolini, dinanzi alla prima considerevole battuta di arresto del proprio movimento.
Nel giro di tre o quattro anni anche il circondario di Viterbo potrà dirsi «pacificato»; del resto, l'agitazione, lo slancio e la generosità dei lavoratori poco potevano contro un apparato repressivo che, pur con lodevoli eccezioni, aveva fatto già da tempo la sua scelta di campo. Tuttavia l'opera di normalizzazione non riesce fino in fondo: le lotte degli inizi anni Venti non erano passate invano, per quanto alla lunga sconfitte. Nonostante le persecuzioni, il carcere, il confino, le percosse e le sevizie – nonché il consenso non coercitivo ben descritto da Astolfi –, nel nostro territorio non verranno mai meno focolai di resistenza e di dissenso. A prendere iniziative di cospirazione è perlopiù gente di popolo: contadini, operai e artigiani che hanno lasciato pochissime testimonianze autobiografiche e di cui, paradossalmente, sappiamo oggi grazie alle carte del regime stesso, con, ad esempio, i rapporti di polizia e le schede presso il Casellario Politico Centrale. Politicamente si tratta di comunisti, comunisti dissidenti (bordighisti e trotzkisti), socialisti di vario orientamento, anarchici e repubblicani. Esiste, soprattutto attorno a questi ultimi, anche un antifascismo di estrazione colta, destinato ad allargarsi a ridosso dell'entrata in guerra: avvocati, insegnanti, studenti e qualche medico condotto, che in molti casi animeranno l'esaltante quanto breve esperienza del Partito d'Azione. Sempre a ridosso dell'entrata in guerra inizia a farsi sentire anche un certo dissenso cattolico: non si tratta di un conflitto aperto con il regime ma le manifestazioni e le proiezioni cinematografiche a sfondo pacifista, date in alcune parrocchie del Viterbese, preoccuperanno non poco le autorità. È in questi contesti parrocchiali, così come nelle organizzazioni cattoliche di vario genere, che si è formata quella porzione di classe dirigente locale della Democrazia Cristiana estranea alle compromissioni con il fascismo.
Tutti i gruppi politici di cui sopra, con quelli comunisti in testa (senza dubbio i più numerosi, compatti e disciplinati), costituiscono l'ossatura dell'antifascismo e gettano un ponte verso la Resistenza partigiana. E parlando di Resistenza non si può non fare cenno alla guerra civile spagnola del 1936-39. Una guerra persa, anch'essa, ma che – confermando la profezia di Carlo Rosselli: «Oggi in Spagna domani in Italia» – farà da prodromo per le guerre di Liberazione in Europa e altrove. Occorre ricordare, fra i quattromila volontari italiani accorsi a difesa della Repubblica spagnola aggredita dai militari franchisti, i tre provenienti dalla nostra provincia, anche se già emigrati politici all'estero: Umberto Salvatori, autista di Oriolo Romano; Giordano Starnini, calzolaio socialista di Valentano, arruolato nella compagnia italiana del Battaglione Dimitrov e caduto a Morata de Tajuna, e Ercole Venanzi, bracciante comunista di Fabrica di Roma, arruolato nel Genio Zappatori del Battaglione Garibaldi. A questi va aggiunto anche Antonio Mariani, contadino, arruolato presso il IV Battaglione della Brigata Garibaldi come commissario politico della I Compagnia. È un sardo ma durante la Resistenza sarà a Soriano nel Cimino, ove era domiciliata la sorella, e collaborerà con la banda Domenico David.
Dopo l'8 settembre del 1943, sarà proprio attorno alle storiche figure dell'antifascismo che si formeranno i primi nuclei partigiani, quelli legati alle Brigate Garibaldi (comunisti) e Matteotti (socialisti), in contatto con il CLN e con i militari «badogliani», al fianco di tante altre formazioni minori. Questi nuclei originari andranno presto a ingrandirsi, con la confluenza di militari sbandati, soldati alleati fuggiti dai campi di prigionia, civili volontari e cittadini sfollati. Va ricordata anche la Resistenza sviluppatasi fuori dal CLN, rappresentata nel Lazio soprattutto dal Movimento Comunista d'Italia Bandiera Rossa. Nato a Roma su iniziativa di comunisti dissidenti, il Movimento finirà per raccogliere attorno a sé tutti i resistenti contrari alla collaborazione con le forze conservatrici, divenendo l'organizzazione resistenziale più consistente nella regione. Bandiera Rossa è stata presente un po' in tutta la nostra provincia; a Viterbo era capeggiata da due fratelli che, «ferventi assertori del comunismo», avevano dato filo da torcere ai fascisti per tutto il ventennio: Alfredo e Attilio Vagnoni. A chi fece la Resistenza sul posto, vanno aggiunti tutti quei soldati che si trovavano all'estero e che si unirono alle resistenze locali, in aree già martoriate dall'occupazione nazifascista: è il caso, ad esempio, di Nello Marignoli, partigiano viterbese combattente in Jugoslavia.
La Resistenza nel Viterbese ha visto scontri a fuoco con i nazifascisti, liberazioni di prigionieri, occupazioni di caserme e ingenti atti di sabotaggio, ha conosciuto la solidarietà delle popolazioni contadine, così come le fucilazioni e le stragi (a Blera, Capranica-Sutri e Vignanello); il tutto nell'arco di nove mesi (settembre 1943-giugno 1944), senza cioè il tempo che hanno avuto le formazioni partigiane al nord, dove la dominazione tedesca e la collaborazione repubblichina si sono protratte per nove mesi ancora. Eppure non sono mancate in passato interpretazioni banalizzanti più o meno pretestuose, in merito sia alla consistenza che al reale portato delle attività partigiane nella Tuscia.
Gli Appunti per una storia della Resistenza nell'area dei monti Cimini, compiono a tal proposito un lavoro di contestualizzazione e sollevano spunti di riflessione. Astolfi confuta con puntualità, soprattutto nella parte introduttiva, le tesi revisioniste-strumentali che vanno oggi per la maggiore, citando, oltreché la documentazione dell'Archivio Centrale dello Stato e la storiografia canonica sull'argomento, i più recenti studi di Lutz Klinkhammer e Alessandro Portelli. Così, questa pubblicazione, a cui il Comitato Provinciale ANPI di Viterbo prende parte, va ad aggiungersi alle importanti ricerche sulla Resistenza nel Viterbese portate a termine nel passato da Giacomo Zolla e Angelo La Bella.

*Segretario e Portabandiera ANPI
Comitato Provinciale di Viterbo